GRADENIGO, Iacopo, detto Belletto
Nacque verso la metà del Trecento da Marco, della parrocchia di S. Paolo, discendente diretto del doge Pietro, e da una gentildonna di casa Contarini.
Dopo aver ricoperto alcune cariche minori a Venezia ed essere stato designato, il 17 sett. 1385, podestà e capitano del castello di Mestre, il G. fu nominato dal doge Antonio Venier, con diploma datato 25 sett. 1386, provveditore in Friuli. Il G. fu nuovamente in Friuli prima il 24 sett. 1388, quando si recò come procuratore insieme con P. Pisani dal patriarca d'Aquileia Giovanni Sobieslav per concludere un trattato, quindi nel 1391 come ambasciatore al Comune di Cividale.
Quanto al soprannome Belletto, un documento del 1° ott. 1383 ricorda il "nobilis vir dominus Iacobus Gradonico dictus Belletus quondam domini Marci" (in Gloria, 1888, doc. 1557), testimonianza alla quale si aggiungono due testamenti di Aluica Gradenigo, vedova del doge Marino Falier. Il G. è inoltre chiamato "Belletto" al v. 326 della frottola Perdonime ciascun s'io parlo troppo di Francesco di Vannozzo. Il G. non va comunque confuso con il Belletto figlio di Alberto di Gradenigo e nipote del doge Bartolomeo, suo contemporaneo e a sua volta presente negli alberi genealogici di M. Barbaro.
La vita del G. si svolse per buona parte fuori Venezia. Tra il 1387 e il 1389 fu podestà a Perugia e nel settembre del 1389 i Perugini gli concessero la facoltà di fregiarsi nello stemma del grifo incoronato simbolo della loro città. Nello stesso anno lo ritroviamo a Roma. Per le nozze tra il figlio Pietro, avuto da Marina Gradenigo, e Candiana, figlia di F. Sanuto, era stato infatti necessario chiedere la dispensa papale dal momento che i genitori dei due sposi erano "compadri de S. Zuane", cioè compadrini di battesimo.
Il G. ricoprì per due volte la carica di podestà a Padova, con un intervallo durante il quale fu inviato, nel 1398, come provveditore a Scutari e Drivasto in Albania. La prima podestaria a Padova è documentata dal 6 apr. 1392 al 30 nov. 1393 ed era senz'altro già terminata il 27 genn. 1394, mentre la seconda, annuale, è attestata dal 18 maggio 1399 al 18 maggio 1400. A Padova, dove ebbe modo di essere a stretto contatto con l'Università, dato che il podestà presenziava di diritto alle discussioni di laurea, il G. compose nel 1399 i Quatro Evangelii concordati in uno. Sembra che nel 1392 fosse lo stesso Francesco Novello da Carrara, che aveva riconquistato Padova nel 1390 col tacito consenso di Venezia, a volere il G. come pretore in sostituzione di Rizzardo Sambonifacio e a inviarlo in seguito come ambasciatore a Venezia nel tentativo di essere ascritto alla nobiltà veneziana. Nel codice della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia Mss. lat. XIV.93 è conservato un biglietto confidenziale di Francesco Novello al G. "egregie compater et amice k.me", scritto a Padova il 28 giugno 1392 (c. 68v; cfr. Levi, p. 230 n. 1).
Dopo aver svolto vari incarichi, tra cui nel 1403 quello di podestà della Canea in Creta, nel 1406 il G., accusato di aver favorito Francesco Novello da Carrara nella guerra contro Venezia, fu escluso dai pubblici uffici per tre anni. La sentenza venne revocata solo nel 1411.
Nel 1413 il G. fu podestà a Ravenna e al 1417 risale il suo testamento, fatto redigere prima di partire, forse per altro incarico, da Venezia. Nel 1420 era quasi sicuramente già morto, dal momento che non risulta più usufruire del giuspatronato su S. Cipriano di Murano. In tale data il nuovo abate viene infatti nominato dal figlio Francesco, e non dallo stesso G., come invece era avvenuto nel 1408 con l'abate F.G. Gallina. Il G. fu sepolto nella chiesa del convento, come ricorda un'iscrizione incisa su una lapide che, una volta demolita la chiesa, venne fatta collocare dal canonico marciano G. Moschini nel chiostro del seminario patriarcale di S. Maria della Salute insieme con lo stemma della famiglia.
Oltre a Marina il G. ebbe una seconda moglie, Cateruzza, che fece testamento il 30 maggio 1430, nominando suoi commissari ed eredi i figli Andrea, Gabriele e Francesco.
Il G. si dedicò anche alle lettere ed era apprezzato dai contemporanei per la sua attività culturale, come attesta la sua amicizia con il poeta padovano Francesco di Vannozzo e il fatto di essere ricordato nella Leandreide di Giovanni Girolamo Nadal (canto VII, vv. 106-108).
La sua opera principale sono i Quatro Evangelii concordati in uno, oltre diecimila versi in terzine dantesche conservati nel cod. 78.C.18 del Kupferstichkabinett di Berlino (già cod. 247 della collezione Hamilton, per cui cfr. Biadene, pp. 320 s.; Seidlitz, VI, pp. 272 s.). Il codice, corredato da 44 illustrazioni di pregevole fattura, è autografo ed edito, con commento e glossario, in Gli quatro Evangelii concordati in uno da Jacopo Gradenigo, a cura di F. Gambino, Bologna 1999.
La fonte principale del poema è il Diatessàron, sia nella versione latina di uno dei numerosi codici derivati dall'armonia evangelica contenuta nel codice fuldense, sia nella versione toscana, mentre la forma metrica è solo l'indizio macroscopico di quanto la Commedia dantesca sia presente nei Quatro Evangelii concordati in uno come modello stilistico e linguistico.
All'attività letteraria del G. si devono inoltre nove capitoli ternari contenuti alla c. 169 del codice conservato presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze Conventi soppressi 122. Il G. è infine l'autore di due sonetti di corrispondenza con il Vannozzo conservati alle cc. 35r e 66r del cod. 59 della Biblioteca del Seminario vescovile di Padova. Il primo di essi, No el gran tempo transcorso e 'l misto pelo, sarebbe stato composto dopo il 1381, quando il Vannozzo fu chiamato alla corte di Antonio Della Scala, "l'alto Signor" del v. 6, e prima del 1387, anno in cui Verona cadde in mano dei Visconti e Vannozzo tornò a Padova. Nel sonetto di risposta, Se con scritture teco io non ripelo, l'accenno alla fenice del v. 13 potrebbe riferirsi al fatto che nel 1382 essa divenne l'insegna degli Scaligeri. La seconda tenzone, comprendente Vuol mia fortuna e maladetta sorte cui rispose il Vannozzo con I begli accenti de tuo' rime acorte, sembra invece riferirsi al periodo carrarese della vita del poeta padovano e andrebbe collocata nel 1391-92. Il Levi (pp. 229-232) e il Medin (p. 257) reputano infatti che il duca del v. 12 sia il doge e che le parole del G. esprimano il desiderio di ottenere incarichi presso Francesco Novello, come in effetti accadde nel 1382. Al G. il Vannozzo indirizzò anche il componimento La mente mia che sta colma d'affanno.
Come copista il G. esemplò due manoscritti. Al 1389 risale il codice 276 della Biblioteca Casanatense di Roma, copia o forse rifacimento dello stesso G. del poemetto di Pietro Nadal sulla pace di Venezia tra papa Alessandro III e Federico Barbarossa. Il codice della Commedia dantesca conservato presso la Biblioteca civica Gambalunga di Rimini SC.1162 (già 4.I.II.25; D.II.41), esemplato molto probabilmente per F. Sanuto, sarebbe invece databile tra il 1389 e il 1397. Il terminus post quem è indicato dalla presenza nello stemma Gradenigo del grifone di Perugia, data con cui peraltro sembra concordare lo stile delle miniature. Il G. non si è limitato a trascrivere il poema dantesco, ma lo ha corredato di un commento che rielabora quello di Iacopo Della Lana, facendo inoltre precedere le prime due cantiche da un capitolo in versi. Il capitolo posto avanti all'Inferno è seguito da 25 terzine in cui si rielabora il commento attribuito a Iacopo Alighieri, e da 74 terzine che si rifanno invece al commento di G. Boccaccio, mentre le 87 terzine che precedono il capitolo premesso al Purgatorio e in cui analogamente si compendiano quei due stessi commenti (11 terzine per l'Alighieri e 75 per il Boccaccio), sembrano di altra mano.
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 926 (= 8595): M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti (datt.), cc. 168 s.; Liber regiminum Paduae, a cura di A. Bonardi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VIII, 1, p. 375; F. Corner, Ecclesiae Torcellanae antiquis monumentis nunc etiam primum editis illustratae…, II, Venetiis 1749, p. 263; E.A. Cicogna, Documento inedito del secolo decimoquarto ad onore del cav. J. G. publicato ed illustrato per le nozze Venier-Gradenigo, Venezia 1843; A. Gloria, Intorno ai podestà che furono in Padova durante la dominazione carrarese, Padova 1859, pp. 23 s.; B. Cecchetti, La moglie di Marino Falier, in Archivio veneto, I (1871), 1, pp. 364-370; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Documenti. Regesti, a cura di R. Predelli, VIII, Venezia 1878, p. 192; B. Cecchetti, L'ultimo testamento di Lodovica Gradenigo, vedova di Marino Falier, in Archivio veneto, XX (1880), I, pp. 347-350; Monumenti della Università di Padova (1318-1405), a cura di A. Gloria, II, Padova 1888, docc. 1557, 1827, 1832, 1837, 1851, 1856-1858, 1862, 2050-2051, 2067, 2069, 2073-2074, 2083, 2097, 2099; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, Venezia 1752, pp. 278-293; L. Biadene, I manoscritti italiani della collezione Hamilton nel R. Museo e nella R. Biblioteca di Berlino, in Giorn. stor. della letteratura italiana, X (1887), pp. 320 s.; V. Lazzarini, Rimatori veneziani del secolo XIV, Padova 1887, pp. 11-17, 45-56 (recensione di O. Zenatti in Rivista critica della letteratura italiana, V [1888], 3, coll. 83 s.); O. Zenatti, Il poemetto di Pietro de' Natali sulla pace di Venezia tra Alessandro III e Federico Barbarossa, in Bull. dell'Istituto stor. italiano per il Medioevo, XXVI (1905), pp. 116-120; E. Levi, Francesco di Vannozzo e la lirica nelle corti lombarde durante la seconda metà del secolo XIV, Firenze 1908, pp. 225-232; Le rime di Francesco di Vannozzo, a cura di A. Medin, Bologna 1928, pp. 131, 256-259; Il Diatessàron in volgare italiano, a cura di V. Todesco - A. Vaccari - M. Vatasso, Città del Vaticano 1938; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV, Venezia 1975, pp. 29-33; L. Lazzarini, La cultura delle signorie venete nel Trecento e i poeti di corte, in Storia della cultura veneta, 2, Il Trecento, Vicenza 1976, pp. 514-516; A. Viscardi, Lingua e letteratura, in Storia della civiltà veneziana, II, Autunno del Medioevo e Rinascimento, a cura di V. Branca, Firenze 1979, pp. 101-103; B. Degenhart - A. Schmitt, Corpus der italienischen Zeichnungen, 1300-1450, II, Berlin 1980, 1, pp. 134-136; G. Mariani Canova, La miniatura alla Gambalunghiana, in I codici miniati della Gambalunghiana di Rimini, Rimini 1988, pp. 42-75; G.G. Nadal, Leandreide, a cura di E. Lippi, Padova 1996; F. Gambino, Un altro capitolo della fortuna della "Commedia" a Venezia: i "Quatro Evangelii concordati in uno" di J. G., in Quaderni veneti, XXIV (1997), pp. 47-80; W. von Seidlitz, Die illustrierten Handschriften der Hamilton-Sammlung, in H. Janitschek, Repertorium für Kunstwissenschaft, VI (1883), pp. 272 s.; M. Roddewig, Dante Alighieri Die Göttliche Komödie. Vergleichende Bestandsaufnahme der Commedia-Handschriften, Stuttgart 1984, pp. 267 s. n. 625; E. Pasquini, G., Giacomo, in Enc. dantesca, III, pp. 256 s.