GOZZADINI, Gozzadino
Nacque a Ferrara intorno al 1370 da Simonino di Gabione e da Francesca di Bartolomeo Constabili. Non si hanno notizie di suoi fratelli o sorelle.
Simonino, stabilitosi a Ferrara e in ottimi rapporti con la corte estense, vi aveva raggiunto un'alta posizione. Nel gennaio del 1373 il marchese Niccolò (II) d'Este gli concesse l'investitura in feudo di un consistente patrimonio immobiliare sviluppato attorno alla località di Ducentola e in seguito Simonino, grazie anche all'apporto finanziario della moglie, incrementò questo patrimonio con ulteriori acquisti di terre, seguiti dalla relativa investitura feudale.
Il G. venne avviato dal padre allo studio del diritto, trampolino ideale per incarichi di prestigio. Ne seguì i corsi a Bologna e il 1° apr. 1389, presentato dai dottori Bartolomeo da Saliceto e Francesco Ramponi, ottenne la licentia di diritto civile. La licentia attestava il superamento dell'examen privatum, severa prova della preparazione raggiunta nell'intero ciclo di studi e ne era la effettiva conclusione. Fu probabilmente questo il motivo che indusse il G. ad aprire con l'annotazione della licentia conseguita un suo Liber recordationum, nel quale andò registrando fin quasi al termine della vita le notizie più rilevanti della sua vicenda familiare e professionale. La licentia non consentiva peraltro di fregiarsi del prestigioso titolo di doctor iuris, conferito a conclusione della costosa cerimonia del conventus. Il G. vi pervenne solo due anni dopo, a causa anche della recrudescenza di una epidemia di peste che aveva costretto molti ad abbandonare la città. Nel frattempo un apposito privilegio del Collegio dei dottori del 5 luglio 1389 consentì al G. di anticipare i frutti del titolo dottorale, iniziando nel successivo mese di dicembre l'attività di docente nello Studio di Bologna con una lettura straordinaria del Digestum novum e ottenendo nell'aprile del 1390 l'aggregazione al Collegio degli avvocati di Ferrara.
A Ferrara il G. aveva fissato la sua residenza e qui il 26 apr. 1389 aveva sposato Beatrice, figlia di Giovanni da Sala, uno dei due tutori del giovane Niccolò (III) d'Este. Dal loro matrimonio nacquero sette figli. Di essi Navilia Giovanna, nata nel 1393, morì a 6 anni; Annibale (I) nato nel 1398 e Simonino nato l'anno seguente scomparvero in tenera età. Sopravvissero invece gli altri quattro figli: Alberto, nato nel 1390 e sposo nel 1418 di Lena, nipote di Battista Bentivoglio; Cassandra nata nel 1392 e moglie di Giacomo Ghisilieri nel 1412; Taddea, nata nel 1394 e moglie di Rinaldo Ariosti nel 1418; Annibale (II), monaco nell'Ordine certosino col nome di Nicolò.
Nell'ottobre del 1391 il G. riprese l'insegnamento nello Studio bolognese, incaricato della lettura del Volumen e, l'anno seguente, di quella del Codex, e vi affiancò l'attività di consultore. I suoi interessi stavano tuttavia orientandosi in una direzione diversa dalla speculazione teorica legata all'insegnamento e alla pura professione legale, alle quali preferiva evidentemente un impegno diretto nella pratica amministrativa e politica. Nel luglio del 1393 assunse l'ufficio di podestà del contado di Imola e nel giugno dell'anno seguente fu vicario dei Malatesta a Borgo San Sepolcro. Fu probabilmente grazie al rapporto così instaurato con i Malatesta che il 30 maggio 1395 il G. ebbe a Rimini titolo e insegne di cavaliere da Francesco (I) Gonzaga, genero del defunto Galeotto Malatesta, signore della città adriatica. Al G. miles et doctor iuris si aprì la strada degli incarichi più prestigiosi. Fu podestà a Perugia nel secondo semestre dello stesso 1395 e quindi a Pistoia dal giugno 1396 al luglio dell'anno seguente.
A Pistoia lo raggiunse la notizia della morte del padre Simonino, avvenuta a Ferrara il 29 luglio 1396. Lasciava al G. una preziosa rete di rapporti con alcune famiglie di spicco della corte estense, come i da Sala e i Sacrato, e con lo stesso Niccolò, che il 27 febbr. 1397 rinnovò al G. il feudo dei beni di Ducentola, già concesso al padre. Non molto consistente sembra fosse invece il patrimonio ereditario, gravato per di più dai pesanti legati disposti dal padre e dei quali il G. curò di persona l'adempimento. Lo indicherebbero vari prestiti, contratti a partire dal settembre 1397 e per i quali il G. impegnò gioielli, abiti di lusso e i testi di diritto.
Il periodo di difficoltà economiche durò fino al 1399, venendo a coincidere, pur non essendone chiari i motivi, con un deciso impegno del G. nelle vicende politiche della città di Bologna. Il G. si era avvicinato allora alle posizioni dello zio Nanne Gozzadini fino a partecipare il 6 maggio 1398 al tentativo da questo promosso di opporsi al predominio instaurato in Bologna da Carlo Zambeccari. Il tentativo non ebbe successo e il G. cadde prigioniero dei partigiani dello Zambeccari. La pace che ne seguì fu rinsaldata, come d'uso, da alcune promesse di matrimonio, una delle quali riguardò la giovanissima figlia del G., Cassandra, fidanzata a Rinaldo di Alberto Bianchi. Ma la pace ebbe breve durata. Nella primavera del 1399 vi fu un nuovo tentativo di abbattere il predominio di Carlo Zambeccari, anche questo fallito. I rivoltosi sconfitti vennero banditi dalla città e il G. si rifugiò a Padova. L'esilio durò pochi mesi. Nel novembre del 1399, morto di peste lo Zambeccari, il governo di Bologna nel tentativo di raffreddare le rivalità in atto decise di richiamare tutti coloro che erano stati banditi e di restituire loro i beni confiscati. Anche il G. rientrò e sembra che in un primo tempo evitasse di partecipare agli scontri ben presto riaccesisi e che vedevano tra i protagonisti lo zio Nanne Gozzadini.
L'anno 1400 fu segnato dalla morte della madre del G. e da quella della moglie Beatrice, colpita dalla peste a Roma. Il 21 genn. 1401 il G. sposò Costanza, figlia del dottore di leggi Ugolino Scappi, con una cerimonia tanto sontuosa da lasciare traccia nelle cronache cittadine. Da Costanza nacquero nei venti anni seguenti dodici figli. Sette di essi morirono durante il primo anno di vita: Francesca (I), nata nel 1402, Gabriele Maria nel 1404, Lucrezia nel 1408, Giacoma nel 1409, i gemelli Prospero e Prospera nel 1415, Elisabetta nel 1419; uno, Sismondo, nato nel 1412, morì a 16 anni; soltanto quattro vissero a lungo: Francesca (II), nata nel 1403 e sposa nel 1424 di Antonio Bentivoglio; Lorenzo, nato nel 1404, marito nel 1426 di Elisabetta Bolognini e che lasciò numerosi discendenti; Elisabetta Lucrezia, nata nel 1410 e sposa di Galeotto Canetoli nel 1426; Brandaligi, nato nel 1417.
Col matrimonio il G. aveva preso dimora in Bologna e vi assunse man mano incarichi pubblici, fino a quello di gonfaloniere di Giustizia. Si trovò così di nuovo invischiato negli scontri di fazione che avevano ormai per evidente posta la signoria sulla città. Nel febbraio del 1401 Giovanni Bentivoglio occupò la piazza e fece arrestare Nanne e Bonifacio Gozzadini. Il G. accorse in loro aiuto alla testa di duecento armati. Nello scontro che ne seguì fu disarcionato e ferito, ma riuscì a salvare la vita rifugiandosi nelle case della famiglia. Ridotti all'impotenza i principali oppositori interni, Giovanni Bentivoglio non ebbe difficoltà a farsi proclamare signore. Nei suoi primi atti di governo cercò e in qualche caso ottenne l'appoggio o la neutralità dei rivali, ma il G. gli si mostrò avversario irriducibile. Dette vita a una congiura, ma fu scoperto e venne mandato in esilio a Borgo San Sepolcro.
Nel giugno del 1402 si unì alle forze che Gian Galeazzo Visconti aveva radunato a Mirandola sotto il comando di Francesco Gonzaga con il dichiarato intento di conquistare Bologna, difesa da Giovanni Bentivoglio con l'aiuto di Firenze e dei Carraresi. La battaglia di Casalecchio del 26 giugno 1402 segnò la sconfitta del Bentivoglio e dei suoi alleati e il giorno seguente il G. poteva annotare nel suo Liber recordationum di essere rientrato in Bologna con l'aiuto di Gian Galeazzo. Si tratta di un breve accenno ma esso rivela nel G. un fautore della signoria viscontea, circostanza che trova ulteriore conferma nell'assunzione da parte del G. nel novembre seguente per incarico di Gabriele Maria Visconti dell'ufficio di podestà di Pisa.
Una lettera del G. da Pisa al cugino Castellano a Bologna, datata 25 settembre, senza indicazione di anno, ma da attribuirsi al 1403, mostra che egli aderiva alla nuova situazione creata in Bologna dalla pace tra Caterina Visconti e il legato pontificio Baldassarre Cossa e che riconosceva l'autorità del governo di quest'ultimo. La lettera, ricca di dotte citazioni e con espressioni di elegante retorica, doveva nelle intenzioni del G. essere portata a conoscenza del legato, probabile preludio a un suo ritorno in città; ma gli avvenimenti dell'ottobre successivo, seguiti dal supplizio dello zio Bonifacio e del cugino Gabione, fecero svanire la prospettiva. Il G. restò a Pisa fino al luglio del 1405, quando insieme con Gabriele Maria Visconti passò a Lucca e quindi, alla fine dell'anno, a Milano, ove restò per tutto il 1406.
Nell'aprile del 1407 tornò a Ferrara e qui per alcuni anni pare si sia dedicato a sistemare le proprietà immobiliari del suo feudo di Ducentola, incrementandone l'estensione con alcuni acquisti e regolarizzandone lo sfruttamento tramite contratti di concessione. La sua preparazione lo abilitava peraltro ad alti incarichi e fu allora Niccolò d'Este a ricorrere alla sua opera. Nel marzo del 1411 lo inviò quale capitano del Popolo a Parma, della quale aveva poco prima acquisito la signoria, e a Parma il G. restò per i due anni seguenti. Dal maggio del 1414 all'aprile del 1416 fu ancora per incarico di Niccolò d'Este capitano del Popolo a Reggio Emilia.
Nell'aprile del 1416 il G. passò a Bologna, dove a seguito di un nuovo rivolgimento era stato cacciato il legato pontificio, e aveva assunto il potere una fazione dell'aristocrazia cittadina nella quale primeggiava Antonio Bentivoglio. Con il nuovo regime il G. era in forte sintonia e nei cinque anni seguenti occupò man mano incarichi di sempre maggiore responsabilità: fu ambasciatore a Venezia nel 1416; preposto all'Ufficio di condotta degli stipendiari del Comune nel 1417; commissario nell'esercito inviato a riaffermare il dominio di Bologna su San Giovanni in Persiceto nel giugno dello stesso anno; membro del Collegio dei riformatori dello Stato di libertà, detto anche dei Dieci di balia, nel 1418 e nel 1420.
Nel gennaio del 1420 Antonio Bentivoglio cercò con un colpo di mano di risolvere a proprio vantaggio lo scontro per la supremazia che lo opponeva alla fazione guidata dai Canetoli. Costoro abbandonarono la città, ma nel luglio, grazie all'appoggio del legato pontificio, poterono rientrare e Antonio Bentivoglio fu accusato di sedizione. Il G. si era schierato decisamente con il Bentivoglio e ne difese l'operato controbattendo le affermazioni dei rappresentanti di Martino V con argomentazioni che erano anche una esplicita difesa delle prerogative e dell'autonomia cittadina.
La posizione assunta in questa circostanza non era peraltro tale da consentirgli una sicura permanenza in città e il G., cogliendo l'invito rivoltogli da Paolo Guinigi, che aveva probabilmente già avuto modo di apprezzarne le capacità nel corso del suo breve soggiorno in Lucca quindici anni prima, il 1° ott. 1421 assumeva l'incarico di podestà di Lucca e fu in Lucca un fidato collaboratore del Guinigi, colpendo con determinazione coloro che cercavano di scalzarne il dominio. Successivamente confermato di semestre in semestre, resse la podesteria fino all'inizio del 1431, sei mesi oltre la cacciata di Paolo Guinigi, il che lascia adito al sospetto che egli avesse da ultimo riallacciato quei legami con i Visconti che avevano caratterizzato il suo primo operato in Toscana.
Nel decennio lucchese il G. mantenne stretti rapporti con Antonio Bentivoglio, come appare dal matrimonio di questo con Francesca, figlia del G., celebrato a Pisa il 16 maggio 1424. Cercò anche di riprendere l'attività di docente nello Studio bolognese chiedendo nel gennaio dello stesso 1424 il riconoscimento di possedere il necessario requisito della cittadinanza per essere ammesso al Collegio dei dottori di diritto civile e presentando nel 1428 la richiesta di aggregazione allo stesso Collegio, che tuttavia non venne accolta, forse a motivo della sua lontananza da Bologna.
Tre anni più tardi, lasciata Lucca e l'ufficio di podestà, dopo un breve soggiorno a Ferrara, nel giugno del 1431 il G. era di nuovo a Bologna. Vi rientrò non come un privato cittadino, ma come uno dei venti consiglieri scelti da Eugenio IV in rappresentanza della città e col potere di nominare i membri degli altri organi collegiali di governo, espressi dalla città. Il G. si era dunque avvicinato alla parte della oligarchia bolognese disposta a collaborare con il papa. Consoni a tale scelta furono anche gli incarichi assunti negli anni successivi e lo fu in particolare la posizione assunta nel giugno del 1434 quando gli Anziani, su pressione dei Canetoli, avevano fatto imprigionare Marco Condulmer, governatore pontificio di Bologna, accusandolo di intese con Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, al soldo dei Veneziani. Il Gattamelata rispose impadronendosi di castelli del contado e minacciando di assedio la città, che per fronteggiare la situazione affidò i massimi poteri di governo a un Collegio ristretto, i Dieci di balia, e il G. fu uno di essi. Sconfessando il precedente operato, essi disposero l'immediata liberazione di Marco Condulmer, quale primo passo nella direzione di un ripristino dell'alta sovranità pontificia, che fu poi sancita dagli accordi di Firenze del 27 sett. 1434.
Il ritorno a Bologna nel giugno del 1431 aveva comportato per il G. non solo una ripresa dell'impegno negli organi di governo, ma anche una duplice serie di novità nella sua vicenda familiare e professionale. Morta il 30 sett. 1428 la moglie Costanza, il 2 sett. 1431 il G. si era sposato per la terza volta, prendendo in moglie Dorotea, figlia di Gabriele di maestro Nicolò, che, diversamente dalla prime due mogli, era di famiglia popolare. Da questa unione non nacquero figli. Nel settembre del 1431 il G. rinnovò la richiesta di aggregazione al Collegio dei dottori di diritto civile e questa volta tramite la presentazione del cugino Scipione Gozzadini, membro del Collegio da oltre cinque anni. Il 30 sett. 1434 la richiesta fu accolta e al G. fu riservato il primo posto che si fosse reso vacante, il che avvenne prima della fine dello stesso anno.
Nell'autunno del 1431 riprese l'insegnamento e per una decina di anni tenne man mano le letture nei giorni festivi del Codex, del Digestum vetus e dell'Infortiatum. Di queste lezioni non sono state trovate tracce sicure e dei pochi testi a lui attribuiti uno solo è sicuramente suo: un consilium in materia successoria, nelle carte di un codice conservato a El Escorial (Real Biblioteca de San Lorenzo, d.II.7, cc. 254v-255v). Sotto il suo nome sono pervenuti il Tractatus de tabellionibus e il Tractatus de excussione pignorum, entrambi conservati nel codice della Biblioteca apostolica Vaticana Vat. lat. 2660, cc. 79r-86r. Il primo trattato è stato peraltro riconosciuto quale opera di revisione e correzione di un testo di Baldo degli Ubaldi, mentre il secondo riprende, rielaborandola, una analoga esposizione di Bartolo da Sassoferrato. Le caratteristiche di questi interventi del G. su opere dei due grandi maestri hanno indotto a valutarlo quale un "rappresentante minore del bartolismo del tempo, anche se l'opera accurata di ripristino del testo lacunoso e scorretto del Tractatus de tabellionibus potrebbe farlo, forse, ritenere già orientato verso interessi filologici di tipo umanistico" (Valentini, p. 21).
Contemporaneamente alla presenza del suo nome nei rotuli dei docenti dello Studio bolognese, il Liber secretus del Collegio dei dottori di diritto civile ne registra la partecipazione alle attività di questo, incentrate in particolare sulle complesse procedure connesse agli esami privati e pubblici per la concessione del dottorato e alle richieste di aggregazione allo stesso Collegio. Fu in merito a quest'ultima materia che nel gennaio del 1438 il Collegio, di cui faceva parte anche il G., dovette affrontare una delicata controversia con Eugenio IV, una cui bolla aveva disposto l'aggregazione del dottore Gasparo de Arengheria. Contro di essa, che infrangeva il diritto del Collegio di nominare i nuovi membri solo per cooptazione, l'opposizione fu decisissima, nonostante il Collegio fosse stato convocato nel palazzo vescovile, alla presenza del governatore e dei rappresentanti pontifici, i quali avevano in precedenza ripetutamente sollecitato i membri ad aderire a quanto disposto dal papa. La risposta dei dottori di Collegio raggiunse toni di asprezza inusitata: non si riconosceva al papa alcun potere di infrangere le antiche consuetudini sulle quali si reggeva lo Studio di Bologna e con esso l'intera città.
Del Collegio dei dottori il G. fu anche priore, incarico che durava due mesi, che toccava man mano a tutti i membri e che comportava l'onere di registrarne le attività nel Liber secretus. Fu priore nel 1432, nel 1433 e nel 1435. Lo fu anche alla fine del 1438, ma il Liber secretus rivela che era gravemente ammalato, tanto da venire stabilmente sostituito dal cugino Scipione. Fu ancora priore nel bimestre iniziale del 1440, ma anche in questa circostanza le sue condizioni di salute lo obbligarono spesso a farsi sostituire.
L'ultima registrazione che lo concerne è quella della sua morte, avvenuta in Bologna il 4 marzo 1441. Il giorno seguente, con una solenne cerimonia, cui, come di usanza, presero parte i membri del Collegio dei dottori e le magistrature cittadine, il suo corpo fu tumulato in un'arca posta nella chiesa di S. Maria dei Servi.
Il Liber recordationum è stato edito da V. Valentini, Il "Liber recordationum" (1389-1437) di Gozzadino di Simonino Gozzadini, giureconsulto bolognese, Milano 1970.
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