GOYA y LUCIENTES, Francisco José
Pittore, nato a Fuendetodos (Aragona) presso Saragozza il 30 marzo 1746, morto a Bordeaux il 16 aprile 1828. Mostrò fin dalla più tenera età disposizioni notevolissime per il disegno e per la pittura. Il padre, un modesto doratore, incoraggiò il talento del giovane e lo affidò a Don Felice Salzedo che lo condusse nello studio di uno dei più noti pittori di Saragozza: José Luzán y Martínez (nato nel 1710), il quale aveva allora circa 50 anni, ed aveva fatto i suoi studî in Spagna e in Italia, specialmente a Napoli, dove aveva studiato con Mastroleo, era stato condiscepolo del Solimena, e, continuando in certo modo la tradizione di Luca Giordano e di Pietro da Cortona, aveva appreso dai maestri italiani una grande facilità di mano, una grande rapidità di esecuzione e un certo gusto per la decorazione e per l'armonia del colore. Egli aveva sentito anche l'influenza del Tiepolo. Senza raggiungere grandi altezze e senza avere grandi doti di creatore, Luzán fu pittore scrupoloso ed esatto, maestro coscienzioso e disinteressato per i suoi allievi. Nello studio di Luzán a Saragozza il G. trovò molti compagni e fece rapidi progressi nella pittura. Nello stesso tempo divenne anche abile musicista. Nella capitale dell'Aragona il G. passò circa cinque anni, dal 1760 al 1765, che segnarono i primi successi della sua lunga e agitata vita di artista.
Nel 1765 si recò a Madrid presso il suo condiscepolo Francesco Bayeu. Più che le sue doti di pittore egli amava allora mettere in vista le sue qualità di elegante cavaliere e di audace avventuriero. Egli era sempre il primo quando si trattava di passare la notte nelle osterie a bere e a suonare, o nelle strade silenziose a fare le serenate sotto le finestre delle belle madrilene. Non contento delle risse e dei colpi di spada, volle gustare le emozioni dell'arena, e si arruolò in una cuadrilla di toreros, nella quale trovò modo di spiegare la sua audacia e la sua agilità. Ciò nonostante, questi anni passati in Madrid (1765-1769) ebbero una grande influenza sulla sua educazione artistica: i grandi capolavori dei vecchi maestri, specialmente quelli di Velásquez, svegliarono in lui sempre più possente l'ardore per la pittura. Erano gli anni in cui Tiepolo era occupato nelle grandi decorazioni del Palazzo Reale (1762-1770) e in cui R. Mengs teneva le redini dei circoli artistici di Madrid, come P. G. Batoni teneva nello stesso tempo quelle dei circoli romani. Forse in seguito ai consigli. del Mengs stesso, e anche perché compromesso in una rissa in cui era rimasto gravemente ferito, G. partì per Roma (1769). Sul suo soggiorno in Italia abbiamo poche notizie esatte. Appena arrivato nella città eterna cadde gravemente ammalato, e solo per le cure assidue di una vecchia donna poté ricuperare la salute. Roma in quel momento era veramente un grande centro artistico e l'atmosfera satura di cultura, di arte e di lusso, costituivano un ambiente unico in Europa, di fronte al quale Saragozza e Madrid dovettero sembrare assai provinciali al giovane artista.
Le grandi processioni religiose, le feste carnevalesche, la varietà dei tipi e dei costumi insieme coi monumenti del passato, offrivano agli artisti una visione incomparabile e una sorgente inesauribile di ispirazione. La colonia spagnola era assai numerosa in Roma.
Il G. si fa un modo tutto suo per studiare le opere dei grandi maestri italiani. Intollerante di ogni disciplina e di ogni metodo, osserva molto, ma dipinge poco. È un lavoro di osservazione e di assimilazione continua che lascerà tracce profonde nell'educazione artistica del G., ma di cui non si vedono le conseguenze immediate. Egli fortifica le sue doti naturali, e prende cognizione sempre più profonda dei diversi metodi seguiti dai grandi maestri. Guida unica rimane sempre per l'artista il suo genio, il suo temperamento indipendente ed esuberante. Innamoratosi di una bella trasteverina, rinchiusa dai parenti in un convento, egli la rapisce. Perseguitato della polizia si rifugia presso l'ambasciatore spagnolo che lo rimpatria a sue spese.
Nel 1772 G. è di nuovo in Spagna, prima a Saragozza, poi a Madrid. In questo stesso anno 1772 egli ebbe la commissione di decorare a fresco la cattedrale di Nuestra Señora del Pilar a Saragozza. Secondo alcuni egli avrebbe visitato Roma (forse una seconda volta) dopo quell'anno. Nel 1775 G. sposò Josefa Bayeu, sorella del pittore suo grande amico. Da allora cominciò a dedicarsi alla pittura con maggiore assiduità e serietà. Data da questo momento la serie dei suoi ritratti che rappresentano il meglio della sua attività. Egli vi raggiunse le più alte vette dell'arte, soprattutto quando era in simpatia col suo modello. I ritratti della moglie (al museo del Prado) e quello di Francesco Bayeu sono fra i suoi capolavori.
Contemporaneamente, essendosi già da molto tempo esercitato nell'acquaforte, incise per la Calcografia reale l'ammirabile serie di ritratti equestri del Velásquez, che va sotto il nome de I Cavalli. Entrato in relazione col Mengs, allora soprintendente alle Belle Arti, egli inizia la serie dei cartoni per la manifattura reale degli arazzi di Santa Barbara. I cartoni sono oggi per la maggior parte riuniti nel Museo del Prado; gli arazzi sono disseminati al Prado, all'Escoriale e al Palazzo Reale. I cartoni innalzarono immediatamente l'artista alla celebrità. Il loro successo fu grandissimo, tanto nelle classi aristocratiche come nel popolo, per il gusto finissimo accoppiato a un carattere schiettamente e vivacemente popolare. Il G. infatti vi inaugurò un genere completamente nuovo, ispirandosi per le sue composizioni ai giuochi e ai costumi popolari, e animandoli con uno spirito vivacissimo nella varietà dei soggetti e degli aggruppamenti, completamente immune da qualsiasi influenza manieristica o accademica. Alcuni particolari fanno pensare al Watteau, altri alle migliori opere del Guardi e del Longhi e ad alcuni schizzi di Tiepolo. Si è fatto anche il nome del Hogarth come termine di paragone. Ma il G. rimane profondamente originale, essenzialmente spagnolo, di una freschezza, di una spontaneità che solo paragonabile a quella di certi affreschi primitivi. Nessun artista poteva dare una visione più rappresentativa della Spagna del secolo XVIII. La Merenda, il Ballo di S. Antonio della Florida, il Mercante di Piatti, la Mosca cieca, la Fiera di Madrid e tante altre composizioni sono fra i capolavori dell'artista.
Con queste opere il G. comincia il periodo più brillante della sua carriera artistica, e prende coscienza del suo grande valore di pittore nazionale. Parallelamente all'esecuzione dei cartoni per arazzi, egli eseguisce alcuni affreschi e quadri religiosi per varie chiese (fra i più importanti gli affreschi di S. Antonio della Florida), ritratti e pitture di genere. La sua fantasia è inesauribile; inestinguibile la sua sete di riprodurre la vita sotto tutti gli aspetti più seducenti. La sua tecnica diviene sempre più spigliata e robusta, il suo spirito sempre più fine e penetrante. Una delle opere principali di questo periodo (1787-1798) sono i ventidue pannelli decorativi eseguiti per l'Alameda, casa di campagna del duca di Ossuna nei dintorni di Madrid, con soggetti per la maggior parte idillici, dipinti con una finezza e un gusto che rievocano le più galanti composizioni dei pittori francesi del sec. XVIII (v. la Romeria de San Isidro al Museo del Prado).
Nel 1780 il G. era stato nominato membro dell'accademia di pittura di S. Fernando: nel 1785 ne fu eletto presidente. Consolidata la sua posizione egli è all'apice del periodo più brillante della sua carriera. Nel 1788, salito Carlo IV al trono di Spagna, fu nominato pittore di corte. I ritratti dei personaggi della famiglia reale sono fra i più noti, se non sempre i più interessanti, pittoricamente, perché spesso obbligati da esigenze auliche ed ufficiali. Il pittore diviene ben presto uno degl'intimi della corte, indispensabile in tutti i ricevimenti e nelle riunioni galanti, il familiare della regina Maria Luisa, della contessa di Benavente e del principe della Pace Godoy (v. i ritratti di Godoy e della sua famiglia presso il marchese Ruspoli Boadilla in Firenze), l'amante della duchessa d'Alba (la Maja vestita e la Maja nuda). In mezzo alle peripezie di una vita agitata e avventurosa produce in questi anni una serie di opere, specialmente ritratti, che sono gl'interpreti più fedeli della vita del suo tempo, e hanno un profondo valore, oltre che pittorico, anche psicologico e filosofico. La forza dello spirito del G. è veramente di una profondità impressionante. Come giustamente osserva il suo biografo Ch. Yriarte, egli ha indovinato e presentito tutto, egli è un enciclopedista, e rappresenta in Spagna i grandi demolitori della Rivoluzione francese. I suoi Capricci sono nella loro amara ironia un corso di alta morale. Bisogna dunque, se si vuole capire e apprezzare intimamente le opere del G. considerarle nel loro ambiente storico e politico, nel grande dramma della nazione spagnola che si conclude con la caduta di Carlo IV e le scene terribili dell'invasione francese. Il quadro del Dos de Mayo (Prado) è uno dei più tragicamente e ferocemente potenti che l'artista abbia mai dipinto, e la serie dei Disastri della guerra non è altro che un grido di rivolta contro l'invasore. Nella serie delle sue incisioni, oltre i Capricci e i Disastri, vanno ricordati la Tauromachia, i Proverbî ("Disparates"), i Prigionieri e le Opere scelte. La maggior parte dei disegni originali per queste acqueforti si conservano al Prado.
La restaurazione di Ferdinando VII (1814) cambiò completamente le condizioni politiche e sociali di Madrid, e il G., ormai settuagenario, si sentiva a disagio col nuovo sovrano. Afflitto dalla solitudine e dalla sordità si ritirò nella sua Quinta del sordo, piccola casa di campagna sulle rive del Manzanares, presso Madrid, che egli stesso aveva decorato di quegli affreschi spaventosi che, distaccati, si conservano nel Museo del Prado. Dopo un soggiorno di qualche mese a Parigi, si ritirò a Bordeaux in compagnia della sua fedele e ancor giovane amica Madame Léocadie Weiss, natura espansiva e vivace che col suo spirito e con la sua devozione allietò la triste vecchiaia dell'artista fino alla sua morte.
L'influenza del G., come pittore e acquafortista, è stata grandissima non solo sull'arte del suo tempo e del suo paese, ma su tutta l'arte moderna europea. (V. tavv. CXXI-CXXIV).
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