FRISIANI, Gottardo
Nacque a Milano tra il 1550 e il 1555, figlio di Agnese Puteo e di Giovanni Donato, un agiato borghese dedito a speculazioni finanziarie, discendente da una famiglia già conosciuta nel Medioevo. Il 22 apr. 1575, alla morte del genitore, maggiorenne, procedette immediatamente alla adprehensio dell'eredità paterna, cominciando subito i traffici volti ad accrescere l'entità del suo patrimonio.
Queste sostanze comprendevano otto "fitti livellari" su beni di campagna (sostanzialmente mutui garantiti da beni fondiari, simulati come contratti di vendita con diritto di riscatto) per un valore di 33.330 lire imperiali; quindici di questi "livelli" su case e appartamenti di Milano, per un capitale di 67.757,85 lire; tre "redditi camerali" corrispondenti ad appalti sulla riscossione del dazio della mercanzia, della macinazione e del vino; un piccolo patrimonio fondiario e del denaro liquido. Un tale capitale sarebbe stato sufficiente a garantirgli una buona rendita, non però a permettergli di ampliare l'estensione del patrimonio fondiario e consentirgli l'acquisizione di un titolo nobiliare.
Ampliando e sviluppando la strategia che era stata del padre, il F. impiegò le sue finanze secondo tre principali direttrici: operazioni di mutuo su beni di campagna e di città, appalti di imposte e investimenti in redditi fiscali, acquisti di proprietà terriere.
I "fitti livellari" permettevano al F. di procedere al sequestro degli immobili posti a garanzia del mutuo quando il mutuatario non fosse stato in grado di pagare il fitto annuale, il che accadeva spesso, e ottenerne poi la vantaggiosa assegnazione in solutum. A partire dal 1577 investì in mutui garantiti da beni agricoli e da case in Milano un capitale che arrivò, alla sua morte, a 242.174,50 lire, corrispondenti a un rendimento in interessi di 115.802 lire (all'anno, in media, lire 3.405,94). Queste operazioni di mutuo furono sempre occultate, con l'aiuto del notaio, sotto la forma di contratti di compravendita di fitti livellari per evitare di incorrere nelle disposizioni canoniche e civili in materia di usura. Il tasso annuo applicato tra le parti fu in media del 5%, con un lieve aumento dopo il 1594.
In materia di appalti il F. cominciò con l'acquistare nel 1578 un quarto della tassa sulla cavalleria e un quarto dell'aumento del censo sul sale, per 11.500 lire, da G. Cagnola, che ne era l'appaltatore per l'Agro cremonese. Nel 1583 cedette questa parte di nuovo al Cagnola in cambio di un altro quarto del tributo, che rivendette infine agli eredi dell'appaltatore nel 1594 ricavandone 24.246,70 lire. Non soddisfatto però del ruolo di appaltatore diretto, da quell'anno in poi il F. preferì concentrarsi nell'acquisto di porzioni di determinate entrate fiscali dalla Regia Camera, vale a dire nel concedere prestiti all'amministrazione (a un tasso che andava dal 7 al 9%, più elevato di quello convenuto con i privati) in cambio di cespiti fiscali, in questo caso parti dei dazi sul vino, la macinazione e il sale. In trentaquattro anni di attività il F. impiegò in tali investimenti 128.150 lire, che ne fruttarono 134.261,90, in media 3.948,60 lire annue. Oggetto principale delle sue cure fu però l'acquisizione e l'ampliamento della sua proprietà fondiaria, che sorse nella zona di Corbetta, presso Milano, particolarmente avvantaggiata dal punto di vista irriguo e produttivo. A Corbetta il F. comprò 900 pertiche di terreno già nell'agosto 1576, al prezzo di 58.600 lire pagabili a rate in quattordici anni.
Questo possedimento alla fine del 1588 era già arrivato alla superficie di 1.725 pertiche, che nel 1608, alla vigilia della morte del F., giunsero alle 2.700, per un costo totale di 203.319,15 lire, pari a 75,80 lire a pertica.
È da notare anche il fatto che il F., pur non occupandosi mai di economia dal lato teorico, ebbe sempre la consapevolezza pratica del principio che l'inflazione favorisce il debitore rispetto al creditore, fatto dal quale derivò l'abitudine di saldare sempre i propri debiti in un lungo periodo di tempo, a un interesse fissato al momento della conclusione del contratto, e viceversa non concedere mai proroghe o dilazioni quando doveva incassare o impossessarsi del bene posto a garanzia del credito.
Il F. il 3 giugno 1580 acquistò dai fratelli Cavalieri una "casa grande" con giardino, situata nel rione Braide vicino alla parrocchia di S. Eusebio in Porta Nuova, a Milano, pagandola 38.000 lire, in rate fino al 15 apr. 1592, con un costo di fatto (interessi compresi) di 44.250 lire.
Nel 1586 sposò Francesca di Ludovico Ricci che gli diede cinque figli: Margherita, Camilla, Donato, Antonio e Faustina. Il patrimonio del F. era diventato ormai considerevole; di lì a pochi anni giunse a possedere 300.000 lire di beni immobili (compresi cinque palazzi in Milano) e 293.500 di mobili (mutui garantiti, redditi camerali, 1.200 quote del Banco di S. Ambrogio), in totale 593.500 lire.
Allo stesso modo degli affari, il F. pianificò il destino dei suoi figli: Margherita e Camilla, che non avevano più di sedici anni, nel 1603 entrarono nel convento di S. Agostino a Milano, dove pronunciarono i voti solenni nel 1605; Donato scelse anch'egli la vita religiosa nel 1607, chiedendo di essere ammesso nella Compagnia di Gesù. Solo Antonio e Faustina formarono una famiglia, l'uno sposando Ippolita Carcassoli e l'altra Giovanni Battista Corio. In tal modo il patrimonio familiare non corse il rischio di essere frazionato in troppe parti, anche se il F. volle comunque assicurare alle sue due figlie suore una "dote spirituale" di 4.000 lire, oltre a vestiti, suppellettili e mobili; in più si impegnò a versare a ciascuna di loro una pensione vitalizia di 75 lire, che alla sua morte sarebbe aumentata a 100 lire, vincolando al versamento anche i propri eredi.
Molto abile nella finanza, il F. lo fu in misura minore come imprenditore agricolo: nell'intento di massimizzare i suoi profitti, egli affittò i terreni di Corbetta chiedendo in cambio sempre maggiori quantità di frumento e segale, a danno delle altre colture tradizionali e soprattutto della rotazione delle coltivazioni. A lungo andare la produttività della tenuta sarebbe diminuita, ma non risulta che egli vi fece mai investimenti per ottenerne miglioramenti di sorta.
Fu assai più accorto invece dal punto di vista giuridico: tutti i suoi atti furono sempre stipulati nella forma migliore per non far sorgere sospetti di usura. Inoltre, non fidandosi neanche dei suoi amministratori, specialmente a partire dal 1584 curò personalmente la scrittura e la tenuta dei propri regesti notarili con una meticolosità non comune nella sua epoca.
L'ultima di queste scritture fu stipulata l'8 genn. 1609. In quello stesso anno, poco tempo dopo, il F. morì improvvisamente a Milano.
Fonti e Bibl.: Milano, Bibl. Trivulziana, Codici, C. 85 (è la "Rubrica instrumentorum confectorum per Mag.cum D. Gotardum Frisianum a morte quondam Mag.ci D. Donati patris sui in antea, qui Mag.cus D. Donatus decessit die 22 mensis aprilis 1575, et rogatorum per diversos notarios Mediolani…"); Cons. Araldica, 18; A. De Maddalena, Formazione, impiego e rendimento della ricchezza nella Milano spagnola. Il caso di G. F., in Riv. delle società, V (1960), 4-5, e in Studi in onore di Epicarmo Corbino, a cura di D. Demarco, I, Milano 1961, pp. 147-182; U. Petronio, Il Senato di Milano, Varese 1972, p. 200; A. De Maddalena, Dalla città al borgo, avvio di una metamorfosi economica e sociale nella Lombardia spagnola, Milano 1982, pp. 65-92, 260-263, 266.