GOTOFREDO (Gotifredo)
Divenne arcivescovo di Milano nel luglio o nell'agosto del 974 (il suo immediato predecessore, Arnolfo [I], era morto il 16 aprile). Un placito del luglio 962 per il monastero di S. Salvatore di Tolla nel Piacentino (Codex diplom. Langob., n. 673) nomina quale interveniente e sottoscrittore un "Gotefredus clericus ac notarius". Se l'identificazione fosse inequivoca, il documento costituirebbe l'unica testimonianza dell'inizio della carriera ecclesiastica di G. nell'entourage dell'arcivescovo Valperto, all'epoca già schierato con Ottone I dopo essere stato un convinto fautore di Berengario II.
Al momento della nomina ad arcivescovo G. era solo suddiacono; la qual cosa, secondo la testimonianza del Liber gestorum recentium di Arnolfo, comportò la difficile accoglienza del clero e del popolo: "primo quidem a clero reprobatus et populo, eo quod sacerdotalem vel leviticum nondum ascenderat gradum, subdiaconus tantum" (ed. Scaravelli, p. 66). Ma la scelta fu accettata per fedeltà al re, vale a dire per imposizione della volontà di Ottone II, già consors Imperii dal 967 e imperatore unico dopo la morte del padre, avvenuta il 7 maggio 973.
Forse proprio in occasione della nomina, in previsione di un'annunciata visita a Milano dello stesso imperatore, poi però non avvenuta, oppure in attesa del suo viaggio in Italia - verificatosi solo nell'inverno del 980 (più di un anno dopo la morte di G.) - l'arcivescovo donò alla basilica ambrosiana una pregevole situla d'avorio, ora conservata nel tesoro del duomo, finemente decorata da figure in bassorilievo. Il secchiello liturgico era destinato a servire da strumento nella cerimonia della consacrazione dei re d'Italia, cerimonia che i presuli milanesi, proprio in questo periodo, avevano avocato a sé. L'orlo della situla reca un'iscrizione "Vates Ambrosi Gotfredus dat tibi sancte/ vas veniente sacram spargendum caesare lympham" rivelatrice dei rapporti di vicinanza tra G. e la corte tedesca. Secondo, poi, una suggestiva ipotesi del Bertelli (1981), G. sarebbe anche il committente della decorazione a stucco del ciborio di S. Ambrogio, databile all'ultimo ventennio del X secolo. Sul timpano nord dell'imponente costruzione architettonica che domina la navata centrale della basilica ambrosiana, l'arcivescovo si sarebbe fatto immortalare nelle vesti di un personaggio aureolato, riverito dai suoi fedeli concittadini e incoronato dalla mano di Dio. Il Bertelli coglie un ulteriore indizio della committenza di G. proprio nell'analogia tra la sua elezione, come s'è detto osteggiata perché egli era solo suddiacono, e quella di s. Ambrogio, raffigurato nel timpano est del ciborio, che fu elevato alla dignità episcopale senza essere ancora battezzato. Ma, come ha rilevato il Tomea, una rappresentazione così sfacciatamente autocelebrativa, nelle sembianze di un santo investito dell'autorità archiepiscopale direttamente da Dio, è però impensabile per la mentalità del tempo. Se la decorazione fu commissionata da G., egli potrebbe invece essersi fatto effigiare nel timpano est, in quell'ecclesiastico che, chino in atto di reverenza e assistito da s. Gervasio, nell'atteggiamento tipizzato del committente dona a s. Ambrogio un modellino del ciborio stesso.
Ancora Arnolfo, subito dopo aver narrato della problematica nomina ad arcivescovo, senza soluzione di continuità riferisce dell'appoggio che G. avrebbe prestato alla fazione germanica, per la conquista della corona italica, contro i figli di Berengario II: "Extrema vero pace receptus, regie fidelitatis gratia, contra filios Berengarii dimicavit. Quorum Vuidone interfecto, Conone pactione quieto, Adelbertus ceteris animosior diebus vite omnibus factus est in diversa profugus" (ed. Scaravelli, p. 66). Ma gli episodi di un eventuale intervento in prima persona di G. come fautore della casa di Sassonia devono necessariamente riferirsi al periodo di regno di Ottone I, durante l'arcivescovato di Valperto. È comunque il solo Arnolfo a collegare la figura di G. all'uccisione del secondogenito di Berengario, Guido, avvenuta in verità il 25 giugno 965 - ben 9 anni prima della elezione di G. alla cattedra milanese - in uno scontro sul Po tra i berengariani e le truppe imperiali comandate da Burcardo di Svevia.
Di questa battaglia parla brevemente anche la Continuatio del Chronicon di Reginone di Prüm, accennando a "Langobardi imperatoris fideles" associatisi a Burcardo nel sostegno a Ottone. Il Mor, combinando evidentemente questi dati, ipotizzò che il duca di Svevia avesse trovato ospitalità - una volta chiamato da Ottone a dare man forte alla sistemazione del Regnum Italiae - proprio presso G., il cui nome sarebbe dunque da comprendere tra i "fideles" citati dal continuatore di Reginone come partecipanti anche alla battaglia del 25 giugno.
Ancora, è il solo Arnolfo ad accennare all'intervento di G. nella pacificazione con il terzogenito di Berengario, Corrado Conone, già comes di Milano, che risulta in effetti reintegrato nella carica avita di marchese di Ivrea certamente a partire dal 970, se non già subito dopo la morte di Guido. Così come non ci sono altre testimonianze di rapporti con il primogenito Adalberto, fuggiasco in vari luoghi fino alla morte, avvenuta in Borgogna tra il 972 e il 975.
I pochi documenti che nominano G. testimoniano soltanto l'intervento in atti privati di due suoi fiduciari per garantirne la validità: nel maggio 975 (Codex diplom. Langob., n. 762) il suddiacono Adelberto, "missus de parte domni Gotefredi archiepiscopi", assistette a uno scambio di beni tra un Adelberto, arciprete e custode della basilica di S. Giovanni "ad quattuor facies", e tre fratelli di Cambiago; mentre nel dicembre 976 e nell'aprile 979 il prete "Petrus qui et Azo", nello stesso ruolo di messo dell'arcivescovo, autorizzò con la sua presenza alcune permute di terre appartenenti alla chiesa del castello di S. Maria di Monte Velate.
G. morì il 19 sett. 979, dopo un episcopato di 5 anni, 1 mese e 23 giorni. Su questi dati concordano i cataloghi archiepiscopali più antichi (quello edito da Dümmler e quello edito da Bethmann e Wattenbach e poi da A. e G. Colombo). Il giorno 20 segnalato come data della morte nel catalogo del cosiddetto Beroldus Novus (edito dal Muratori) e i conseguenti 24 giorni, invece di 23, di episcopato riportati nel catalogo edito da Scaravelli (p. 170) derivano da un errore del copista.
Ultimo di una serie di ben sette vescovi del X sec., egli fu sepolto nella cattedrale di S. Maria Iemale, che sorgeva nel cuore della città (in corrispondenza dell'area oggi occupata dal duomo), a differenza dei suoi predecessori del IX sec., inumati nella necropoli episcopale di S. Ambrogio, fuori dalle mura antiche, e degli immediati successori che, a partire dallo stesso Landolfo da Carcano, furono seppelliti nei monasteri di loro fondazione (S. Celso, S. Vittore al Corpo e S. Dionigi).
Fonti e Bibl.: Catalogus archiepiscoporum Mediolanensium a s. Barnaba usque ad annum 1251, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., I, 2, Mediolani 1725, col. 229; Catalogus archiepiscoporum Mediolanensium, a cura di A. Colombo - G. Colombo, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., I, 2, p. 101; Catalogus archiepiscoporum Mediolanensium, a cura di L.C. Bethmann - W. Wattenbach, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, VIII, Hannoverae 1848, p. 104; Reginone di Prüm, Chronicon cum continuatione Treverensi, a cura di F. Kurze, Ibid., Scriptores rer. Germ. in usum scholarum, L, ibid. 1890, pp. 175 s.; Arnolfo di Milano, Liber gestorum recentium, a cura di C. Zey, ibid., CLVII, ibid. 1994, p. 128 n. 99; Catalogus archiepiscoporum Mediolanensium, a cura di E.L. Dümmler, in Gesta Berengarii, Halle 1871, p. 164; Codex diplomaticus Langobardorum, a cura di C. Porro Lambertenghi, in Monumenta historiae patriae, Chartarum, XIII, Augustae Taurinorum 1873, coll. 1168 n. 673 (luglio 962), 1340 n. 762 (maggio 975); Regesto di S. Maria di Monte Velate sino all'anno 1200, a cura di C. Manaresi, in Regesta chartarum Italiae, XXII, Roma 1937, pp. 8 s. n. 8 (dicembre 976), n. 9 (aprile 979); Arnolfo di Milano, Liber gestorum recentium, a cura di I. Scaravelli, in Fonti per la storia dell'Italia medievale, Storici italiani dal Cinquecento al Millecinquecento ad uso delle scuole, I, Bologna 1996, pp. 66 (I, 8), 68 (I, 10), 170; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo e alla descrizione della città e campagna di Milano ne' secoli bassi, I, Milano 1854, pp. 614, 619; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300 descritti per regione, II, La Lombardia, 1, Milano, Firenze 1913, pp. 373 s.; C.G. Mor, L'età feudale, I, Milano 1952, pp. 110, 319, 345; E. Besta, L'età ottoniana, in Storia di Milano, II, Dall'invasione dei barbari all'apogeo del governo vescovile (493-1002), Milano 1954, pp. 481-483; G. Rosa, Le arti minori dalla conquista longobarda al 1000, ibid., pp. 667-673; G.P. Bognetti, Gli arcivescovi interpreti della realtà e il crescere dei minori ordini feudali nell'età ottoniana, ibid., pp. 856 s.; G. Fasoli, Adalberto, in Diz. biogr. degli Italiani, I, Roma 1960, pp. 214 s.; A. Peroni, Nota sulla "situla" di G., in Miscellanea Augusto Campana, II, Padova 1981, pp. 561-574; C. Bertelli, Il ciborio restaurato, in Il ciborio della basilica di S. Ambrogio di Milano, Milano 1981, pp. 20-38, 56-61; A. Ambrosioni, Gli arcivescovi nella vita di Milano, in Milano e i Milanesi prima del Mille (sec. VII-X). Atti del X Congresso internazionale di studi sull'Alto Medioevo, Spoleto 1986, pp. 99, 115-117; J.-C. Picard, Le souvenir des évêques. Sépoltures, listes épiscopales et culte des évêques en Italie du Nord des origines au Xe siècle, Roma 1988, p. 98; C. Bertelli, S. Ambrogio da Angilberto II a G., in Il Millennio ambrosiano. La città del vescovo dai carolingi al Barbarossa, a cura di C. Bertelli, Milano 1988, pp. 72-75, 81 nn. 94-101; Id., Situazione dell'arte in Italia, in Il secolo di ferro: mito e realtà del secolo X. XXXVIII Settimana di studio del Centro italiano di studi sull'Alto Medioevo… 1990, II, Spoleto 1991, pp. 710 s.; P. Tomea, Tradizione apostolica e coscienza cittadina a Milano nel Medioevo. La leggenda di s. Barnaba, Milano 1993, pp. 550-579, 590-592.