GORO di Gregorio
Nacque a Siena verso il 1275 da Gregorio detto Goro di Guccio Ciuti.
Il padre, originario di Firenze, insieme con Lapo e Donato, fu aiuto di Nicola Pisano per il pulpito del duomo di Siena (1265-68) e nel 1272 ottenne la cittadinanza senese (Milanesi). Risulta già morto quando G. è documentato per la prima volta, nei libri fiscali del Comune di Siena degli anni 1311 e 1312 (Bacci) insieme con i fratelli Meo e Ambrogio, anche loro scalpellini o scultori, dei quali non si ha alcuna notizia.
A Siena il nome di G. è registrato solo altre due volte. Romagnoli riferiva una annotazione presente nel Libro della Presta, secondo la quale G. nel 1320 avrebbe abitato in contrada Vallepiatta di Sotto (pp. 319 s.); e nel 1329, insieme con altri due, avrebbe ricevuto un pagamento per un lavoro - "per edificallo" - alla fortezza di Sassoforte in Maremma (p. 325). Nel settembre 1326 G. aprì una bottega a Pisa, come si desume dagli atti di una causa intentatagli da due scultori che sei mesi prima erano stati ingaggiati a Siena per lavorare a Pisa e a Messina (Caleca - Fanucci Lovitch).
Fondamentali informazioni su G. offrono due opere firmate e datate. Si tratta dell'Arca di s. Cerbone nel duomo di Massa Marittima, compiuta nel 1324, con l'iscrizione "Anno D(omi)ni MCCCXXIIII i(n)di(c)t(ione) VII magist(er) Peruci(us) op(er)ari(us) ec(c)l(esia)e fecit fi(eri) h(oc) opus mag(ist)ro Goro Gregorii de Senis"; e del monumento funebre nel duomo di Messina per l'arcivescovo Guidotto de' Tabiati, morto nel 1333, con le iscrizioni "Anno Domini MCCCXXXIII indictione prima V mensis martii" sul lato sinistro, "+ Presul Guidotus iacet hic XPI cola totus hoc meruit vita qui moriretur ita" sul lato anteriore, "Magister Gregorius de Senis fecit" sul lato destro.
Probabilmente l'Arca di s. Cerbone si trovava in origine dietro l'altare maggiore e doveva elevarsi libera nello spazio, sorretta da colonnette; con il rifacimento dell'altare nel 1623-26 il sarcofago con il coperchio fu posto sotto la mensa; verso il 1950 fu collocato nella chiesa inferiore, visibile su tutti i lati. Recentemente l'arca è stata riportata nel posto originario.
L'opera, in marmo bianco, è composta da un sarcofago quadrangolare e da un coperchio a forma di tetto con quattro lati a spiovente, sul quale figurano dodici rilievi: sui lati corti un trilobo e su quelli lunghi cinque tondi, tutti con santi o profeti a eccezione dei due mediani nei quali sono scolpiti una Madonna con Bambino e il Corpo di s. Cerbone vegliato dagli angeli. Il sarcofago reca otto rilievi con scene della leggenda del santo illustrate da brevi iscrizioni. S. Cerbone nacque probabilmente nel 493 in Africa settentrionale, dove fu discepolo di s. Regolo e poi ordinato vescovo di una diocesi. Insieme con s. Regolo, i ss. Giusto, Clemente, Ottaviano e Cerbone sfuggirono alle persecuzioni dei Vandali e si stabilirono in Maremma per condurre vita eremitica. Poiché Cerbone aveva dato alloggio a nemici del re goto Totila, questi lo fece rinchiudere in un recinto di orsi. Contro ogni aspettativa le bestie non lo sbranarono, ma gli leccarono i piedi: questa è la scena del primo rilievo. Il re lasciò libero Cerbone che fu poi eletto vescovo di Populonia; l'abitudine di celebrare la messa all'alba si scontrò con il rifiuto dei fedeli: nella seconda formella essi pregano il vescovo di celebrare la messa all'ora abituale, ma egli rifiuta. Per questo motivo nel terzo rilievo una delegazione di cittadini si reca da papa Vigilio, che manda ambasciatori a convocare il vescovo presso la Santa Sede per giustificarsi (quarto episodio). I due rilievi seguenti mostrano miracoli compiuti dal santo lungo la strada per Roma. Presso un luogo denominato Saliole una terribile sete assalì i legati papali che avevano rifiutato di ricevere dalle mani di Cerbone il pane dell'eucarestia come viatico: nella quinta formella Cerbone spegne la loro sete con il latte di due cerve che si lasciano spontaneamente mungere da lui; e nella sesta il vescovo guarisce tre ammalati nei pressi di Roma. Il settimo rilievo comprende due scene: davanti alle porte di Roma Cerbone chiama a sé uno stormo di oche, che per caso volava da quelle parti, e che egli offre come regalo al papa; questi, informato delle capacità sovrannaturali di Cerbone, lo riceve in piedi (e non seduto sul trono) in forma di rispetto. Nell'ottavo rilievo, assistito dal papa e alla presenza di alcuni fedeli, Cerbone celebra la messa, durante la quale gli angeli intonano il Gloria come segno della benevolenza divina nei suoi confronti. Avvenne cioè quello che, nella sua modestia, egli aveva sempre voluto tenere nascosto: l'ultima scena svela quindi il motivo per cui Cerbone era solito celebrare la messa così presto.
Riferendosi ai rilievi di G., Carli usò la felice espressione "stile di predella", nel quale si trovano riunite le caratteristiche del piccolo formato, quali la concezione pittorica, la vivacità delle figure, la meticolosa osservazione dei dettagli. Secondo Carli, lo "stile di predella" non è un'invenzione personale di G., ma della scultura senese del primo terzo del Trecento. Tuttavia, le sue opere presentano una peculiarità stilistica, riscontrabile nel taglio cristallino delle forme plastiche che riguarda sia il paesaggio sia il drappeggio, dal tipico andamento fluente, delle gracili figure. Nei rilievi di G., nei quali la plastica articolazione delle forme suscita una forte alternanza di luce e ombra, coesistono da una parte espressività e astrazione delle figure, e dall'altra, accanto a deformazioni tipicamente gotiche, riflessi della scultura classica nel taglio dei volti.
Il monumento funebre dell'arcivescovo Guidotto de' Tabiati è una tomba pensile; il sarcofago poggia direttamente su una base a mensola e sul suo fianco anteriore si trovano un rilievo con l'Annunciazione, una tavola con iscrizione e un'Adorazione dei magi; sul fianco destro la Flagellazione e su quello sinistro la Crocifissione. Il letto funebre, sul quale la figura del defunto giace in paramenti vescovili, è collocato direttamente sul sarcofago, con sei campi di stemmi.
Questa tomba non si presenta più secondo il suo assetto originario. Alla fine del XVI secolo dovette essere smontata, e poco tempo dopo ricomposta in un'altra zona del duomo in forma diversa e ridotta. L'aspetto attuale è comunque frutto di altri due danneggiamenti: il terremoto del 1908 e un incendio nel 1943. Alla fine del XVI secolo la mensola di sinistra fu sostituita da due basse colonne, e sul sarcofago è stata collocata la tavola iscritta al posto di un rilievo, probabilmente distrutto, con la Nascita di Cristo. Manca però molto di più. Con tutta evidenza per il suo monumento funebre G. prese come modello le tombe di Tino da Camaino per il cardinale Petroni nel duomo di Siena e per il vescovo Antonio d'Orso in quello di Firenze. Guardando queste due opere si può stabilire che, con ogni probabilità, in origine il sarcofago del monumento messinese non poggiava direttamente sulla base a mensole, ma, come nella tomba d'Orso, era sorretto da tre leoni accovacciati. La diversa lunghezza del sarcofago e del letto funebre costituisce un chiaro indizio del fatto che i pilastri di un baldacchino dovevano poggiare sul sarcofago. Questo baldacchino, che doveva servire da camera funebre (eventualmente con sfondo dipinto), era probabilmente coronato da un'edicola nella quale trovò forse posto la cosiddetta Madonna degli storpi (Messina, Museo nazionale).
Carli ha chiarito dettagliatamente che le opere autografe di G. sono affini stilisticamente, come risulta in particolare dal confronto della Madonna degli storpi con il rilievo della Madonna nell'Arca di s. Cerbone. Le fonti documentarie ci fanno concludere che il monumento funebre per il vescovo era finito a Pisa già nel 1326 o 1327 e fu portato per nave a Messina, dove alcuni aiuti lo montarono.
Già Della Valle indicò G., in quanto autore dell'Arca di s. Cerbone, alla pubblica stima e alla lode dei conoscitori.
Carli seguì questa indicazione nella monografia sull'artista, dove pubblicò il monumento funebre di Guidotto de' Tabiati e la Madonna degli storpi come opere di G., del quale illustrò chiaramente la peculiarità artistica. Contemporaneamente egli da un lato rifiutò l'attribuzione a G. di 11 statue di santi nel duomo di Massa Marittima (Venturi), e dall'altro accettò l'appropriata, ma falsamente fondata, attribuzione (Misciatelli) a G. di una statua di Profeta (già a Francoforte, collezione Hirsch; ora a Siena, collezione Salini).
La monografia di Carli non produsse immediatamente un intensificarsi di ricerche su G.; solo più tardi ebbe un grande effetto: nei due decenni successivi al 1980 sono state attribuite a G. non meno di 22 sculture in marmo, argento e legno che sono da collocare tra il 1300 e il 1330.
Come prime opere di G., verso il 1300, sono stati indicati i due busti, uno femminile e uno maschile, del portale settentrionale di controfacciata nel duomo di Siena e anche il leone che si trova a sinistra del portale principale, pure nell'interno del duomo (Kreytenberg, 1991). Gli altri leoni e i busti del portale meridionale di controfacciata sono stati convincentemente attribuiti da Previtali a Marco Romano.
Le piccole figure fuse in argento della Madonna con Bambino con vescovo adorante inginocchiato davanti alla Madonna e dell'Angelo sul riccio di un pastorale nel Museo capitolare di Città di Castello (Cinelli) devono essere state eseguite nel primo decennio del Trecento, come suggeriscono le forme pesanti e massicce. Il fatto che G. sia stato orafo non può destare sorpresa: lo fanno capire, come ha notato Carli, i rilievi marmorei dell'Arca di s. Cerbone.
La statua di Profeta che Misciatelli attribuiva a G. è databile al 1310-15 circa. Verso il 1315 G. dovette eseguire un monumento funebre in San Gimignano, del quale rimangono tre frammenti: un Angelo reggicortina e un Apostolo (conservati nel Museo d'arte sacra) e un Cristo benedicente (nel Museo civico).
Nel ciclo delle statue monumentali dei dodici apostoli, che originariamente si trovavano sui pilastri del duomo di Siena, e che ora sono nel Museo dell'Opera del duomo, tre di esse, fra le quali un S. Bartolomeo, parlano l'inconfondibile linguaggio artistico di G., quello che si percepisce nell'Arca di s. Cerbone, e devono essere state eseguite negli anni 1315-20 (Kreytenberg, 1991).
Nello stesso periodo G. deve aver scolpito un monumentale baldacchino del quale è sopravvissuto un rilievo del timpano (Siena, collezione Salini) con la Crocifissione (Kreytenberg, 1999). Non è certo se questo baldacchino facesse parte di un altare o di un monumento funebre. Il tema della Crocifissione non comprende solo il Cristo crocifisso, ma anche il pianto di Maria e Giovanni Evangelista sulla sua morte.
All'Arca di s. Cerbone, sono strettamente legati i frammenti del monumento sepolcrale di un giurista - rilievi del sarcofago e statua di un Fraticello (Siena, rettorato dell'Università) - la cui iscrizione, però, registra il nome di Niccolò Aringhieri, morto nel 1374. Già Della Valle fu colpito dal legame stilistico tra le due opere, e, basandosi sulla data di morte, attribuì la seconda a una "scuola di Goro di Gregorio". Di grande rilievo, invece, la scoperta di Bartalini (1985), secondo cui il rilievo del sarcofago e l'iscrizione sono stati erroneamente messi insieme in un momento successivo, durante uno spostamento delle tombe nella chiesa senese di S. Domenico. Bartalini ha potuto convincentemente dimostrare che il monumento sepolcrale era stato eseguito per Guglielmo di Ciliano, documentato per l'ultima volta nell'aprile del 1324; il giurista dovette morire poco dopo, e la tomba fu con ogni probabilità realizzata nel 1325. Al monumento funebre appartenevano due statue di fraticelli. Bartalini (1985) ha rintracciato il pendant della statua di Fraticello nel rettorato dell'Università di Siena in una statua già a Milano, e ora nella collezione Salini di Siena.
Aspetti stilistici fanno pensare che due statuette, sbalzate in argento, su una Crocereliquiario del Tesoro della cattedrale di Padova raffiguranti Gabriele e Maria nella scena dell'Annunciazione siano opera di G. quasi contemporanea all'Arca di s. Cerbone (Cioni Liserani).
In consonanza con esse, anche se più morbidi nel modellato e meno cristallini nelle forme, sono un frammento dell'Annunziata (Boston, Museum of fine arts), una statuetta di Madonna con Bambino (Bartalini, 1990: Firenze, collezione De Carlo) e un piccolo Crocifisso policromo in legno (collezione privata inglese). Queste tre opere furono probabilmente realizzate intorno al 1330, poiché nelle sculture di G. a Messina, ultimo suo lavoro documentato, si può già notare una maggiore fluidità delle forme.
La data di morte di G. si deve collocare intorno agli anni 1330-35.
Fonti e Bibl.: G. Della Valle, Lettere sanesi, II, Roma 1785, pp. 127-131; E. Romagnoli, Biografia cronologica de' bellartisti senesi 1200-1800 (ante1835), I, Firenze 1976, pp. 317-328; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, I, Siena 1854, pp. 153 s.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IV, Milano 1906, pp. 359-367; C. Weigelt, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, Leipzig 1921, p. 403; P. Misciatelli, Una statua sconosciuta di G. di G., in La Diana, IV (1929), pp. 225 s.; P. Bacci, Fonti e commenti per la storia dell'arte senese, Siena 1944, pp. 64, 99, 103; E. Carli, G. di G., Firenze 1946; J. White, Art and architecture in Italy 1250 to 1400, Harmondsworth 1966, p. 287; A. Garzelli, Scultura del Trecento a Siena e fuori Siena, in La Critica d'arte, XV (1968), 94, p. 56; E. Cioni Liserani, in Il gotico a Siena (catal., Siena), Firenze 1982, pp. 104-108; D. Cinelli, ibid., pp. 201-205; R. Bartalini, G. di G. e la tomba del giurista Guglielmo di Ciliano, in Prospettiva, 1985, n. 41, pp. 21-38; Id., Du nouveau sur G. di G., in Revue de l'art, 1990, n. 87, pp. 42-51; A. Caleca - M. Fanucci Lovitch, Due nuovi documenti sull'attività artistica a Pisa: Giovanni Pisano (1307), G. di G. (1326), in Boll. stor. pisano, LX (1991), pp. 79-86; G. Kreytenberg, G. di G. vor 1324, in Städel Jahrbuch, XIII (1991), pp. 125-144; R. Bartalini, in Enc. dell'arte medievale, VII, Roma 1996, pp. 27-29 (con bibl.); G. Kreytenberg, in The Dictionary of art, XIII, London-New York 1996, p. 15; Id., Zwei Darstellungen des Gekreuzigten von G. di G., in Städel Jahrbuch, XVII (1999), pp. 1-10.