GORI PANNILINI (Pannelini), Giovanni Battista
Di nobile famiglia senese, nacque molto probabilmente a Siena nel 1604, da Fabio.
Il nome della famiglia deriva da un Gregorio che, abbreviato alla maniera toscana, fu detto Goro. Se ne ha notizia fin dal 1335 grazie al testamento di Pietro di Goro che lasciò un legato all'ospedale della Scala. Nel 1601 fu aggiunto il nome di Pannilini a causa di un ricco fedecommesso istituito da Marco Antonio Pannilini e pervenuto ai Gori per eredità quando, con la morte, in quell'anno, di Emilio, figlio di Marco Antonio, si estinse il ramo primogenito dei Pannilini. Le ricchezze di Emilio Pannilini, cavaliere di S. Stefano, erano passate a sua figlia Porzia, moglie di Fabio de' Gori. Il rilievo della famiglia si accrebbe con matrimoni mirati, tra i quali quello di Giulio Gori Pannilini con Olimpia Chigi, nipote del fratello del papa Alessandro VII Chigi, e di Silvio Gori Pannilini con Porzia Bichi, nipote del cardinale Carlo Bichi e pronipote del cardinale Metello Bichi. La famiglia vantava inoltre stretti legami di parentela con i principi Altieri, Strozzi di Forano e Piccolomini. Nel 1649 i due rami (quello di Siena e quello di Ancona) furono ammessi dal Senato romano alla cittadinanza.
Addottorato inutroque iure, il G. fu avviato alla carriera ecclesiastica. Oltre all'ufficio di referendario delle due Segnature, il 4 sett. 1626 egli fu ammesso, per mezzo del suo procuratore Pietro Guidotti, nel Collegio degli abbreviatori del parco maggiore in luogo di Galeazzo Marescotti, deceduto nel luglio. Prese possesso dell'ufficio il 20 novembre e lo tenne fino al luglio del 1630, quando gli successe Antonio Iacopo Gallo. Dal maggio 1634 al 1639 fu vicelegato a Bologna sotto i cardinali B. Ubaldi e G. Sacchetti. Nello svolgimento di tale compito "per la sua somma integrità, e piacevolezza, fu grandemente amato e riverito" (Ugurgieri Azzolini, pp. 225 s.). Compito ben più difficile fu quello successivo, quando fu inviato in qualità di inquisitore a Malta, dove svolse anche le mansioni di nunzio pontificio. L'ufficio era importante e di un certo prestigio, visto che lo aveva preceduto in tale compito (dal 1634 al 1639) Fabio Chigi, anch'egli senese, il futuro Alessandro VII, e ancora gli era succeduto Antonio Pignatelli, salito poi alla cattedra di S. Pietro come Innocenzo XII. Nonostante ciò il G. non mostrò di apprezzare questa carica, sia per la lontananza da Roma, sia per alcuni dissensi con i cavalieri di Malta e con il vescovo. Durante i sette anni che trascorse a Malta (dal 1639 al 1646) chiese spesso di essere sollevato da tale compito. All'inizio le sue istanze non furono prese in molta considerazione a Roma, finché non si fecero particolarmente insistenti, motivate anche dalla situazione pericolosa in cui il G. si trovò coinvolto: era stato segretamente avvisato che, per via dell'incarcerazione di certe meretrici, qualcuno tramava di attentare alla sua vita. Ottenne di lasciare l'isola l'8 sett. 1646 e partì verso i primi di ottobre deputando il vescovo di Malta, M. Balaguer De Camarasa, a sostituirlo fino all'arrivo del nuovo inquisitore.
I giudizi sul suo operato di giudice furono piuttosto controversi: fu accusato di aver giudicato certi casi con estrema severità e di aver agito ingiustamente. A distanza di anni dalla sua partenza da Malta continuavano ad arrivare a Roma lamentele e istanze di risarcimento da coloro che, da lui condannati, erano stati poi riconosciuti innocenti. La congregazione del S. Uffizio fu obbligata a moderare o addirittura a revocare alcune sue sentenze, mentre altre furono di nuovo riesaminate, cosa che comunque non comportò alcuna iniziativa contro il Gori. Del resto egli aveva anche ottenuto risultati positivi: aveva favorito le richieste dei Maltesi affinché la S. Sede non attribuisse a stranieri i benefici dell'isola, ma soprattutto aveva ottenuto la libertà dell'arcivescovo Antonio Marullo di Manfredonia, catturato dai corsari francesi, offrendogli anche abiti, denaro e tutto ciò di cui egli aveva bisogno (Bonnici, 1972, p. 51).
Durante il suo ufficio di inquisitore di Malta il G. si prodigò, inoltre, per ottenere la partecipazione dei cavalieri in soccorso dei Veneziani nella guerra di Candia contro i Turchi. Un nutrito carteggio (dal 1645 al 1646) con il cardinale Camillo Pamphili, nipote di Innocenzo X, dà notizia delle relative vicende militari. I primi dispacci del G. da Malta parlano della cattura di un galeone turco sul quale viaggiava un bambino creduto figlio del sultano Ibrahim e dei preparativi di difesa dal temuto, conseguente attacco turco. Poiché sembrava invece che i Turchi non intendessero attaccare Malta, al G. giunsero disposizioni da Roma affinché ottenesse l'aiuto della flotta maltese a quella veneziana. Innocenzo X aveva ordinato di armare cinque galere e duemila uomini, ai quali si sarebbe dovuta aggiungere una flotta ausiliaria formata da dieci galere inviate dal granduca di Toscana e dal viceré di Napoli. I cavalieri di Malta tuttavia, nonostante fossero obbligati dai propri voti a combattere gli infedeli, temendo un sempre possibile attacco contro la loro isola, si dimostrarono poco propensi a imbarcarsi in tale impresa e differirono il loro intervento finché, proprio grazie all'opera del G., il 21 agosto le sei galere maltesi, comandate da Giovanni de Villaroel, si unirono a quelle pontificie, toscane e napoletane nonché, il giorno 29, alla flotta veneziana. Ma la flotta cristiana, che si era mossa con notevole ritardo, non riportò i successi sperati: nel frattempo era caduta la fortezza di Canea e alla fine di ottobre le galere maltesi facevano ritorno in porto.
Nel 1647 il G. fu inviato in Spagna dal granduca di Toscana, Ferdinando II, come ambasciatore alla corte del re spagnolo Filippo IV (suoi segretari furono Mario Baldacchini e Niccolò Buonaventuri). Il G. risulta stabilmente accreditato come residente dal dicembre 1647 fino al settembre 1648, quando fu sostituito da monsignor Ludovico Incontri. In realtà partì da Genova il 16 genn. 1648 con un vascello inglese, sbarcò ad Alicante e giunse a Madrid intorno al 10 febbraio. Prima della sua partenza aveva ricevuto dal primo segretario di Stato, G.B. Gondi, tre lettere con le istruzioni dettagliate per la sua ambasceria.
La prima lettera si riferiva alle visite di rappresentanza da fare a Genova prima del suo imbarco (al doge, a Francesco Maria Spinola, al senatore Luca Giustiniani, al marchese Anton Giulio Brignole Sale, a Giovanni Antonio Sauli). La seconda lettera spiegava tutti i particolari del cerimoniale da osservare alla corte. La terza infine riguardava le tre "materie più principali di negozio […] che hanno da qualche tempo in qua dato occasione a diverse pretensioni e doglianze da quella parte et a giustificazioni e lamenti ancora dalla nostra", e cioè la questione "degli obblighi di soccorsi vicendevoli risultanti dalla capitolazione di Siena", gli interessi pecuniari relativi ai debiti contratti con gli stessi Medici e con il Monte di pietà di Firenze e infine la questione della neutralità fra Spagna e Francia dichiarata dal granduca nel maggio del 1646.
Il carteggio conferma la permanenza del G. a Madrid fino al settembre 1648. Il 1° marzo dello stesso anno infatti (e non nel 1649 come da alcuni è attestato) era stato creato, da Innocenzo X, vescovo di Grosseto, succedendo a un altro nobile senese, Ascanio Turamini. Il G. dunque fu obbligato a tornare in patria perché non aveva ottenuto la proroga del permesso di assentarsi dalla sua diocesi e rischiava che il papa la conferisse ad altri. Egli rimase invece vescovo di Grosseto per il resto della sua vita e indisse sette sinodi dal 1654 al 1662. Il 19 marzo 1660 donò alla cattedrale i corpi dei santi martiri Adriano e Feliciano, che poi fece trasferire nella chiesa di Roselle da lui fatta erigere. Il G. è ricordato anche per aver commissionato a Guido Reni il bel quadro della Circoncisione per l'altare della cappella dei Gori nella chiesa di S. Martino dei padri agostiniani a Siena.
Il G. morì nel 1662 e fu sepolto a Siena nella cappella di famiglia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, bb. 2658; 4969, cc. n.n.; 2716, cc. 312-440; Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Malta, 7-8, 82, cc. n.n. (il carteggio è parzialmente pubblicato in P. Piccolomini, Corrispondenza tra la corte di Roma e l'inquisitore di Malta durante la guerra di Candia (1645-69), in Arch. stor. italiano, s. 5, XLI [1908], pp. 45-55, 65-97); Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat. 6683-6686, cc. 1-86r; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi… Relazione delli huomini e donne illustri di Siena e suo Stato, I, Pistoia 1649, pp. 225 s.; G. Ciampini, De abbreviatorum de parco maiori, Romae 1691, pp. XXXIX s., 80; B. Dal Pozzo, Historia della Sacra Religione militare di S. Giovanni Gerosolimitano detta di Malta, Venezia 1715, p. 35; G. Gigli, Diario sanese, II, Lucca 1723, pp. 445 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 1, Roma 1932, p. 266; A. Bonnici, Superstitions in Malta towards the middle of the seventeenth century in the light of the Inquisition trials, in Melita historica, III (1966), pp. 168 s.; Id., Due secoli di storia politico-religiosa di Malta nel fondo Barberini latino della Biblioteca Vaticana, ibid., IV (1967), p. 245; Id., A bad reputation for the Maltese Inquisition under mgr. John Baptist G.P. (1639-1646), ibid., IX (1972), pp. 50-59; P. Gauchat, Hierarchia catholica, Monasterii 1935, p. 198.