ORIGLIA, Gorello
ORIGLIA, Gorello (Gregorello, Gurello). – Figlio di Pietro, tesoriere della regina Giovanna I, e di Verdella Castagnola, nacque a Napoli nel XIV secolo. La famiglia apparteneva al Seggio di Porto, il medesimo della moglie, una Mele.
La questione dell’origine spagnola o indigena della famiglia divise la genealogistica: questione peraltro non irrilevante dal punto di vista sociopolitico, poiché l’antichità della residenza in uno dei distretti topografici della città era assunto come fattore qualificante per l’ascrizione al corrispondente Seggio e quindi al godimento di determinati privilegi. In effetti la famiglia, documentata nel contesto locale sin dall’età normanno-sveva, consolidò tale incardinamento con opportune strategie matrimoniali. Gestione di uffici e varie forme di servizio di corte costituirono percorsi attraverso i quali nell’età angioina decollò la posizione elitaria degli Origlia, ai quali la «gran virtù» (Terminio, 1581, p. 21) di Gorello assicurò l’immissione nei ranghi della grande feudalità consentendole di elevarsi al di sopra del livello della militia, che all’epoca connotava la nobiltà di Seggio.
Gorello trasse enormi vantaggi dalla congiuntura della lotta per la successione esplosa alla morte di Giovanna I (1382), quando il trono napoletano fu ambìto, oltre che dal cugino Carlo di Durazzo, anche dal pretendente Luigi I d’Angiò, sostenuto dalla Francia. Attivo costantemente nel segno di una solidissima fedeltà durazzesca, percorse una prestigiosa carriera nell’alto funzionariato, che gli assicurò lauti introiti; fu magister rationum, luogotenente del gran camerario e dal 1406 protonotario e logoteta, ufficio che a ragione considerò di grande rilevanza e politicamente strategico (ibid., p. 22; De Lellis, 1663, p. 282). Impegnandosi anche nell’attività militare, lucrò sul riscatto dei prigionieri (Diurnali..., 1960, p. 71) e le sue fortune si incrementarono al punto che arrivò a sovvenzionare la Corona stessa durante il regno di Carlo III, il vicariato della moglie e il regno del figlio Ladislao. Un episodio (Pontano, De prudentia, V, p. 218) rimanda quasi emblematicamente a un modello di solidarietà politica tra Corona e ceto di officiales nel quale ben s’inquadra la vicenda personale di Origlia: all’indomani della rotta di Roccasecca (1411), «quamquam senex et pedibus laborans», partecipò al parlamento indetto per la circostanza e, alla proposta del re d’imporre nuove tasse, non solo avrebbe prospettato l’impopolarità del provvedimento e le sue ripercussioni negative sul rapporto tra paese e sovrano, ma avrebbe anche suggerito che i collaboratori del re (i familiares e gli administri) si autotassassero per far fronte alla congiuntura finanziaria, sottolineando come le fortune stesse del ceto dirigente dipendessero dalle sorti politico-militari del sovrano e, «assumpto confestim calamo», per primo avrebbe sottoscritto una grossa somma.
La potenzialità economica e finanziaria conseguita da Origlia è documentata da vari dati: quelli, sia pure incompleti, relativi a rimborsi per sostanziosi prestiti fatti al re nel tempo (nel 1398 gli si restituivano 12.000 ducati, nel 1394, 100 once, nel 1403, 1739 once, 1755 once nel 1404); i versamenti per terre concessegli dal re «ob remunerationem suorum servitiorum» o vendutegli da questo e da altri soggetti; gli introiti per stipendi relativi agli uffici ricoperti (nel 1391, 30 once per l’ufficio di magister rationalis e 75 per quello di luogotenente del gran camerario; nel 1406, 300 once per la carica di logoteta e protonotario ed altre 100 per il diritto di sigillo); le varie elargizioni regie (nel 1397 in dono propter servitia per se e i suoi eredi in perpetuo 70 once sulla gabella del ferro, acciaio, pece e rame di Francavilla in Abruzzo; nel 1399, la gabella sulla piazza maggiore di Napoli; nel 1404 licterae tractarum per 700 salme di frumento; nel 1412, 1500 once sulla tratta del sale di Principato Citra); la gestione di numerose capitanie (nel 1406 per Montalto nel territorio di Sessa, per 8 anni nel 1407 per Boiano, Pietraroia, Faicchio, Limatola e per Rocca Pipirozzi e Squillo; nel 1408 per Pomigliano e Mariglianella con la facoltà di farsi sostituire, per Acerra, e per Ottaviano in forma ereditaria). Tra le terre vendutegli dal re: nel 1401, il castrum Onoraticum e il castrum Maranole nella contea di Fondi per 1300 once; nel 1406, la città di Caiazzo e tutte le terre feudali dipendenti; nel 1407, la terra di Camerota con i casali; nel 1408, la terra di Campori e Caselle per 2100 once; nel 1408, la città di Acerra col titolo di conte per 1400 fiorini; la baronia di Brienza con Sasso e Camerota per 20.300 ducati; Pomigliano per 6500 ducati; il castrum Tricase in Terra d’Otranto per 4200 ducati; Squilla e castrum Pipirozzi per 1800 ducati; il castrum di Pettorano in Terra di Lavoro per 1000 ducati; nel 1410 per la terra di Corigliano e S. Mauro 5180 once; per Limatola 1000 once; per Genzano 1000 once; per Dugenta 1250 once; per Melizzano 400 once; nel 1412 Sala in Principato per 1200 once. Tali vendite furono effettuate «per bassissimo prezzo; benché il Re fa menzione che il più che valeano le Terre, il donava a conto di rimunerazione» (Di Costanzo, 1769, p. 351). Dal re ebbe in dono nel 1400 il castrum di Montemalo (S. Arcangelo Trimonte) in Principato Ultra. Esercitò il suo dominio su numerosissimi altri centri abitati e castelli comprati da vari soggetti: nel 1400 il castrum di Trentola per 750 once da Giacomo d’Aquino, conte di Loreto; nel 1402 un feudo nel territorio di Frignano di circa 340 moggi; nel 1404 acquistò dal duca di Sessa il feudo di Montalto e il castrum Campilli da Luigi Caracciolo per 166 once; nel 1406 il casale di Casolla da Giacomo d’Aquino; il castrumMastratii da Paride Sanfelice; nel 1407 versò 500 once a Baldassarre della Ratta conte di Caserta per una vertenza su alcuni dei possedimenti già acquistati e sui quali il Della Ratta vantava dei diritti; nel 1408 il castrum di Pomigliano da Guglielmo Tocco per 6000 fiorini.
Quando nel 1385 Carlo III, proclamato re d’Ungheria, vi si diresse, nominò Gorello nel Consiglio di corte incaricato di assistere la moglie, sua vicaria, che Origlia seguì allorché questa, costretta nel 1387 ad abbandonare la capitale occupata dal vittorioso Luigi d’Angiò, si rifugiò a Gaeta. Ladislao, quando partì per l’Ungheria per rivendicarne la Corona e ancora una volta nel 1408 quando si accinse alla campagna di Toscana, lo nominò in un consiglio che affiancò nel governo del Regno la moglie Maria di Lusignano.
Nel 1386, forse anche in considerazione dei suoi legami con la nobiltà di Seggio e dell’appoggio che poteva venirgli dalle sue relazioni familiari, fu inviato a Napoli per negoziare l’accordo con gli Otto del Buono Stato che gestivano il governo della capitale, alla quale concesse il godimento della gabella del Buon denaro. Da Gaeta nel 1388 organizzò con un piccolo gruppo di armati un’audace spedizione su Napoli, guadagnandosi fama di valoroso capitano: assaltò e occupò l’altura di Pizzofalcone dominante la città e da lì bombardò il nemico asserragliato nel sottostante Castel dell’Ovo. A compenso ottenne, tra l’altro, la concessione del prestigioso sito.
Nel 1391, come procuratore, concluse le trattative per il matrimonio di Ladislao, con Costanza, figlia di Manfredi di Chiaromonte, conte di Modica, fornita di una ricca dote. Nel 1393 col fratello Antonio partecipò con un gruppo di sostenitori di Ladislao alla vittoriosa campagna in Abruzzo e per la conquista dell’Aquila contro i fautori dell’angioino. Nell’aprile 1393 fu tra i procuratori che trattarono il matrimonio di Giovanna, sorella di Ladislao, con Teodoro di Monferrato e nel 1399 quello di Giovanna con Guglielmo d’Austria; matrimoni ambedue però non realizzati. Ricevette inoltre una procura per ottenere per il re un mutuo di 30-40.000 fiorini.
Nell’ultima fase della lotta condotta da Ladislao per la riconquista di Napoli, controllata allora da Luigi II d’Angiò, Gorello – secondo Di Costanzo «uomo di molta prudenza e di grande uso nelle cose del Mondo» (1769, p. 324) – inviato nel 1399 in ambasceria presso il papa, sostenne la strategia vincente di impedire i rifornimenti dal mare alla città, piuttosto che intraprendere un logorante assedio; nel luglio fu inviato da Gaeta a Napoli per concludere i negoziati della resa della città e ne stipulò i capitoli nel consiglio tenutosi nella chiesa di S. Pietro Martire. Nel 1411 la Serenissima in riconoscimento dell’attività spesa per costruire la solidarietà tra Napoli e Venezia riconobbe a lui e ai suoi discendenti la cittadinanza.
Fondò e riccamente dotò la chiesa di Monteoliveto a Napoli. L’iniziativa, avviata già nel 1408-09, si realizzò soltanto nel 1411 per i dissapori intervenuti con i monaci olivetani che avevano abbandonato Gregorio XIII, protetto da Ladislao, per sostenere Giovanni XXIII. Quando l’atteggiamento della corte durazzesca cambiò orientamento, Origlia passò all’attuazione del progetto.
Morì nel 1412 (sembrerebbe a Gaeta, perché lì nel 1412 giacendo infermo dettava un codicillo al testamento); la residenza napoletana era nel distretto del Seggio di Porto, se nel 1408 un atto risulta redatto «in quadam magna sala hospitii habitationis suae» (Branc. IV.A.14, cc. 120 r, 119v).
Ebbe modesta sepoltura nella chiesa di Monteoliveto. In base al privilegio ottenuto di suddividere i possedimenti (secondo Marchese 80 terre) tra i figli, ognuno di essi ebbe assegnata una contea (Caserta, Acerra, Corigliano, Brienza, Tricarico, Potenza). Si trattò di un successo effimero, perché, oppostisi a Giovanna II, gli eredi videro abbattuta la loro potenza dall’azione di Sergianni Caracciolo.
Fonti e Bibl.: Napoli, Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele, Manoscritti, Branc. IV. A. 14. Miscellanea. Notizie estratte da diversi Archivi, cc. 48-138 (passim); III. A. 16, De familia Aurilia, cc. 35-47 (vi attinse De Lellis); III. D. 3, c. 158; III. C. 10, c. 114; VI. A.10, cc. 1r-27r.; Cronicon Siculum incerti authoris ab anno 340 ad annum 1396, cura et studio J. De Blasiis, Napoli 1887 (Monumenti storici. Società napoletana di storia patria. Serie prima. Cronache), p. 66; Diurnali del Duca di Monteleone, a cura di M. Manfredi, in Rer. Ital. Script., II ed., 21/5, Bologna 1960, p. 71; M.A.Terminio, Apologia di tre Seggi illustri di Napoli, Venetia, appresso Domenico Farri, 1581, pp. 21-25;Vindex Neapolitanae nobilitatisCaroli Borrelli Animadversio in Francisci Aelii Marchesii Librum de Neapolitanis familiis, Napoli 1653, pp.178 s.; C. De Lellis, Famiglie nobili del Regno di Napoli, p.te II, Napoli 1663, pp. 263-305; A. Di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Napoli 1769, pp. 293, 324, 351; A. Valente, Margherita di Durazzo vicaria di Carlo III e tutrice di re Ladislao, Napoli, 1919; F. Strazzullo, La fondazione di Monteoliveto a Napoli, in Napoli nobilissima, III (1963), pp. 103-111; A. Cutolo, Re Ladislao d’Angiò Durazzo, Napoli, 1969, pp. 102, 132, 148, 162 s., 179, 188, 190, 229, 232, 235, 246, 275, 317, 390, 415; Id., Maria d’Enghien regina di Napoli, Galatina, 1977, pp. 46, 53; G. Vitale, Elite burocratica e famiglia. Dinamiche nobiliari e processi di costruzione statale nella Napoli angioino-aragonese, Napoli 2003, pp. 17, 21 , 57, 60 s., 63-67, 80 s., 84, 94, 110, 144, 150, 157, 280-284, 314.