Vedi GORDION dell'anno: 1960 - 1994
GORDION (v. vol. III, p. 978 e S 1970, p. 49, s.v. Anatolia)
Nel 1950 l'Università di Pennsylvania diede inizio a un programma di scavi, durato fino al 1973 e ripreso nel 1988. Scarsamente indagate sono state le fasi dell'Età del Bronzo nell'area del colle su cui sorgeva la città, mentre è stata scavata una necropoli dell'antico periodo ittita, costituita da sepolture a pìthos.
Il periodo meglio documentato è quello della civiltà frigia, nel corso del primo millennio a.C., per la quale G. costituisce la fonte più importante di dati archeologici. I Frigi, secondo le fonti classiche (p.es. Herodot., VII, 73), giunsero in Anatolia dall'Europa sud-orientale. Nonostante la loro presenza a G. non possa essere documentata dal punto di vista linguistico prima della fine dell'VIII sec., il fatto che nei primi strati dell'Età del Ferro sia stata rinvenuta ceramica eseguita a mano con caratteristiche simili a quella della Tracia suggerisce l'ipotesi che un elemento europeo fosse presente forse già dagli inizi del primo millennio.
È solo verso la metà dell'VIII sec., però, che cominciano le prime testimonianze archeologiche della cultura frigia a Gordion. La località offre ampie testimonianze dell'esistenza di un regno anatolico florido e potente, anche se l'oro, per cui re Mida doveva divenire in seguito famoso, è scarsamente attestato. Sul colle della città una cittadella imponente e ben fortificata costituiva sicuramente il centro di potere di Mida.
Un vasto ingresso a SE dava accesso all'area del palazzo reale, consistente in due cortili all'aperto, delimitati da edifici con pianta a mègaron, un elemento ricorrente nella architettura frigia. La sala più grande, il mègaron 3, nel cortile interno, era arredata sontuosamente ed era probabilmente il centro di tutto il complesso reale. I mègara 1 e 2, nel cortile esterno, sono più piccoli; il primo è un tipico esempio di costruzione frigia, per metà in legno con mattoni crudi; il mègaron 2 mostra una tecnica analoga che sostituisce i mattoni crudi con blocchi di pòros ben tagliati; l'edificio è eccezionale per i motivi decorativi incisi sulle pareti esterne e per un pavimento in mosaico a sassolini con schemi geometrici nel vano principale.
A SO del Palazzo, elevati su una terrazza, si trovano due lunghi edifici con stanze a mègaron; entrambi servivano come grandi cucine e per la produzione tessile. La maggior parte degli edifici della cittadella fu distrutta da un grande incendio forse collegato all'invasione della Frigia da parte dei Cimmeri; l'evento è datato nelle cronache occidentali al 696 (Eusebio) o al 676 a.C. (Giulio Africano). Si dice che Mida si suicidasse in seguito alla distruzione del suo regno ed è possibile che fosse sepolto nel più grande degli 80 e più tumuli sepolcrali di G., il tumulo MM (il c.d. Midas Mound, Tumulo di Mida). Il materiale rinvenuto negli edifici distrutti e nei tumuli di questo periodo offre una ricca messe di informazioni sulla cultura materiale frigia. I Frigi appaiono maestri nell'arte del bronzo, nella lavorazione del legno, della ceramica e anche dei tessuti, come dimostrano i frammenti di materiale tessile superstiti. L'arte frigia è in genere caratterizzata da un alto livello di versatilità e originalità, che si esprime sia nei complicati intarsi del mobilio, sia nelle minuziose incisioni delle cinture di bronzo, sia nell'attenzione prestata alle forme vascolari.
motivi decorativi sono per lo più geometrici e, ove compaiano elementi figurativi (meno frequenti i soggetti umani di quelli animali) si riscontra una tendenza all'astrazione delle forme e alla schematizzazione dei dettagli. Si avvertono anche (e sono testimonianze di rapporti su ampia scala) influssi di altre culture contemporanee. Il materiale bronzeo dei tumuli W e MM sembra essere stato importato dalla Siria settentrionale, così come un elaborato gruppo in avorio di bardature per cavalli, rinvenuto in un edificio della cittadella distrutta. Considerate le relazioni di re Mida con quest'area, che secondo gli annali assiri sarebbero iniziate nel 717, si può pensare che questo sontuoso materiale di importazione rappresentasse lo scambio di doni principeschi. L'influsso della Siria settentrionale sull'arte frigia è riscontrabile in molti campi, tra i quali la scultura in pietra e le incisioni in avorio, quest'ultimo proveniente molto probabilmente dalla stessa Siria. Dalla fine dell'VIII sec. i Frigi ebbero contatti anche con il mondo greco. Allusioni a tale rapporto si possono probabilmente ritrovare nelle tradizioni classiche del dono del proprio trono da parte di Mida ad Apollo a Delfi (Herodot., I, 14) e del suo matrimonio con una principessa di Kyme in Eolide (Pollux, Onomast., IX, 83). La ceramica greca forse giunge a G. prima della distruzione operata dai Cimmeri. Il segno più evidente del contatto con l'Occidente è però l'acquisizione della scrittura. Si conoscono iscrizioni frigie redatte con un alfabeto che costituisce un adattamento fedele a quello greco, attraverso i numerosi esemplari provenienti dal tumulo MM; nel periodo post-cimmerico G. offre il contributo di gran lunga più ricco al corpus dell'antica scrittura frigia.
Dopo la distruzione che segnò la fine dell'età di Mida, la cittadella di G. rimase abbandonata per più di cento anni, sebbene alcuni tumuli e zone suburbane databili al VII sec. a.C. indichino che il suo territorio continuò a essere abitato. Il vuoto politico lasciato dal crollo del regno frigio sembra sia stato colmato a occidente dai Lidi, ed è forse per iniziativa di questi ultimi, sotto Alyatte o Creso, che la cittadella fu ricostruita su larga scala e a un livello notevolmente più alto, nella prima metà del VI secolo. La pianta della nuova cittadella era straordinariamente simile a quella antica ed è possibile che la ricostruzione fosse stata improntata a una certa forma di revival o di «rinascimento» frigio favorito dai Lidi. I nuovi edifici, pur mantenendo molti di essi la tradizionale pianta a mègaron, vennero costruiti con una struttura molto più massiccia rispetto ai precedenti. Un ulteriore elemento innovativo è costituito dall'uso di terrecotte architettoniche nei tetti, nelle simae decorative e nei fregi di lastre di rivestimento: un uso che^ si deve considerare probabilmente un contributo lidio. È probabile che quasi contemporaneamente alla nuova cittadella sia stato eretto un corpo aggiuntivo, situato a un livello più basso, a SO del colle, sotto forma di un'alta fortezza di mattoni crudi, dotata di mura che la collegavano al circuito principale della cittadella. Sembrerebbe che la fortezza, chiamata oggi Küçük Hüyük («Piccolo Colle»), fosse presidiata da guarnigioni lidie e che la nuova zona fortificata, che si estendeva fino alle mura della cittadella, costituisse un alloggiamento lidio a supporto dell'avamposto. Il Küçük Hüyük venne distrutto da un violento incendio successivo a un assedio: tutti gli indizi fanno pensare che tale catastrofe sia in rapporto con l'avanzata di Ciro di Persia contro la Lidia subito dopo la metà del VI secolo. G., come molti altri centri dell'Anatolia, rimase sotto il dominio persiano per più di duecento anni. I Frigi, forse misti ad alcuni Lidi, continuarono ad abitare il sito.
Ritrovamenti provenienti dal colle e tumuli dello stesso periodo indicano l'esistenza di concentrazioni di ricchezza; gli oggetti rinvenuti mostrano un'interessante combinazione tra il persistere delle tradizioni frigie e lidie e la sovrapposizione dell'influsso greco e persiano. Nel mezzo secolo successivo alla conquista persiana venne aggiunto alla cittadella un piccolo edificio con pitture parietali di stile greco e con soggetti anatolici. Verso la fine del V sec. fu costruito all'estremità S della collina un sontuoso edificio con un ingresso porticato e pavimenti a mosaico.
Intorno al 400 a.C. molti edifici della cittadella crollarono probabilmente in seguito a un terremoto; seguì un periodo di ricostruzione parziale, nel corso del quale gli edifici vennero riutilizzati, spesso con l'aggiunta di ampie cantine. In alcuni casi, nella seconda metà del IV sec., gli occupanti abbandonarono il livello della cittadella, e dopo una massiccia operazione di spianamento fondarono una nuova «città». Non è chiaro se Alessandro, venendo a G. nel 334-333 a.C., vide questa città o la cittadella nella sua ultima fase di ristrutturazione. Né alcun edificio può essere identificato con certezza come il tempio in cui egli tagliò il famoso «nodo di Gordion». Con le generazioni successive ad Alessandro G. subì un considerevole processo di ellenizzazione. Le iscrizioni frigie vengono sostituite da quelle greche; fanno la loro comparsa nomi di Greci graffiti su vasi, ed esistono attestazioni di culti greci e della loro assimilazione a quelli frigi, in particolare a quello di Cibele. L'indizio forse più evidente della continuità della presenza frigia è dato dal persistere delle antiche tecniche di produzione vascolare, dal momento che si ritrova in grande abbondanza la tradizionale ceramica grigia tipica dei Frigi, talvolta imitante le forme greche. L'arrivo dei Galli Celti nell'Anatolia centrale nella prima metà del III sec. a.C. comportò probabilmente l'abbandono di G. per alcuni decenni. Verso la fine del III sec. a.C. l'insediamento fu riattivato a un livello più alto: esso era senza dubbio composto da una popolazione mista di Frigi, Celti e gente di origine greca. Fu questa città che il generale romano Gneo Manlio Vulsone trovò deserta, al suo arrivo durante la campagna contro i Galati nel 189 a.C. (Liv., XXXVIII, 18). Poiché negli edifici furono ritrovate le ceramiche, le statuette di terracotta e gli altri oggetti presenti nel momento in cui venne abbandonato l'insediamento, lo studio di tale strato è di grande importanza dal punto di vista cronologico per l'archeologia ellenistica. È probabile che G. sia rimasta disabitata per due o tre secoli prima che un piccolo insediamento romano, scarsamente indagato, sorgesse sul lato O della collina. Non esistono indicazioni negli Itineraria romani, o in altre opere simili, che il vecchio nome del sito si fosse mantenuto o quanto meno che se ne serbasse memoria.
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