GONNELLI, Giovanni, detto il Cieco di Gambassi
Figlio di Dionigi, agiato produttore di bicchieri di vetro, e di Maria Maddalena Lotti di Castelfiorentino, il G. nacque a Gambassi (oggi Gambassi Terme), in Val d'Elsa, il 4 apr. 1603. Grazie alla presenza a Firenze di uno zio prete, il G. si trasferì nel 1611 in quella città, dove, manifestata una spiccata predisposizione per le arti plastiche, fu avviato allo studio della scultura nella bottega di Chiarissimo Fancelli. Per completare la sua formazione artistica passò infine, nel 1616, nell'atelier di Pietro Tacca, dove rimase per sette anni facendo "tal profitto, che a tutti ne fu d'ammirazione" (Baldinucci, p. 621).
Secondo Filippo Baldinucci (ibid.), la cui narrazione non è esente da incongruenze cronologiche, il G. soggiornò per qualche tempo a Mantova, ove si trovava durante l'assedio del 1630; qui, forse anche a causa delle "fatiche" e "sofferenze", perdette la vista quando era "di anni venti e non più".
Rientrato in Toscana, dopo un lungo periodo di inattività trascorso nella città natale, il G. riprese gradualmente a eseguire opere in terracotta, specializzandosi soprattutto nei ritratti, "sempre facendo che l'ufizio dell'occhio facessero le mani" (ibid., pp. 622 s.).
Divenuto entro breve tempo una figura quasi leggendaria - come attestano, tra gli altri, una canzone e due madrigali scritti da Giovan Battista Rinuccini (D'Afflitto, p. 126) e un suo ritratto a figura intera dipinto su tela da Livio Mehus, già nella collezione Gerini (Barbolani di Montauto) - il G. fu richiesto in un primo tempo dalla corte fiorentina, per la quale eseguì i ritratti del Granduca Ferdinando II de' Medici e di altri membri della casata, oggi non identificati (Baldinucci, p. 624; Langedijk, 1981 e 1983). Oltre a questi, il G. modellò immagini di molti patrizi toscani al momento non rintracciate, tra le quali una, molto stimata, raffigurante Lorenzo Usimbardi, e una statua in stucco intelaiato e dipinto dedicata a S. Stefano, conservata nella chiesa di S. Stefano al Ponte a Firenze (Baldinucci, pp. 624 s.).
Documentato ancora in Toscana nel 1636, anno in cui controfirmò l'atto di vendita di una casa appartenente alla madre (Supino, p. 262), il G. si trasferì successivamente a Roma, dove il 28 marzo 1637 sottoscrisse una richiesta ufficiale per ottenere la cittadinanza volterrana (Bacci). Nello stesso anno vi realizzò le sue opere più rinomate: i due Ritratti di Urbano VIII, oggi conservati nella collezione Barberini e nella Biblioteca Vallicelliana (Aronberg Lavin; D'Afflitto).
Interessanti rivisitazioni del noto prototipo di Gian Lorenzo Bernini in palazzo Spada, le due terrecotte, firmate nella parte inferiore, attestano esemplarmente la buona perizia esecutiva assai lodata dai contemporanei, evidente soprattutto nella vivida espressività dei volti e nella qualità del modellato. Oltre ai busti del pontefice, l'artista realizzò altre opere lodate dalle fonti, oggi non identificate, in particolare i busti di Giovan Francesco Giustiniani e del Cardinale Pallotta (Baldinucci, p. 625).
Nel 1640 il G. rientrò per breve tempo in patria, dove nella chiesa dei Ss. Iacopo e Stefano a Gambassi si unì in matrimonio con Lisabetta Sesti (Supino, p. 262). Dall'unione nacquero cinque figli, tutti morti in tenera età a eccezione di Caterinangiola, poi sposa di Lorenzo Barluzzi, che fu al servizio del principe Francesco Maria de' Medici (Baldinucci, p. 627).
Scarse sono le informazioni successive sull'artista: si sa soltanto che continuò a essere attivo tra Toscana, Liguria e Lazio.
Il G. morì a Roma nel 1656 (D'Afflitto, p. 127), sembra per avvelenamento da funghi.
Tra le opere riferite nei documenti seicenteschi allo scultore, al momento non rintracciate, si ricordano una Testa del Granduca Cosimo II de' Medici e un Bacco nella sua abitazione di Gambassi; un Ritratto della moglie; un Busto di un cavaliere volterrano; una Testa di s. Antonio da Padova e un Cristo morto (Baldinucci, pp. 622, 624 s.); e, ancora, un Busto di s. Giovanni Battista già nella cappella del palazzo reale a Genova (Soprani - Ratti, pp. 458 s.).
Ignorati dai biografi sei-settecenteschi, ma riferibili al catalogo autografo del G., risultano due Autoritratti, documentati all'inizio del Novecento nelle raccolte Dell'Hoste a Pisa e Villoresi a Sesto Fiorentino (Supino, pp. 263, 265 s.; Neri, 1942, p. 10), e una coppia di Busti virili in terracotta del Victoria and Albert Museum di Londra (Pope-Hennessy). Benché privi di documentazione, questi ultimi potrebbero essere avvicinati alle "due teste di terra fattura del Cieco di Gambassi", citate in un inventario della collezione Attavanti del 1657 (nello stesso elenco è menzionato, sotto il nome dell'artista, anche un altro Ritratto delGranduca Ferdinando II de' Medici: Pogni, p. 59).
Del tutto inadeguata risulta essere l'assegnazione al G. di un gruppo di scene sacre in terracotta invetriata, conservate per lo più in Val d'Elsa e realizzate nel Cinquecento in ambito robbiano. Tali composizioni, al di là dei loro particolari caratteri stilistici, sono impensabili per un artista non vedente, data la complessità coreografica e il numero elevato di figure.
Fonti e Bibl.: F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno… (1681-1728), a cura di P. Barocchi, IV, Firenze 1974, pp. 620-629; R. Soprani - G. Ratti, Vite de' pittori, scultori ed architetti genovesi, I, Genova 1768, pp. 458 s.; L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, VI, Prato 1824, pp. 194-197; A. Migliarini, Museo di sculture… raccolto e posseduto da Ottavio Gigli, Firenze 1858, pp. 89 s.; A. Cinci, Lo scultore cieco o cenni biografici di G. G., Volterra 1879; P. Minucci del Rosso, Il Cieco di Gambassi, Firenze 1880; C. Ajraghi, G. G. detto il Cieco da Gambassi, in Emporium, XXII (1905), pp. 122-126; O. Bacci, Una lettera del Cieco di Gambassi, in Miscellanea storica della Valdelsa, XIII (1905), 36, pp. 157 s.; I.B. Supino, Le opere del Cieco di Gambassi a San Vivaldo, ibid., pp. 262-267; M.F. Franchi, Lo scultore cieco, Castelfiorentino 1910; O. Pogni, Tre opere del Cieco di Gambassi che si trovavano nel palazzo Attavanti, in Miscellanea storica della Valdelsa, XXXIV (1926), 1, pp. 58-60; Mostra di Roma seicentesca, Roma 1930, p. 11; E. Mattone-Vezzi, Il Cieco da Gambassi, in Miscellanea storica della Valdelsa, XLV (1937), 3, pp. 99-115; W. Paatz - E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, I, Firenze 1941, p. 54; V, ibid. 1953, pp. 219, 226; P.D. Neri, La "Nuova Gerusalemme" di San Vivaldo in Toscana, in Miscellanea storica della Valdelsa, XLIX (1941), 1-3, pp. 79-83; Id., Intorno alla personalità artistica del Cieco da Gambassi, ibid., L (1942), 1-2, pp. 3-15; D.S. Isolani, La moglie del Cieco da Gambassi, ibid., 3, pp. 113-118; D. Fitz Darby, Ribera and the blind men, in The Art Bulletin, XXXIX (1957), 3, pp. 195 s.; J. Pope-Hennessy, Catalogue of Italian sculpture in the Victoria and Albert Museum, II, London 1964, pp. 574 s.; M. Aronberg Lavin, Seventeenth-century Barberini documents and inventories of art, New York 1975, pp. 17, 126, 257, 446; C. D'Afflitto, in La civiltà del cotto (catal., Impruneta), Firenze 1980, pp. 125-127; K. Langedijk, The portraits of the Medici 15th-18th centuries, I, Firenze 1981, p. 563; II, ibid. 1983, p. 804; L. Meoni, La chiesa di S. Felice in Piazza a Firenze, Firenze 1993, pp. 170, 194; Repertorio della scultura fiorentina del Seicento e Settecento, a cura di G. Pratesi, Torino 1993, I, pp. 48 s., 86; II, figg. 285-288; A. Spagnesi, S. Stefano al Ponte Vecchio, Firenze 1999, p. 32; N. Barbolani di Montauto, Livio Mehus. Un pittore alla corte dei Medici. 1627-1691 (catal., Firenze), a cura di M. Chiarini, Livorno 2000, pp. 68 s.(con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 371 s.