GONARIO (Gonnario, Gunnari) di Torres
Secondo di questo nome, figlio del giudice di Torres Costantino (I) di Lacon e di Marcusa de Gunale, nacque all'inizio del secondo decennio del secolo XII.
La difficoltà di precisare l'anno di nascita di G. deriva dalle indicazioni ora insicure, ora contraddittorie delle fonti, che lasciano qualche incertezza anche sulla data di morte del padre (solitamente collocata al 1127-28). Prendendo alla lettera le fonti cistercensi, secondo le quali G. era quarantenne nel 1154, quando si fece monaco a Chiaravalle, egli dovrebbe essere nato intorno al 1113-14. Il cosiddetto Libellus iudicum Turritanorum racconta che la sua nascita fu a lungo attesa dai genitori, i quali per voto fondarono e dotarono il monastero camaldolese della S. Trinità di Saccargia, che noi sappiamo essere già stato istituito il 16 dic. 1112 (mentre la data della consacrazione della sua chiesa - 5 ott. 1116 - è riportata dal Libellus e da un altro testo tardo e rimaneggiato). Sempre secondo il Libellus, G. era ancora minorenne alla morte del padre, quando scoppiò una congiura guidata dalla potente famiglia signorile logudorese degli Athen. Ittocorre Gambella, al quale Costantino aveva affidato la tutela del figlio, ritenne opportuno allontanare G. dalla corte e lo portò a Porto Torres, mettendolo sotto la protezione dei mercanti pisani che vi operavano particolarmente numerosi; costoro lo accompagnarono a Pisa, dove le autorità lo affidarono alle cure dell'illustre cittadino "messer Ebriaco". Quando G. ebbe raggiunto i diciassette anni d'età, costui gli diede in sposa la propria figlia e subito dopo - sempre con il consenso delle autorità cittadine - lo riaccompagnò in Sardegna con una scorta di quattro galee bene armate, aiutandolo quindi a prendere l'effettivo possesso del potere regio.
Se si dà credito a questo racconto, sorge il problema d'armonizzarlo con l'affermazione, fatta dallo stesso G. in un documento da lui dettato il 24 giugno 1147 (ed. Saba, doc. n. XXVI), secondo la quale a tale data egli si trovava nel ventesimo anno di regno (che era dunque iniziato fra il 25 giugno 1127 e il 24 giugno 1128). Ammettendo che egli si riferisse all'effettivo conseguimento del potere giudicale, dovremmo far arretrare la data di nascita al 1110-11 circa; ma così facendo dovremmo altresì rimettere in discussione la data di morte di Costantino. Se invece si ritiene che, nel documento del 1147, G. facesse partire il proprio regno - almeno formalmente - dal momento stesso della morte del padre, la sua nascita tornerebbe a essere determinabile al 1113-14 circa. Una terza possibilità è suggerita da un'altra, più prolissa versione del Libellus, secondo la quale al momento d'esser portato a Pisa G. avrebbe avuto appena sette anni (e vi sarebbe rimasto dunque per un decennio). Ma se la datazione dei documenti cassinesi che menzionerebbero in vita il padre di G. fra 1122 e 1127 è sicuramente da rivedere, Costantino non può comunque essere morto prima del 24 maggio 1120 (data di un atto di donazione al quale fu presente).
La protezione accordata da Pisa al giovane (o giovanissimo) erede legittimo del trono giudicale del Logudoro si comprende ricordando gli ottimi rapporti intrattenuti con la città tirrenica da Costantino, che nel 1113 aveva accolto a Porto Torres la flotta pisana, guidata dal vescovo Pietro, in viaggio verso le Baleari, ed è ricordato nel Liber Maiolichinus come "rex clarus, multus celebratus ab omni Sardorum populo". Alla spedizione balearica del 1113-15 partecipò forse anche il futuro suocero di G., se in lui si può riconoscere "Ugo da Parlascio" menzionato due volte nel poema. Chiamato nei documenti con il soprannome di "Ebriaco", egli era figlio di un altro Ugo che, nel penultimo decennio del secolo XI, aveva fatto parte della schiera dei principali sostenitori pisani di Enrico IV. Intorno al 1090, però, aveva aderito all'azione pacificatrice esercitata dal vescovo di Pisa Daiberto, sostenitore e collaboratore di Urbano II e Matilde di Toscana, e da allora era tornato a intrattenere ottimi rapporti con il vescovado, che fino a tutta la prima metà del secolo XII fu il primo centro d'autorità della civitas, della quale era il rappresentante istituzionale verso l'esterno (e perciò anche nei confronti dei quattro regni della Sardegna). Di Ugo "Ebriaco", morto avanti il 30 maggio 1136, i documenti pisani ci dicono in realtà assai poco, come se la sua attività si fosse svolta prevalentemente lontano dalla città. Il 6 ag. 1130 egli è però attestato a Pisa, e la spedizione da lui guidata per riportare G. sul trono giudicale dovette dunque aver luogo o prima o dopo quell'estate. Che la moglie di G., Maria (attestata accanto al marito da un unico documento del 1136), fosse davvero figlia di Ugo "Ebriaco" è provato da due passi della cronaca di Bernardo Maragone (Annales Pisani, a cura di M. Lupo Gentile, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VI, 2, pp. 34, 36 s.).
L'azione condotta da Ugo "Ebriaco" in favore di G. è ricordata solo dal Libellus, che racconta come la spedizione, una volta giunta in Sardegna e sbarcata a Torres, raggiunse e prese Ardara (dove si trovava il palazzo regio, con la chiesa di S. Maria), e si concluse con la costruzione del castello del Goceano, ai confini meridionali del Giudicato. A quel punto, visto che il genero aveva ormai il controllo della situazione, Ugo sarebbe tornato a Pisa, e G. avrebbe provveduto a eliminare fisicamente i principali responsabili della congiura di alcuni anni prima, rimanendo padrone incontrastato del Giudicato.
La prima attestazione documentaria di G. come giudice di Torres è del 6 marzo 1131, e ce lo mostra nell'atto di donare all'Opera del duomo di Pisa due curtes e la metà del Monte dell'Argentiera (cfr. Codex diplomaticus Sardiniae). Contestualmente, egli giurò fedeltà alla sede arcivescovile pisana di S. Maria - ossia all'arcivescovo Ruggero e ai suoi successori - e s'impegnò ad amministrare la giustizia al popolo pisano secondo il costume sardo, sottoscrivendo di persona il documento (sia pure con grafia alquanto incerta, da "semianalfabeta" secondo E. Cau).
A indurre G. a formalizzare in tal senso i propri rapporti con Pisa fu sicuramente la minaccia rappresentata da Comita, giudice d'Arborea, che nel dicembre del 1130 aveva stretto alleanza con Genova attraverso una serie di atti in favore del Comune e della chiesa cattedrale di S. Lorenzo, nei quali egli esprimeva l'esplicita intenzione d'impossessarsi del Giudicato confinante di Torres. Non sappiamo se si giungesse a un vero e proprio conflitto, e quale ne fosse lo svolgimento sul terreno. Certo è, comunque, che in quel periodo l'arcivescovo pisano Ruggero (1123-32) operò nel Giudicato turritano in veste sia di legato apostolico, sia di rappresentante della propria civitas: è degno di nota che il breve recordationis con il quale, il 26 giugno 1132, Comita giudice di Gallura rese noto d'aver giurato fedeltà a Ruggero e ai suoi successori, nonché ai consoli del Comune di Pisa, fosse messo per iscritto ad Ardara, cioè nella residenza ufficiale dei giudici di Torres (anche se la presenza di G. non è esplicitamente menzionata nel documento). A testimoniare ulteriormente la saldezza del legame stretto da G. con la sede arcivescovile pisana - elemento che caratterizzò tutto il suo regno - è il fatto che il successore di Ruggero, ossia l'ex cardinale Uberto, uomo di fiducia di Innocenzo II, scelse il Logudoro come base della legazione apostolica in Sardegna ch'egli condusse nel 1135 (probabilmente nella seconda metà dell'anno, ossia dopo la conclusione del concilio presieduto dal papa a Pisa).
Il 20 maggio 1136, sempre ad Ardara, G. e sua moglie Maria presenziarono e diedero solenne ratifica all'atto con il quale Costantino di Athen donò al monastero di S. Benedetto di Montecassino la chiesa di S. Michele de Therricellu, da lui restaurata (ed. Saba, n. XXII). Il documento, l'unico attestante la presenza di Maria al fianco del marito, sembra comprovare che l'aristocrazia del Giudicato era ora solidale e leale con la coppia regnante. Al riguardo, un documento pisano del 10 nov. 1144 (cfr. ed. Besta, 1906) c'informa che la figlia di quel Costantino (ossia la Susanna de Athen menzionata dal padre nell'atto di donazione del 1136) aveva sposato Cane, figlio del fu Ugo "Ebriaco", e quindi cognato di Gonario.
Dopo alcuni anni di silenzio documentario - ma l'attività corrente di governo di G., e in particolare quella giudiziaria, esercitata con la collaborazione della "corona" dei consiglieri, è vividamente testimoniata da molte schede non datate del Condaghe di S. Nicola di Trullas -, ritroviamo G. in un momento di difficoltà politico-militare nel 1144, quando fu di nuovo minacciato dalle mire espansionistiche di Comita d'Arborea. In tale frangente ebbe come principale alleato l'arcivescovo di Pisa Baldovino, già monaco cistercense e collaboratore di Bernardo di Chiaravalle. Il 10 nov. 1144 Baldovino fece assumere ai consoli del Comune di Pisa l'impegno giurato di aiutare G. e i suoi eredi, sia difendendoli dagli attacchi esterni, sia - eventualmente - coadiuvandoli nell'azione di riconquista. All'inizio dell'anno successivo, sotto il pontificato del pisano Eugenio III, l'arcivescovo si recò in Sardegna come legato apostolico e scomunicò Comita d'Arborea, riuscendo così, a quanto sembra, ad arrestarne le spinte espansionistiche. Di questa legazione ci è rimasto un frammento degli atti del concilio tenutosi nella chiesa di S. Maria di Ardara, alla presenza (questa volta esplicitamente menzionata) di Gonario.
In tale occasione, l'arcivescovo pisano fece approvare una deliberazione tesa a impedire che i donicalienses (ossia gli amministratori di aziende di tipo curtense) vendessero merci e prodotti ai mercanti pisani, prima d'aver soddisfatto i precedenti impegni nei confronti dei vescovi isolani (dei quali erano una sorta di vassalli): la presenza pisana in Sardegna - e soprattutto nel Logudoro - tendeva dunque a scardinare l'organizzazione economica locale, e metteva in difficoltà i centri diocesani dell'isola.
La notizia della scomunica lanciata da Baldovino contro Comita d'Arborea si legge nella chiusa di una lettera inviata da Bernardo di Chiaravalle a papa Eugenio III verso la fine di quello stesso 1145: Bernardo chiedeva al pontefice di non modificare quanto disposto da Baldovino (morto nel frattempo), e subito dopo gli raccomandava espressamente il giudice turritano "quia bonus princeps dicitur esse". Queste parole dimostrano che Bernardo non conosceva ancora personalmente G., pur dimostrandosi informato sulla situazione sarda. Di lì a poco, forse già nel 1146, la situazione politica dell'isola tornò a rasserenarsi, come è dimostrato dal fatto che il nuovo arcivescovo pisano, Villano, consacrò la chiesa di S. Maria di Bonarcado, in Arborea, alla presenza del giudice Barisone (subentrato al padre Comita), di G. e dei giudici di Cagliari e di Gallura. Si tratta del primo e unico caso a noi noto in cui i sovrani di tutti e quattro i regni di Sardegna si riunissero a convegno.
Vista l'epoca duratura di pace che sembrava aprirsi nell'isola, G. decise d'intraprendere un pellegrinaggio a Gerusalemme. Una scheda (come al solito non datata) del Condaghe di S. Nicola ci mostra l'abate di questo monastero sottoporgli una querela giudiziaria proprio mentre era in procinto di partire; mentre il 24 giugno 1147 egli era già passato a Montecassino, dove emanò in favore dell'abate Rainaldo un solenne documento di conferma di tutte le donazioni e concessioni fatte al cenobio dagli avi, dai genitori e dagli altri maggiorenti del Giudicato turritano. Secondo il Libellus, prima di partire aveva affidato il governo del Giudicato al figlio primogenito Barisone, e provveduto ad affidare a ciascuno degli altri tre figli maschi (Pietro, divenuto poi, per matrimonio, giudice di Cagliari, Ittocorre e Comita) l'amministrazione di una o più "curatorie" del Giudicato. Sempre secondo il Libellus, di ritorno dalla Terrasanta, mentre si trovava di nuovo in Italia meridionale, G. ebbe l'occasione d'incontrare personalmente Bernardo di Chiaravalle e concordare con lui la fondazione del monastero cistercense di Cabuabbas di Sindia (la cui consacrazione è datata dagli studiosi al 1149). Le fonti cistercensi, a cominciare dal Liber de miraculis compilato dal monaco Erberto, dicono invece che l'incontro avvenne a Clairvaux, dove il giudice si sarebbe recato dopo aver compiuto un pellegrinaggio a S. Martino di Tours; si è ipotizzato che questo secondo viaggio - se veramente avvenne - poté costituire una sorta di prolungamento del primo. Erberto non parla della fondazione di Cabuabbas, e dice che Bernardo, non essendo riuscito a "convertire" G. alla vita monastica, si rassegnò a vederlo andar via, ma profetizzò che avrebbe nuovamente lasciato la Sardegna per tornare a Clairvaux. Queste parole rimasero nel cuore di G., il quale, sempre secondo questa fonte, appresa la notizia della morte di Bernardo, si affrettò ad adempiere quanto richiesto a suo tempo dall'abate ("sed quod ipso vivente non egit, post eius obitum implere festinavit", col. 462). Come testimoniato dal Chronicon Clarevallense, la scelta di farsi monaco a Clairvaux fu compiuta da G. nel 1154. L'anno precedente, il giudice aveva dettato due documenti in favore del monastero cassinese di S. Maria di Thergu, rievocando l'accoglienza ricevuta a Montecassino quand'era andato "ad ssu sepulchru ad ultra mare" (ed. Saba, p. 192). In entrambi gli atti, il figlio primogenito Barisone figura esplicitamente associato al potere regio.
Fattosi monaco cistercense, G. visse a Clairvaux ancora per molti anni. Erberto, che scrive intorno al 1178, ricorda che egli era entrato nel monastero nel pieno delle forze fisiche e mentali, e si trovava ora nel venticinquesimo anno del suo ingresso nell'Ordine. L'Exordium magnum Cisterciense, iniziato dal monaco Corrado nell'ultimo decennio del secolo, aggiunge che la nuova condizione di G. si protrasse "usque ad decrepitam etatem" (p. 229), e che G., il quale morì dunque verosimilmente fra il 1180 e il 1190, fu sepolto a Clairvaux.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico Opera della Primaziale, 1145 luglio 31; Fragmenta ex Herberto, in J.-P. Migne, Patr. Lat., CLXXXV, coll. 462 s.; Chronicon Clarevallense, ibid., col. 1247; Codex diplomaticus Sardiniae, I, a cura di A.P. Tola, in Monumenta historiae patriae, X, Augustae Taurinorum 1861, n. 40 pp. 206 s.; Liber Maiolichinus de gestis Pisanorum illustribus, a cura di C. Calisse, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XXIX, Roma 1904, vv. 195-197, p. 14; E. Besta, Il Liber iudicum Turritanorum con altri documenti logudoresi, Palermo 1906, doc. II, p. 16; Id., Per la storia del Giudicato di Gallura nell'undicesimo e dodicesimo secolo, in Atti dell'Accademia delle scienze di Torino, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, XLII (1906-07), pp. 131 s.; A. Saba, Montecassino e la Sardegna medioevale. Note storiche e codice diplomatico, Badia di Montecassino 1927, docc. nn. V, IX-XIX, XXI s., XXV s., XXXI s., pp. 140-142, 147-172, 175-179, 183-185, 191-196; Libellus iudicum Turritanorum, a cura di A. Boscolo - A. Sanna, Cagliari 1957, pp. 47-49; C. Leonardi, Per la tradizione dei concili di Ardara, Lateranensi I-II, e di Tolosa, in Bull. dell'Istituto storico italiano per il Medio Evo, LXXV (1963), pp. 64 s.; A. Sanna, Una sconosciuta versione del "Libellus iudicum Turritanorum", in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Cagliari, n.s., I (1976-77), pp. 161-179; S. Bernardo, Lettere, II, a cura di F. Gastaldelli, Milano 1987, n. 246 pp. 132-135; Il Condaghe di S. Nicola di Trullas, a cura di P. Merci, Sassari 1992, ad ind.; Exordium magnum Cisterciense sive Narratio de initio Cisterciensis Ordinis auctore Conrado, a cura di B. Griesser, Tunholti 1994, pp. 228 s.; G. Vedovato, Camaldoli e la sua Congregazione dalle origini al 1184. Storia e documentazione, Cesena 1994, nn. IV, 3-4, pp. 260-264; E. Besta, Il Condaghe di S. Maria di Bonarcado, a cura di M. Virdis, Oristano 1995, n. 146 pp. 61 s.; I Libri iurium della Repubblica di Genova, I, 2, a cura di D. Puncuh, Genova 1996, nn. 379-380, pp. 314-317; E. Besta, La Sardegna medioevale, I, Palermo 1908, pp. 101-111; G. Masia, L'abbazia di Cabuabbas di Sindia (1149) e il suo influsso spirituale e sociale nei secoli XII e XIII, Sassari 1982, ad ind.; Genealogie medioevali di Sardegna, a cura di L.L. Brook et al., Cagliari-Sassari 1984, pp. 195 s.; P.F. Simbula, G. II di T. e i cistercensi, in I cisterciensi in Sardegna. Aspetti e problemi di un ordine monastico benedettino nella Sardegna medioevale, a cura di G. Spiga, Nuoro 1990, pp. 107-115; M.L. Ceccarelli Lemut, Pisan consular families in the communal age: the Anfossi and the Ebriaci (or Verchionesi or da Parlascio) in the eleventh to thirteenth centuries, in The "other Tuscany". Essays in the history of Lucca, Pisa, and Siena during the thirteenth, fourteenth and fifteenth centuries, a cura di T.W. Blomquist - M.F. Mazzaoui, Kalamazoo, MI, 1994, pp. 128-133; R. Turtas, L'arcivescovo di Pisa legato pontificio e primate in Sardegna nei secoli XI-XIII, in Nel IX centenario della metropoli ecclesiastica di Pisa. Atti del Convegno di studi…1992, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut - S. Sodi, Pisa 1995, pp. 203-216; Id., Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma 1999, pp. 216-226, 238 s., 246-254; E. Cau, Peculiarità e anomalie della documentazione sarda tra XII e XIII secolo, in Scrineum, I (1999), pp. 1-53.