ALBORNOZ, Gòmez
Figlio di Alvaro Garcia, maggiordomo maggiore e consigliere (dal 1368) di Enrico, re di Castiglia, l'A. era nipote del cardinale Egidio, che lo ebbe accanto, in posizioni di grande responsabilità, nel corso della sua seconda legazione in Italia (1358-1367). Nel testamento, lo zio, oltre a nominarlo erede, insieme con il fratello Alvaro, della maggior parte dei beni patrimoniali di Cuenca, gli condonò, per consentirgli di attendere degnamente ai suoi uffici, le somme di denaro che gli aveva imprestate a più riprese.
Dal 15 aprile 1361 al 4 genn. 1364, l'A. fu rettore di Bologna al servizio della Chiesa e animatore della difesa della città contro Bernabò Visconti. Nelle battaglie di San Ruflillo (20 giugno 1361), di Granarolo (19 nov. 1362) e in altri scontri minori egli combatté alla testa delle milizie cittadine bolognesi, dapprima accanto a Fernando di Spagna, l'ultimo podestà con attribuzioni militari, poi da solo, segnalandosi per coraggio e spirito d'iniziativa. A ricordo della vittoria di San Ruffillo che, secondo M. Villani, fu "la più notabile sconfitta di morte d'uomini pregiati d'arme che fosse in Italia di nostro ricordo di cento anni addietro" (X, 59, ediz. di Trieste 1858, p. 351), l'A. istituì una festa da tenersi ogni anno a Bologna, nel giorno anniversario, con una corsa a cavallo al cui vincitore era riservato in premio un pallio d'oro del valore di 30 formi.
Ferito egli stesso nella battaglia di San Ruffillo, l'A. perdette un fratello, Garcia, canonico della chiesa di Toledo, nella battaglia della Solara (6 apr. 1363). Garcia ebbe funerali solenni in Rologna (2 maggio), dove fu sepolto.
Nel 1362 fu scoperta una congiura che doveva rovesciare il governo della Chiesa a Bologna. Secondo Benvenuto da Imola, che riferisce l'episodio nel suo commento - a Dante (Paradiso, IV, 76), un contadino al quale i congiurati avevano affidato l'incarico di sopprimere il rettore, si rifiutò coraggiosamente di commettere tale crimine. All'A. lo stesso Benvenuto dedicò il Romuleon, un'epitome di storia romana dalle origini a Diocleziano.
Posto innanzi al fatto compiuto delle trattative avviate col Visconti da Urbano V, il cardinale Albornoz richiamò ad Ancona il nipote, cercando di fare in modo che lasciasse Bologna prima dell'arrivo del card. Androino (7 febbr. 1364), che Urbano aveva nominato legato in Lombardia e vicario di Bologna, con l'incarico di operare il mutamento di fronte. L'A. partendo, affidò Bologna nelle mani di frate Daniele dei marchesi del Carretto, che ne avrebbe tenuta la reggenza fino all'arrivo del vicario: in segno di gratitudine per l'opera prestata a difesa della città, gli Anziani gli concessero la cittadinanza bolognese.
In una lettera del 14 gennaio 1364 a Niccolò, Spinelli, lo zio cardinale esprime le sue preoccupazioni per l'avvenire dcl nipote: i se il papa vorrà fargli qualche benefizio in ticompensa dei suoi servizi, bene: se no, lo terremo per quest'anno presso di noi; poi se ne andrà per il mondo a procurarsi il pane come meglio potrà.. Dalla moglie dell'A., Costanza, il cardinale era stato messo al corrente di una relazione che il nipote intratteneva a Bologna con una donna di nome Nicia; amareggiato da tale rivelazione, egli ingiunse al nipote di rappacificarsi con la moglie e intanto lo trattenne presso di sè. Ma la separazione dell'A. da Nicia non dovette essere definitiva se, nel 1368, ne ebbe un figlio, Garcia.
Nel gennaio del 1365, il cardinale Albornoz, a nome del papa e della regina Giovanna di Napoli, concluse un patto con icapi della Compagnia bianca, nel tentativo di allontanarne la minaccia dalle terre della Chiesa. Secondo l'accordo, la Compagnia si impegnava a servire per sei mesi sotto il comando dell'A., che nel frattempo era diventato capitano generale della guerra nel Regno di Napoli con lo stipendio annuo di 4000 formi. Ma l'espediente si rivelò vano e, nel luglio di quello stesso anno, l'A. dovette accorrere in soccorso di Perugia minacciata da Giovanni Acuto, al quale si erano ricongiunti alcuni dei capitani della Compagnia bianca. Perugia fu salva e l'Acuto, sconfitto sul campo, fece appena in tempo a fuggire (luglio 1365).
Sulla via del ritorno dal Regno, dove s'era recato ad esercitare la legazione che gli era stata affidata da Urbano V, il cardinale Egidio mandò ad Avignone il nipote, come ambasciatore della regina Giovanna, per mettere al corrente il papa sulla situazione italiana. L'A. arrivò ad Avignone verso la fine del giugno del 1366 e ne ripartì il 3 luglio: la sua missione ebbe un peso determinante nell'affrettare la decisione di far ritorno a Roma, che il 20 luglio Urbano comunicò ai cardinali e ai Romani.
Rientrato nell'Italia meridionale, a combattervi la compagnia di Ambrogio Visconti, nella sua qualità di vicario del Regno, l'A., dopo la morte dello zio (23 agosto 1367), passò di nuovo al servizio della Chiesa. Vicario di Ascoli (dove fondò il chiostro del convento dei francescani, ottenendo il consenso del papa con bolla del 17 maggio 1373), poi rettore del Ducato di Spoleto, infine senatore di Roma, proprio nell'anno che vide il rientro definitivo del papa (il 10 marzo del 1377 confermò lo statuto dei mercanti), l'A. restò concretamente fedele alla memoria dello zio, proseguendone l'opera, sia pure nei limiti abbastanza ristretti delle sue competenze, fino alla morte, che lo colse in Anagni il 12 ag. 1377.
Negli ultimi anni della sua vita ebbe grande importanza l'incontro con Brigida di Vadstena. L'A. conobbe Brigida solo durante la quaresima del 1373, quando la santa fu a Roma di ritorno dal pellegrinaggio a Gerusalemme, ma si sono conservate due lettere di Brigida all'A., rispettivamente del novembre del 1371 e del gennaio del 1372, nelle quali ella prospetta al suo corrispondente la gravità dei doveri che attendono un buon cristiano e un buon amministratore della cosa pubblica. L'A. subì profondamente l'influenza della santa svedese e, dopo la morte di lei, si unì, per il tratto da Spoleto a Montefalco, al seguito dei discepoli più fedeli che ne trasportavano le spoglie verso il paese natale. A Montefalco, nella chiesa di S. Francesco, l'A. prese parte all'adunanza nella quale fu dato l'avvio al processo di canonizzazione di Brigida (14 dicembre 1373).
Bibl.: O. Vancini, Bologna della Chiesa (1360-1376), in Atti e Mem. d. R. Deput. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 3, XXIV (1906), pp. 239-320 e 508-552, ma specialmente 287-320 e 513-515;XXV (1907), pp. 16-108; F. Filippini, Il cardinale Egidio Albornoz, Bologna 1933, passim; G. Joergensen, Santa Brigida di Vacistena, II, Brescia 1948, pp. 194-202, 257-258,266-267; E. Dupré Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, p. 687.