GOFFREDO
Conte di Conversano, figlio di Ruggero e di un'innominata sorella di Roberto d'Altavilla (il Guiscardo), ebbe come fratelli il conte Roberto di Montescaglioso e un tale Teuzo o Rentio il cui nome è attestato dai brevi estratti di un documento del 1053 fatti da due eruditi del XVII secolo, A. Gittio e G.B. Prignano (Houben, 1995, pp. 235 s.). Giunto nell'Italia meridionale insieme con il fratello Roberto, probabilmente ai primi del 1047, al seguito dello zio Roberto il Guiscardo, uno dei numerosi figli di Tancredi d'Altavilla, G. ebbe modo di partecipare all'avventurosa conquista normanna dei territori già appartenuti ai Temi bizantini di Longobardia, di Calabria e di Lucania. Tale impresa, diretta, a partire dal 1042, da Guglielmo d'Altavilla, primo conte dei Normanni, e in seguito, nell'ordine, dai fratelli Drogone e Umfredo, fu infine portata a termine da Roberto il Guiscardo con la capitolazione di Reggio (giugno 1059) e di Bari (aprile 1071).
Fin dall'agosto 1059 l'affermazione militare del Guiscardo, determinata dai successi e dalla continua espansione del dominio, era stata legittimata sul piano politico dall'assunzione del titolo di duca di Puglia, Calabria e Sicilia (che però era ancora da conquistare), conferito da papa Niccolò II a conclusione del sinodo di Melfi, titolo che riconosceva la conquista dei territori meridionali e assicurava al Guiscardo la supremazia su tutti i conti normanni, tutt'altro che scontata, considerata la connaturata volontà di indipendenza di tutti i cavalieri normanni. Non sono tuttavia note personali azioni militari di G. nelle diverse fasi della conquista, dovendosi ritenere ormai completamente falsa la testimonianza del Breve Chronicon Nortmannicum che gli attribuiva l'occupazione di Lecce e di Nardò nel 1055 (Jacob).
A differenza del fratello Roberto, attestato nella documentazione a partire dal 1053, G. fa la sua apparizione sulla scena politica nel 1064, quando figura come uno dei principali capi ("comites a plebe vocati": Guglielmo di Puglia, II, v. 447, p. 156) della pericolosa ribellione contro il Guiscardo, impegnato in quel momento in Sicilia, il cui motivo ispiratore sarebbe stato, secondo il racconto di Guglielmo di Puglia e di Amato di Montecassino, l'invidia per il valore e l'affermazione del Guiscardo. In realtà, la rivolta di alcuni degli esponenti di primo piano dei Normanni pugliesi, ai quali il Guiscardo, dopo il riconoscimento del titolo ducale nell'estate del 1059, aveva imposto la sua autorità, ebbe motivazioni personali e politiche. Se Abelardo d'Altavilla, figlio di Umfredo e perciò nipote del Guiscardo, era mosso dal rancore verso lo zio, colpevole di averlo privato della successione e dell'eredità paterna, altri capi come Gozzolino, Ruggero Toute Bove, Amico, figlio di Gualtiero di Giovinazzo, Roberto di Montescaglioso e G., agivano in difesa della loro indipendenza, che era incompatibile con il servizio e la sottomissione all'autorità del Guiscardo. Appoggiata dall'imperatore di Bisanzio per il tramite di Pereno, duca di Durazzo, la ribellione fu definitivamente soffocata dal Guiscardo nel febbraio 1068 con l'assedio e la conquista di Montepeloso (l'odierna Irsina, nel Materano), città in cui si era rifugiato Goffredo. La caduta della piazzaforte di Montepeloso fu ottenuta dal duca per il tradimento di un certo Goffredo, cui G. aveva affidato il compito di difendere Montepeloso durante la sua assenza.
Singolare il racconto che di questo episodio ci fornisce il Malaterra (II, XXXIX, p. 48). Secondo il cronista normanno, che inserisce l'avvenimento nell'ambito di un tipico rapporto di dipendenza vassallatica, depurandolo di qualsiasi riferimento alla ribellione dei Normanni di Puglia, Roberto il Guiscardo avrebbe assediato il nipote per costringerlo a riconoscergli anche per Montepeloso il servitium che già prestava per tutti gli altri castra in suo possesso. Da parte sua G., al quale per la prima volta viene qui assegnato il cognome toponimico "de Conversano", glielo avrebbe rifiutato sostenendo che per Montepeloso egli non doveva alcun servizio in quanto la città era stata da lui conquistata senza alcun aiuto da parte del duca.
La violazione della fedeltà, di cui la ribellione era stata l'espressione più chiara, comportò per alcuni ribelli la confisca dei beni e la loro fuga a Costantinopoli. Altri furono invece perdonati, una volta sottomessi, e tra questi, probabilmente, anche G. e il fratello Roberto, forse in virtù dei legami di parentela.
Dopo la vittoria del duca, infatti, attraverso un passaggio che le fonti non ci aiutano a chiarire, G. - che, secondo la testimonianza di Malaterra, peraltro non verificabile, al momento della ribellione controllava un numero imprecisato di centri fortificati (castra), oltre alla piazzaforte di Montepeloso - risulta detenere nel 1072 dei beni nel territorio di Conversano, centro emergente a sudest di Bari. La carta del marzo 1072, con cui G. operò la donazione di un appezzamento di terra, sito fuori città, a favore del monastero urbano di S. Benedetto, rappresenta la prima attestazione della sua presenza a Conversano, che costituì il centro del dominio signorile della sua famiglia. È molto probabile che in quell'anno la città fosse sottoposta alla sua amministrazione, anche se il titolo di conte, di cui G. si fregia, non era ancora collegato a un preciso ambito territoriale, né il documento presenta elementi utili per stabilire le modalità del suo radicamento signorile e dell'acquisizione fondiaria in quelle zone.
L'ampliamento della base territoriale della signoria progredisce negli anni successivi. Infatti, una carta del settembre 1074 - contenente la sentenza di una controversia che vide contrapposti il conte G., rappresentato da un suo procuratore, e alcuni possessori di terreni situati nel territorio di Castellana (presso Bari) - indica altre località, territorialmente congruenti con Conversano, in cui si andava concentrando il dominio politico ed economico di G.: Castellana appunto e la città di Monopoli (vicino a Bari), sede della curia signorile di G. in cui si tenne il giudizio. Se l'esercizio dell'attività giudiziaria del conte è qui direttamente attestato, va inoltre osservato che G. rivendicava le terre oggetto della controversia sulla base del diritto di "mortizzo", il diritto di incamerare i beni dei morti privi di eredi o di persone assenti da più di tre anni di cui non si avevano notizie. Sono due significative testimonianze delle prerogative pubbliche del conte in ambito urbano e suburbano che permettono di chiarire le basi del suo potere signorile. L'affermazione dell'autorità di G., che il giudice Leone incaricato di dirimere la questione riconosce quale "noster senior", non appare tuttavia in quel momento sufficientemente consolidata come lascia presumere l'esito della sentenza, a lui sfavorevole. Non è da escludere che il suo dominio nell'area a sudest di Bari (Conversano, Monopoli e Castellana) fosse piuttosto recente e che vada messo in relazione con gli ottimi rapporti intrattenuti da G. con il Guiscardo nel contesto della conquista di Brindisi e dell'assedio e della capitolazione di Bari. Rimane traccia della sua appartenenza all'entourage della famiglia ducale negli anni 1074-78 in due privilegi di donazione dello zio Roberto il Guiscardo per il monastero della Ss. Trinità di Venosa, grande abbazia benedettina generosamente favorita dai fratelli Altavilla e destinata a diventare la chiesa sepolcrale della loro famiglia: il nome di G. conte di Conversano è inserito fra i personaggi presenti nell'elenco dei testimoni tanto nel privilegio del 1074 quanto in quello del giugno-luglio 1076.
Nel 1078 G. esercitava la sua autorità anche nell'ambito della zona a ridosso della città di Banzi in Basilicata (presso Potenza). L'acquisizione di due chiese, situate probabilmente nei pressi di Banzi, che nel 1078 furono donate da G. al monastero venosino, rappresenta infatti un altro significativo indizio della sua capacità di affermazione in un'area geografica incuneata negli Appennini lucani lungo la linea di confine con la Puglia.
Nel 1078 si registrò nuovamente un momento di forte attrito nei rapporti tra il Guiscardo e i conti normanni, la cui aspirazione politica di indipendenza dal potere ducale riaccese la lotta. Il motivo principale della ripresa delle ostilità nel corso del triennio 1078-80 fu la richiesta dell'aiuto feudale (l'adiutorium ovvero, come riferisce Guglielmo di Puglia, III, v. 504, p. 192, l'auxilium) avanzata da Roberto il Guiscardo in occasione delle nozze di una delle figlie con Ugo (II), figlio del marchese Azzo (II) d'Este, richiesta che tendeva a ribadire la sua autorità politica nei confronti dei vassalli. Tutti i conti, pur disapprovando il comportamento del duca, furono costretti, loro malgrado, a offrire doni nuziali (muli, cavalli e altri regali). Ma il comune malcontento spianò ben presto la strada a una larga alleanza e diede origine a una nuova rivolta feudale capeggiata da Giordano, principe di Capua, e sostenuta da papa Gregorio VII. Tra gli elementi di primo piano, coinvolti personalmente nella sollevazione che infiammò la Puglia, la Calabria e la Campania - oltre a Rainolfo di Caiazzo, zio del principe Giordano, Pietro (II) di Trani, Abelardo d'Altavilla, nipote del Guiscardo, Gradilone, Baldovino, Enrico di Monte Sant'Angelo e Amico di Giovinazzo - spiccano G. e il fratello Roberto di Montescaglioso.
L'improvviso scoppio delle ostilità colse di sorpresa il duca Roberto che si trovava in Calabria. Ma le successive vicende militari gli furono ancora una volta favorevoli dal momento che riuscì a reprimere la resistenza dei rivoltosi nel corso del biennio 1079-80. Arrivato in Puglia dove, esclusa Giovinazzo che gli restò sempre fedele, si erano sollevate le città di Bari, Trani, Bisceglie, Corato e Andria, il Guiscardo sconfisse Abelardo e liberò dall'assedio Giovinazzo; si diresse quindi verso Salerno e lungo il cammino riuscì a riconquistare Ascoli in mano a Balduino e Trevico tenuta da Gradilone; giunse quindi a Salerno nel luglio 1079 e, una volta conclusa a Sarno la pace con il principe Giordano e con Rainolfo di Caiazzo, ritornò in Puglia. Tra la fine del 1079 e i primi mesi del 1080 egli si impossessò della piazzaforte di Spinazzola, la cui caduta spinse Amico a riconciliarsi con lui. In conseguenza di tale defezione si sottomisero anche G. e Roberto di Montescaglioso, che ritroviamo subito dopo insieme col Guiscardo durante l'assedio di Bari. La rivolta fu infine completamente domata con la resa di Bari e la successiva sottomissione di Pietro di Trani, che prestò il giuramento di fedeltà al Guiscardo consegnandogli le città di Trani e di Castellaneta.
Il successo delle operazioni militari rafforzò il potere del duca consentendogli una certa magnanimità nei confronti dei conti ribelli, che con la loro opposizione avevano seriamente minacciato di privarlo della sua autorità e che in larga parte riuscirono a riconciliarsi con lui, compreso G. che, pur dovendo allo zio Roberto la sua fortuna politica e il suo potere, non aveva esitato a partecipare all'ultimo conflitto.
A ben vedere, a seguito del perdono per l'atto di rivolta, la posizione di G. si rafforzò. Recuperato il favore del Guiscardo - come si evince anche dalla menzione degli anni di ducato di Roberto nella formula della datazione dei documenti rogati a Conversano dal febbraio 1081 in poi -, alla morte del fratello Roberto di Montescaglioso, avvenuta il 26 luglio 1080, G. entrò in possesso di Matera, probabilmente a titolo di quota ereditaria dei possedimenti del defunto. Nel luglio del 1081 egli concesse l'esenzione dalla tassa sul commercio (plaza) al monastero di S. Benedetto di Conversano. Tale privilegio, rogato per G. da Alamanno, suo notarius, attesta ancora una volta i diritti pubblici relativi all'attività commerciale urbana esercitati da G. nell'ambito del territorio sottoposto al suo dominio ("intus nostra cibitate Cupersano").
Il suo ruolo di prestigio è testimoniato dalla presenza tra gli astanti e nelle sottoscrizioni testimoniali del vescovo di Conversano Leone e di altri eminenti personaggi investiti della carica vicecomitale (Leone "vicecomes et turmarcha") e di funzioni giudiziarie, presenze che possono considerarsi come espressione di una volontà e di un'azione concordi nell'ambito strettamente urbano del vescovo, del maggiore ente monastico, delle famiglie eminenti e dell'emergente detentore del potere signorile. Questa capacità di G. di porsi in rapporto diretto con le istituzioni ecclesiastiche cittadine e con i ceti urbani, di cercare la tutela dei propri interessi nell'alleanza con l'autorità del presule, preludio a una "assunzione delle tradizioni e aspirazioni locali da parte del dominator, che si inserì e legò profondamente alla città, divenendone l'esponente naturale" (Delogu, p. 186), richiama i casi consimili di Melfi, di Andria e di Brindisi.
Il riavvicinamento al Guiscardo sembra comunque essersi temporaneamente interrotto subito dopo la partenza di quest'ultimo per l'Oriente. Infatti, durante l'assenza di Roberto, tra il maggio 1081 e l'aprile 1082, mentre si sviluppavano una serie di focolai di rivolta a Troia, Ascoli e Canne, sotto il coordinamento di Abelardo d'Altavilla e del fratellastro Ermanno, G. avrebbe cercato di impossessarsi di Oria assediandola, ma il suo tentativo si sarebbe concluso senza successo a causa del pronto ritorno in Puglia del duca Roberto. L'unico dei cronisti meridionali a ricordare tale avvenimento è però Goffredo Malaterra (III, XXXIV, p. 77) e questo, purtroppo, impedisce la verifica dell'attendibilità della sua testimonianza.
Qualunque valore si voglia attribuire al racconto del Malaterra, si deve constatare come negli anni successivi il potere di G. non ne abbia risentito. Egli estese l'ambito territoriale del suo dominio a Satriano Antico (Satriano di Lucania, nel Potentino), di cui era il signore ("dominator") nell'ottobre 1083, e a Noicattaro (nel Barese), nell'area a sud di Bari, in cui esercitava una qualche autorità, come si evince da un suo documento perduto, con cui si esentava un tal Nicola de Pascale e i suoi figli, abitanti a Noicattaro, dalla prestazione di ogni servizio; inoltre consolidò il controllo su Monopoli, città di cui nel 1085 si qualificava "dominator".
L'improvvisa morte del Guiscardo a Cefalonia nel luglio 1085, di cui fu testimone oculare lo stesso G. (Orderico Vitale, IV, p. 32), e il successivo riconoscimento come duca del figlio Ruggero Borsa, già designato a succedergli, ebbero importanti ripercussioni politiche in Puglia dove Boemondo d'Altavilla (altro figlio del Guiscardo, avuto dal primo matrimonio con Alberada), che aspirava anche lui al Ducato, si sollevò contro il fratello, si impossessò di Oria e iniziò a depredare il territorio gravitante intorno a Taranto e a Otranto. Secondo Goffredo Malaterra (IV, IV, p. 87), cui si deve il racconto di questa successione contrastata, il duca Ruggero preferì, per amore fraterno, riconciliarsi con Boemondo riconoscendogli una parte dell'eredità paterna: nel maggio 1086 Boemondo ottenne, infatti, le città di Oria, Taranto, Otranto e Gallipoli e i possedimenti di G. ricadenti sotto la sua giurisdizione. La dipendenza feudale nei confronti di Boemondo, prefigurata da tale testimonianza, che poteva mettere in pericolo l'autonomia di G., non ha in realtà alcun riscontro documentario, salvo che per Noicattaro.
Al momento della scomparsa del Guiscardo, G. era stato in grado di costruirsi, parte per diritto di conquista e parte per concessioni del duca Roberto, una signoria ampia, ma priva di compattezza sul piano territoriale, e di porsi come il capostipite della famiglia comitale di Conversano. Sebbene la documentazione impedisca di seguire le fasi della sua costituzione, la contea normanna di G. "inclitus comes", che aveva in Conversano il suo centro principale, comprendeva importanti città e località minori situate nel Sudest barese e nel limitrofo territorio lucano come Monopoli, Castellana, Noicattaro, Montepeloso, Satriano Antico e Matera. Un ulteriore ampliamento territoriale della contea è documentato nel periodo successivo. Fu, probabilmente, tra il 1085 e il 1089, e quindi nei primi anni del ducato di Ruggero Borsa, che avvenne il passaggio della città di Brindisi sotto l'amministrazione di G., di cui resta memoria nella disputa per il trasferimento della sede arcivescovile da Oria, che era in mano a Boemondo, a Brindisi.
È, infatti, databile al 1089 il decisivo intervento di G. presso il pontefice Urbano II perché risolvesse a favore di Brindisi, ormai entrata a far parte della sua signoria, l'annoso problema rappresentato dalla diocesi unita di Brindisi e Oria, a causa della concomitante pretesa di entrambe le città di ottenere il riconoscimento del titolo arcivescovile. La questione che aveva fino ad allora impedito una presa di posizione ufficiale da parte della Sede apostolica, impegnata, come è noto, nel corso della seconda metà dell'XI secolo, nella riorganizzazione ecclesiastica dell'Italia meridionale sotto il coordinamento dei pontefici riformatori, fu definita da Urbano II nell'ottobre 1089, allorché il papa decise di riportare a Brindisi, come chiedeva G., la residenza del presule, che era stata trasferita a Oria verso la fine del IX secolo.
Sempre nel corso degli anni Ottanta G. riuscì a crearsi un importante dominio anche a Nardò (presso Lecce), anche se il primo documento, sicuramente autentico, in cui G. risulta attestato come dominator della città risale al 1099. La testimonianza più sicura di cui si dispone è il privilegio di Urbano II relativo alla concessione della protezione apostolica al monastero di S. Maria di Nardò. Si tratta di un privilegio, databile fra il 1088 e il 1092, da cui si evince che G. aveva offerto formalmente al pontefice il monastero neritino, evidentemente pervenuto in suo possesso prima dell'emanazione del provvedimento papale.
Tra il 1085 e la fine degli anni Novanta, G. iniziò a disfarsi di chiese e beni acquisiti in tempi e modi diversi, ma situati nelle medesime località sulle quali esercitava la propria autorità, a vantaggio di una serie di enti monastici e certamente nell'intento di consolidare il controllo del territorio con l'appoggio delle autorità ecclesiastiche e monastiche locali.
Sulla base delle informazioni offerte da tutta una serie di atti di natura economica, in particolare donazioni e permute (alcuni di essi, tuttavia, non sono stati presi in considerazione in quanto si avanzano motivate riserve sulla loro autenticità), si evince che G. effettuò diverse donazioni a favore di due monasteri di Monopoli, S. Nicola e S. Stefano (da lui fondato intorno al 1085), del monastero di S. Benedetto di Conversano (cui cedeva, tra gli altri beni, l'intero villaggio di Castellana), del monastero di S. Maria Veterana di Brindisi (fondato dalla moglie Sichelgaita, prima del 1090, cui offriva, tra l'altro, il casale di Tuturano), dell'ospedale di S. Nicola di Bari, del monastero di S. Michele Arcangelo di Noicattaro e del monastero di S. Maria di Nardò. La stessa strategia di consolidamento del potere mediante un saldo collegamento con le autorità ecclesiastiche viene messa in rilievo dalla permuta, operata tra la fine del 1092 e la metà del 1093, con la quale egli cedeva all'abate di S. Lorenzo di Aversa la chiesa di S. Nicola di Monopoli ricevendone in cambio quella di S. Maria di Montepeloso, e dall'accordo raggiunto nel 1094 con l'arcivescovo di Brindisi-Oria, Godino, al quale G. donò la chiesa di S. Basilio di Monopoli per fare ottenere al monastero brindisino di S. Maria Veterana l'esenzione dalla giurisdizione arcivescovile.
Una delle ultime attestazioni che lo mostrano ancora in vita è un atto di donazione di G., databile al settembre 1100 (Jahn, pp. 253, 396), a favore della chiesa di S. Stefano di Satriano Antico, rappresentata dal vescovo di Satriano Giovanni. In precedenza, nel febbraio del medesimo anno, G. aveva avuto modo di elargire alcune terre al monastero di S. Nicola di Monopoli e di vendere una casa ubicata in Conversano al suo serviens Melo (soldato al suo servizio), mentre nell'agosto 1100 aveva effettuato un'amplissima donazione a favore della sede arcivescovile di Brindisi, retta dal nuovo titolare Balduino, comprendente chiese, terre, case, decime sulle diverse attività produttive (in particolare sui prodotti dell'agricoltura, dell'allevamento, della pesca, della caccia e sul sale delle saline) e sugli introiti fiscali (diritti di mercato, di giustizia e tributum).
La data della morte di G. che, allo stato attuale degli studi, appare la più probabile è il settembre 1100 (Lupo Protospatario ad. a. 1101; Chalandon, p. 181; Jahn, pp. 263-265).
La moglie Sichelgaita, con cui risulta sposato già nel 1083, era la figlia di Rodolfo de Mulisio e apparteneva, pertanto, al potente gruppo parentale dei conti di Boiano. Dal matrimonio erano nati sei figli: Rodolfo, morto prima del padre; Guglielmo; Sibilla; Roberto, conte di Conversano e signore di Monopoli, Ceglie (vicino a Bari) e Frassineto (presso Bari); Alessandro, conte di Conversano dopo la morte del fratello Roberto, e signore di Nardò; Tancredi, signore di Brindisi insieme con la madre.
La contea di Conversano, creata in seguito all'insediamento dei Normanni in Puglia dal comes G. era divenuta pertanto alla fine dell'XI secolo una grande signoria territoriale che, al pari di altre contee normanne nate durante il periodo della conquista nei territori bizantini, comprendeva un complesso di terre feudali distanti e separate fra di loro, dislocate in Puglia e in Lucania. Della contea facevano parte, al momento della morte di G., le città di Conversano, Monopoli, Montepeloso (costituenti il primo nucleo della nascente contea), Matera, Satriano Antico, Ceglie, Brindisi e Nardò. Basata più sul controllo degli uomini che della terra, la signoria di G., come risulta dai dati ricavabili dai documenti disponibili, contava prevalentemente sulla disponibilità di rendite derivanti dall'esercizio di diritti di natura pubblica (plateaticum, iusaffidandi, mortizzo, amministrazione della giustizia, diritti d'uso dell'incolto, del forno, del mulino, del frantoio); meno sui canoni prelevati sui prodotti dell'agricoltura e dell'allevamento e sulle attività legate alla pesca, alla caccia, alla navigazione e all'estrazione del sale nelle saline. Dal punto di vista amministrativo il conte disponeva, inoltre, di una propria cancelleria, di un proprio tribunale e di propri ufficiali, scelti tra gli esponenti dei ceti dirigenti locali.
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