DRAGONI, Goffredo di (Goffridus de Dragone)
Nacque da una famiglia baronale della Terra di Lavoro, che prendeva nome dal suo feudo principale - Dragoni - situato sul Volturno, a nord di Caiazzo. Alcuni dei suoi componenti prestarono servizió alla corte imperiale di Federico II, e a compenso di ciò nel 1238 ottennero un altro feudo, Petramaggiore (località scomparsa, presso San Giorgio di Molara).
I genitori del D. non sono identificabili con certezza.
L'ipotesi, avanzata nel 1641 da F. Della Marra e da G. B. Prignano, secondo cui il Goffredo di Dragoni che fu vicario di Roma nel 1283-84 sarebbe stato figlio di Tommaso di Dragoni (morto nel 1277), di colui cioè cui Federico II nel 1238 aveva conferito il feudo di Petramaggiore, contrasta con altri documenti, ignoti a quegli studiosi. Nella seconda metà del Duecento infatti si possono distinguere tre personaggi con questo nome. Un Goffredo di Dragoni è attestato a partire dal 1272; era un figlio minore di Tommaso di Dragoni, della linea di Petramaggiore, ed entrò in possesso del feudo di Dragoni solo nel 1289-90. Egli morì nel 1316. L'omonimo suo nipote era figlio di Dipoldo di Dragoni, documentato tra il 1270 e il 1293, che subentrò nel 1277 nel feudo di Petramaggiore. Un terzo Goffredo di Dragoni nel 1266 fece ritorno nel Regno dall'esilio e prese possesso del feudo di Dragoni, dove è documentata la sua presenza ininterrrotta per i tre lustri successivi: dovrebbe trattarsi del futuro vicario di Roma, anche perché Carlo I d'Angiò generalmente riservava simili posti ad esponenti del baronaggio meridionale la cui fedeltà avesse resistito all'esilio. Se dunque il D. era il successore diretto di un altro Dipoldo più vecchio, che è attestato come barone di Dragoni tra il 1230 e il 1255 e che mori presumibilmente poco prima del 1266, allora se ne deve dedurre uno stretto rapporto di parentela tra i due: il D. potrebbe essere stato nipote, o addirittura figlio, di Dipoldo. Tuttavia, si ha notizia soltanto di una sorella del D., Venia di Dragoni (morta nel 1277), consorte di Ruggero De Amicis. che fu capitano generale e gran giustiziere dei territori meridionali del Regno dal 1240 al 1245. Il De Amicis partecipò alla congiura di Capaccio e morì in carcere mentre ancora regnava Federico II.
Essendosi schierato contro i successori di Federico II, il D. dovette trascorrere parecchi anni in esilio. Dopo il suo ritorno nel Regno, nel 1266, Carlo I gli restituì i suoi feudi. Nel dicembre dello stesso anno il D. si trovava già a Dragoni, in veste di "baronie Dragoni et castri S. Angeli de Rupecanina dominus" (oggi Sant'Angelo Vecchio, località abbandonata, presso Alife) e conferiva al suo vassallo Guglielmo di Morrone un feudo che il suo predecessore, Dipoldo di Dragoni, aveva dato al suocero di lui, Ruggiero di Tozzolino. Il D. era anche signore di Pontelatone e di una serie di casali su entrambe le rive del Volturno. Nel dicembre del 1271 Carlo I fece requisire per la Corona una chiatta - scafa - con cui il D. svolgeva un proprio servizio di collegamento tra i suoi feudi sul Volturno, a scapito del servizio istituito dalla Corona stessa a Vairano. Nel 1271, quando il re impose il servizio feudale in vista della spedizione militare in Grecia, concesse al D. la possibilità di pagare un riscatto, riconoscendo i suoi trascorsi di esiliato. Poiché il D. non si accordò col giustiziere della Terra di Lavoro sull'entità del pagamento, il re dovette intervenire di persona per impedire al giustiziere d'incamerare i feudi del D. in base all'accusa di rifiutato servizio.
Negli anni successivi il D., come la maggior parte dei baroni in Terra di Lavoro, contribuì ad armare la flotta o a sorvegliare le navi già approntate - Teride - ancorate a Napoli. Nel 1275, dopo la morte di suo nipote Corrado De Amicis, che era uno dei maggiori esponenti del baronaggio calabrese, il D., in quanto parente più prossimo, fece da mediatore, insieme con Riccardo di Chiaromonte, tra la vedova di Corrado, Iacoba di Chiaromonte, e la cognata di questa Margherita De Amicis, sui rispettivi diritti di mantenimento.
Nel 1277 il D. presenziò al processo, svoltosi a Napoli presso un tribunale regio, e riguardante i tributi che il feudatario di Campobasso, Roberto di Molisio, rivendicava dai suoi sudditi. Due anni dopo, unitamente a Roberto di Molisio e ad altri, fece da garante per un appaltatore del monopolio del sale in Puglia, Giovanni d'Afflitto, di Scala. Dopo l'investitura del nobile francese Guillaume Accrochemoure del feudo di Alvignano, dal 1279 in poi la questione dei confini tra Dragoni e Alvignano fu oggetto di un processo che si protrasse per diversi anni, e di cui non si conosce l'esito finale. Nel maggio del 1281 il D., seguendo un ordine del re di prestare il servizio militare insieme con altri cavalieri, si recò a Orvieto, allora sede della Curia pontificia. Carlo I si riprometteva così di dare una dimostrazione di forza e al tempo stesso di consolidare il proprio potere nell'Italia centrale.
Nel 1281 il nuovo pontefice, Martino IV, assunse la carica di senatore di Roma, delegandone l'esercizio a Carlo I, in contrasto con la costituzione emanata da Nicolò III. Il D., nominato alla carica il 25 apr. 1283, fu il terzo dei vicari inviati a Roma dal re. Il fatto che la scelta, dopo due nobili francesi, cadesse su un barone italiano indica che Carlo 1 voleva prevenire qualsiasi ripercussione dei Vespri siciliani sulla sua posizione nell'Italia centrale. Tuttavia la politica seguita dal D. dopo il suo insediamento, avvenuto il 5 giugno 1283, non appare mutata rispetto a quella dei suoi predecessori, Guillaume l'Etendard e Filippo di Lavena. Le tensioni con la popolazione romana e con i sudditi dello Stato pontificio, emerse già sotto i due vicari precedenti, crebbero ancora, al punto che dopo nemmeno un mese Martino IV protestò contro la gestione del Dragoni. Quest'ultimo aveva ingiunto agli abitanti della Sabina (che per il papa non facevano parte del distretto di Roma) di obbedire al re di Sicilia e al vicario di Roma, di adottare nei commerci locali l'unità di misura della Camera di Roma e di rinunciare alla "scorta operariorum". Inoltre, alcuni grasciarii Urbis si erano presentati nel territorio di Civitavecchia, accampando pretese inconsuete nei confronti della popolazione di Centocelle. Il papa, da Orvieto, prese molto sul serio queste soverchierie e il 23 luglio 1283 inviò a Roma lo scrittore pontificio Bernardo de Penni s., per esporre al D. le sue riserve e i suoi consigli. D'altra parte, nel mese di novembre, quando a Roma scoppiò una carestia, Martino IV stanziò 5.000 fiorini d'oro per acquistare cereali nel Regno di Sicilia.
All'inizio di dicembre Carlo I, per alleggerire politicamente la tensione che aveva reso insostenibile la posizione del vicario e del suo seguito, concesse addirittura un'amnistia per tutte le pene comminate nel distretto di Roma dal D. per violazioni dei diritti di prelazione sui generi alimentari di cui godeva il Comune. Contemporaneamente, Carlo I ordinò ai suoi castellani di Civitavecchia e Rispampani di non effettuare alcuna riscossione, per lasciarla ai Romani. In tal modo egli intendeva dimostrare a questi ultimi la propria disponibilità a restituire al Comune l'autonomia fiscale.
Ciononostante, Martino IV rinnovò le sue rimostranze nel gennaio del 1284, dopo che il D. aveva imposto agli abitanti di Lariano dei lavori per la fortificazione. Neanche le importazioni di generi alimentari disposte dallo stesso D., che all'inizio di gennaio ottenne l'invio dal Regno di duecento maiali, riuscirono a ridurre le tensioni. Il 4 febbraio, quando il principe ereditario Carlo di Salerno ordinava da Barletta di inviare cereali dalla Terra di Lavoro a Roma, via mare, per evitare al vicario magna sinistra, era ormai troppo tardi. Fin dal 22 gennaio il malcontento accumulato dai Romani si era tradotto in una rivolta contro i dominatori stranieri. Il D. venne arrestato e rinchiuso per due mesi in Campidoglio, insieme col suo seguito. Nuovo capitano dei Romani fu inizialmente Giovanni Cencio, fratello del cardinale Latino Malabranca.
La rivolta contro il D. non coinvolse soltanto la persona del vicario ma anche la posizione stessa di Carlo I nell'Urbe. Dopo questo episodio, infatti, Martino IV ricercò un compromesso coi Romani, che di fatto consisteva nel restituire alla nobiltà locale le principali cariche municipali. La cacciata del D. dal vicariato rappresentò così una svolta nella storia della città di Roma, in quanto concluse il periodo del predominio angioino, iniziato nel 1263 con la prima elezione di Carlo I a senatore.
Dopo la fine del suo vicariato non si hanno più testimonianze certe sul Dragoni. Nella baronia di Dragoni e nei feudi connessi gli successe nel 1289-90 il suo omonimo della linea di Petramaggiore. Pertanto, la morte del D. andrebbe collocata tra il 1284 e il 1289.
La sua vedova, Egidia Sorella, sposò, non più tardi del 1292, il barone calabrese Riccardo di Chiaromonte, già imparentato con la casa Dragoni attraverso le nozze di sua sorella Iacoba col nipote del D., Corrado De Amicis.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Registro Vaticano 42, f. 52; Roma, Bibl. Angelica, cod. 276: G. B. Prignano, Historia delle famiglie di Salerno normande (ms., 1641), f. 69; A. Theiner, Codex diplom. dominii temporalis S. Sedis, I, Roma 1861, pp. 263 s., 267 s., 412; Annales Placentini Gibellini, a cura di G. H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XVIII, Hannoverae 1863, p. 577; Continuatio pontificum Romanorum, a cura di G. H. Pertz, ibid., XXII, Hannoverae 1872, pp. 479 s.; Saba Malaspina, Istoria, lib. X, c. 14, in G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani, II, Napoli 1868, pp. 388 s.; C. Minieri Riccio, Saggio di codice diplomatico ..., I, Napoli 1878, pp. 202 s. n. 200; J. von Pflugk-Harttung, Iter Italicum, Stuttgart 1883, pp. 618 s.; G. Scaramella, Alcune antiche carte di Campobasso, Campobasso 1901, pp. 17-22 n. 1; G. M. Monti, Da Carlo I a Roberto d'Angiò. Ricerche e documenti, Trani 1935, pp. 278 s., 305-308; Gli atti perduti della Cancelleria angioina, a cura di B. Mazzoleni, II, Roma 1943, p. 192 n. 1429; Iregistri della Cancelleria angioina …, a cura di R. Filangieri, VII, Napoli 1955, pp. 98 s.; VIII, ibid. 1957, p. 7; IX, ibid. 1957, pp. 2 s., 246; XIII, ibid. 1959, p. 300; XVI, ibid. 1962, p. 61; XVII, ibid. 1963, p. 154; XVIII, ibid. 1964, p. 120; XX, ibid. 1966, pp. 89, 122, 125 s.; XXIII, ibid. 1971, p. 221; XXV, ibid. 1978, pp. 40, 95; XXVI, ibid. 1979, pp. 77, 91, 114 s., 117,ss., 210, 284; XXVII, ibid. 1979, pp. 138, 284, 293, 303, 369, 395, 425; E. Pásztor, Il Registro Vaticano 42, in Annali della Scuola speciale per archiv. e bibliotec. dell'Univer. di Roma, X (1970), pp. 57 nn. 283-285, 59 n. 296, 71 n. 398; F. Della Marra, Discorsi delle famiglie estinte forastiere o non comprese ne' seggi di Napoli imparentate colla casa della Marra, Napoli 1641, pp. 147 s.; F. A. Vitale, Storia diplom. de' senatori di Roma, I, Roma 1791, pp. 191 ss.; F. Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter, V, Stuttgart 1878, pp. 474 s.; F. Scandone, Notizie biogr. di rimatori della scuola siciliana, in Studi di letterat. ital., III (1905), pp. 229, 240, 243 s., 249 s., 254; N. de Boüard, Le régime politique et les institutions de Rome au Moyen-Age 1252-1347, Paris 1920, pp. 50, 172, 245 s., 290-295 nn. 9, 10; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medioevo, I, I Senatori, Roma 1935, p. 86; E. Dupré Theseider, Roma dal Comune del popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, pp. 231, 295; D. Waley, The Papal State in the ThirteenthCentury, London 1963, p. 207; D. Marrocco, Una donazione di Diopoldo di Dragoni, Napoli 1964, pp. 4-9 (edizione non accurata).