Vedi GNATHIA dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
GNATHIA (v. vol. III, p. 967 e S 1970, p. 356)
Alcuni sondaggi molto limitati hanno confermato l'importanza dell'insediamento protostorico; la collina dell'acropoli sembra essersi formata proprio in questo periodo, con il sovrapporsi dei varí livelli di frequentazione. Le prime presenze stabili riconosciute appartengono a una facies culturale subappenninica (XIII-XI sec. a.C.) e sono relative a un villaggio fortificato dalla parte di terra con una struttura in pietre irregolari, spessa fino a 12 m, che sostiene un agger e retrostante. A una fase di abbandono sembra succedere una nuova frequentazione del sito (IX-VII sec. a.C.) ancora poco conosciuta. Presenze ceramiche sporadiche segnalano, però, che in questa fase l'insediamento utilizzava anche aree esterne all'originaria cinta difensiva. Alla fine di questo periodo la cultura materiale pare caratterizzarsi come peuceta, ma la presenza umana non sembra sviluppare strutture organizzative complesse e, al contrario di altri centri della Puglia meridionale, forse non conosce un fenomeno di trasformazione sociale in senso «urbano». La documentazione, proprio tra il VII e il V sec. a.C., appare molto scarsa, sia nell'abitato sia nella necropoli, costituita da poche deposizioni, le più antiche con cadavere rannicchiato. Nel repertorio del corredo funerario di queste tombe sono comprese anche trozzelle, caratteristico «fossile guida» della cultura materiale messapica: l'abitato rivela, così, sin da questo periodo, il carattere misto delle sue componenti etnico-culturali, in una zona che resterà di confine tra Messapia e Peucezia.
È nella seconda metà del IV sec. a.C. che si assiste, invece, allo sviluppo quasi improvviso di un insediamento urbano che, a tutt'oggi, non sembra trovare nessuna premessa nella frequentazione precedente. Viene eretto un ampio circuito murario, in questa prima fase costituito da un muro a scarpata in opera isodomica, difeso all'esterno da un fossato e appoggiato a un aggere di terreno sostenuto da due bassi muri di controspinta. All'interno, a parte la zona dell'acropoli e delle sue pendici occidentali, non si sono ancora individuate tracce di un tessuto abitativo; per cui è probabile che, almeno all'inizio, la cinta proteggesse anche vaste aree libere. Tra la fine del IV e il III sec. a.C. si devono datare probabilmente i primi interventi di edilizia pubblica: si tratta di un tempio con cella e peristasi sull'acropoli e due stoài, di cui una a squadra, alle sue pendici occidentali, in un'area che sembra essere destinata a spazio pubblico, con funzioni politiche e sacre. Nella zona, infatti, a partire da questo momento, si concentra l'attività edilizia rappresentativa della città, che sembra intensificarsi nel II e I sec. a.C. Dalla fine del IV sec. a.C. sono meglio documentate anche le necropoli, sviluppatesi all'esterno e all'interno della cinta, che hanno restituito un importante nucleo di ipogei, utilizzati, a quanto pare, almeno fino al II sec. a.C. inoltrato. A parte quelli già noti dai vecchi scavi, si devono segnalare la riscoperta dell'ipogeo «del pilastro» e l'esplorazione delle nuove tombe a camera «Labate», «delle melagrane», «della casa medievale» e «del banchetto funebre», tutte riccamente affrescate nello stile strutturale. Il saccheggio della necropoli, effettuato soprattutto nel secolo scorso, ci ha privato quasi sempre dei corredi; solo pochi contesti intatti hanno potuto fornire, così, preziose informazioni sulla cultura materiale del periodo: si tratta prevalentemente di tombe a finto sarcofago e a semicamera, di cui un cospicuo nucleo è stato scoperto nella necropoli occidentale. A questi rinvenimenti si è affiancato il riesame di quelli effettuati in passato, tra cui una sepoltura trovata nel 1939 con un ricco corredo attribuibile agli inizi del III sec. a.C., comprendente reperti coroplastici e un sigillo in cristallo di rocca con decorazione incisa raffigurante l'aggressione di un grifo a un cervo. Appare di particolare interesse, sulla copertura della tomba 78/42, un'offerta funeraria costituita da un bucranio integrato con argilla cruda e corna bovine, intorno al quale erano stati depositati varí oggetti, tra i quali frutti fittili votivi. Nei casi meglio conservati le tombe mostrano anche l'esistenza di rozzi segnacoli esterni in forma di cippi parallelepipedi. La «rifondazione» urbana dell'insediamento sembra essere stata gestita, quindi, da gruppi familiari socialmente emergenti, che introducono l'uso degli ipogei e che si servono di una cultura fortemente ellenizzata, anche se con alcuni caratteri indigeni. Lo dimostra, tra l'altro, la coroplastica rinvenuta, con la diffusione di iconografìe ellenistiche mediate da Taranto, accanto a interpretazioni e creazioni locali spesso caratterizzate da una vena espressiva formalmente poco colta, ma senza dubbio originale. Nel III sec. a.C. si deve datare un rifacimento delle mura, consistente in una specie di fasciatura esterna; tra la facciavista, costruita ex novo in opera isodomica, e la muratura originaria vi sono setti di collegamento e lo spazio intermedio viene riempito da un èmplekton. In questo modo si ottiene una nuova struttura a doppia cortina che si imposta nell'area del vecchio fossato; di essa rimane l'estremità settentrionale, ancora esistente in tutta la sua altezza, per un totale di 16 filari. Nell'area pubblica alle pendici occidentali dell'acropoli, tra il III e il I sec. a.C., si pone mano a una progressiva articolazione dello spazio in una serie di edifici con funzioni differenziate. Le varie fasi, distinguibili con difficoltà, non possono essere collegate a una cronologia assoluta. In un primo momento si costruisce un nuovo portico, abbattendo la porzione terminale del precedente portico a squadra; in seguito ì alcuni di questi edifici vengono ristrutturati per creare un quadriportico di cui viene integralmente lastricato il cortile interno. Contemporaneamente si murano gli intercolumni del portico a squadra e tra questo e il quadriportico si ricava lo spazio per un'area ellissoidale, definita da un muro perimetrale in opera incerta, con il percorso anulare superiore lastricato. Ne è incerta la funzione, ma gli ambienti di servizio ricavati nel terrapieno alle spalle, la mancanza di un facile accesso all'«arena» dall'esterno e la balconata di affaccio inducono a considerarlo una specie di anfiteatro o uno spazio comunque destinato a manifestazioni ludiche. Nel I sec. a.C., in un'area vicina alle mura, fu costruito un grande criptoportico quadrangolare, forse destinato soprattutto a svolgere funzioni di immagazzinamento. In età augustea la città ebbe probabilmente il patronato di Agrippa e al periodo della guerra aziaca potrebbe risalire la costruzione dei moli in opera reticolata a difesa del bacino portuale settentrionale; allo stesso periodo risalirebbe anche la basilica forense del tipo vitruviano di Fano, con un ordine interno unico di 4 x 8 colonne. Sempre al I sec. a.C. si possono attribuire le prime tracce sicure dell'espansione edilizia privata, indagata tra il probabile anfiteatro e le mura occidentali, in un quartiere separato dall'area pubblica dalla grande arteria viaria con direzione all'incirca N-S, da tempo identificata con il percorso urbano della più antica Via Minucia e della più recente Appia Traiana. Il tessuto abitativo presenta insulae e strade irregolari che sembrano escludere l'esistenza di una sistematica pianificazione urbanistica. In età vespasianea forse si ebbe un'assegnazione di terre, ma non sono note modifiche allo statuto municipale. Alla piena età imperiale, probabilmente al II sec. d.C., potrebbero essere assegnati sia il già noto sacello della Magna Mater e della dea Syria, sia un probabile complesso termale di cui emergono solo alcuni setti murari, al di fuori dell'attuale area di scavo. Una ripresa dell'attività edilizia pubblica si determina nel IV sec. d.C.; a quest'epoca risale l'istituzione di tre complessi ecclesiali. Uno è stato forse alloggiato nella basilica forense ristrutturata e collegata, come in passato, a una grande sala quadrangolare retrostante, ora decorata da un nuovo pavimento musivo con èmblema raffigurante le Tre Grazie. Forse contemporaneamente fu edificata la prima fase della basilica episcopale di cui si è rintracciato solo il battistero, e un'altra chiesa di planimetria poco chiara si è rinvenuta al di sotto della c.d. basilica Quagliati. Nel V sec. d.C. fu ricostruita ex novo la basilica episcopale (è noto un vescovo Rufenzio che nel 501 e nel 502 partecipa ai sinodi romani), ornata da mosaici geometrici e plutei a bassorilievo che, insieme alle caratteristiche struttive del monumento, mostrano una cultura architettonica locale ben inserita nello sviluppo dell'area orientale dell'Impero. Dopo il V sec. d.C. può essersi verificato un progressivo diradarsi del tessuto insediativo, ma forse solo nel VII sec. d.C. si ebbe una distruzione dell'abitato, con l'incendio e il crollo degli edifici di culto individuati. Successivamente la zona abitata sembra restringersi alla sola acropoli, che viene fortificata da una nuova cinta muraria costruita con materiale di spoglio e difesa da un ampio edificio quadrangolare, forse una sala longobarda. All'esterno, il paesaggio urbano si ruralizza completamente: alle rovine si sovrappongono poche costruzioni isolate a unico ambiente e una nuova chiesa, la «basilica Quagliati».
Le necropoli delle fasi di vita post-ellenistiche sono poco note; di recente, però, nella necropoli sud-occidentale è stato individuato un nucleo di sepolture a incinerazione e a inumazione in fosse con numerose deposizioni databili per tutta l'età imperiale, forse fino all'abbandono della città esterna all'acropoli. Solo in questo quartiere, infatti, la vita sembra protrarsi almeno fino al X sec. d.C., anche se alcune tracce attestano una frequentazione che continua in maniera stentata fino ai secoli XIII e XIV, quando il ricordo dell'antica città resta affidato a una torre di avvistamento costiero che ne perpetua il nome sino a oggi.
Per un aggiornamento sulla produzione ceramica di G. v. apuli, vasi.
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