GLOSSEMATICA
. Dottrina linguistica elaborata, a partire dal 1931, in seno al Cercle linguistique di Copenaghen, e formulata nei suoi principî costitutivi teorici e metodologici da L. Hjemslev, nel 1943.
Nel 1931 i linguisti danesi costituirono due équipes, l'una per gli studî fonologici, l'altra per gli studî grammaticali. I risultati dell'attività del "gruppo fonologico", furono comunicati da L. Hjemslev e H. J. Uldall al II Congresso internazionale di scienze fonetiche (Londra 1935), sotto la denominazione di fonematica. Successivamente, lo studio delle relazioni intercorrenti fra i problemi fonologici e quelli grammaticali, condusse alla formulazione di una nuova teoria linguistica, detta glossematica (per l'unità linguistica essendo stato coniato il termine di glossema), che fu presentata nel dicembre 1935 al Humanistik Samfund di Aarhus. In essa la fonematica, con il nuovo nome di cenematica, cioè scienza delle unità di "espressione", dette "cenemi" (dal gr. κενός, "vuoto"), si integrava con la plerematica, cioè scienza delle unità di "contenuto", dette "pleremi" (dal gr. πλήρης, "pieno"). Le pubblicazioni degli otto anni successivi documentano lo sforzo di guadagnare, con il nuovo metodo, la nuova terminologia, così che solo la Omkring Sprogteoriens Grundlaeggelse (1943) di Hjemslev, segna la nascita effettiva della glossematica.
Essa rappresenta oggi un indirizzo particolare dell'orientamento strutturalista (v. strutturalismo), con il quale condivide l'origine saussuriana dei presupposti teorici, portandoli alle estreme conseguenze. Il riconoscimento della sistematicità della "langue" e la conseguente esigenza di un metodo immanente, cioè rigorosamente autonomo dalle altre scienze, costituiscono infatti la premessa teorica di tutti gli indirizzi a carattere strutturalista, ma la connessa istanza formalista, denunziata essa pure da F. de Saussure, e accolta dallo strutturalismo, è sviluppata dai linguisti danesi fino a considerare fuori dei limiti scientifici della ricerca lo studio di ciò che essi chiamano la "sostanza" della lingua.
La forma linguistica sui due piani, dell'espressione e del contenuto, è "manifestata" dalla sostanza; questa è costituita da fatti fisici - i suoni, i grafemi, i gesti, sul piano dell'espressione; le cose sul piano del contenuto - e da fatti psicologici - il riflesso di queste realtà fisiche sul parlante - ed è quindi in sé stessa da riguardare come un complesso di elementi in definitiva extralinguistici (il rifiuto della sostanza comporta l'irrilevanza del tipo di sostanza in cui si realizza l'espressione, e quindi l'indifferenza tra la normale sostanza fonica e un'altra qualsiasi; di qui la sostituzione del termine "fonematica" con quello antisostanzialista di "cenematica"). Di conseguenza il segno linguistico sarà definito in termini puramente relazionali, come la "solidarietà" (si indica così nella terminologia hjemsleviana un rapporto di mutua dipendenza sul piano sintagmatico) tra una forma di espressione e una forma di contenuto; e analogamente, un sistema linguistico sarà concepito come un tessuto di relazioni i cui termini non hanno realtà scientifica se non come punti di incrocio di fasci di interdipendenze; queste relazioni sono perciò chiamate, con terminologia algebrica, "funzioni", e i loro termini "funtivi". Ciò che il linguista si propone, posto dinanzi ad un testo, è di darne una descrizione scientifica, riconducendolo al corrispondente sistema; ciò è possibile mediante un'"analisi" consistente nella riduzione dell'unità indifferenziata del dato fenomenico in unità relazionali sempre meno ampie, fino a raggiungere unità di base, dette glossemi (paragonabili agli elementi della chimica) per le quali non sia possibile un'ulteriore riduzione. Il procedimento, che si svolge in termini rigorosamente formali (Hjemslev e Uldall hanno creato addirittura un' algebra glossematica", intesa come la descrizione di "una struttura di funzioni non-quantitative completa in sé stessa, senza necessità di ricorrere a definizioni derivate da altre scienze"), è presentato come "una serie di operazioni in ordinata dipendenza", nel senso che ognuna presuppone i risultati della precedente e serve a definirli, fino a raggiungere risultati non ulteriormente definibili. Queste operazioni comprendono "una serie di analisi in ordinata dipendenza" (deduzione) e, corrispondentemente, "una serie di sintesi in ordinata dipendenza" (induzione); cioè, l'analisi procede per gradi (periodi, proposizioni, parole, sillabe e parti di esse), per ognuno dei quali si fa l'inventario degli elementi che si trovano nelle stesse "relazioni" (ossia che possono occupare lo stesso posto nella catena); il numero di questi elementi diminuisce progressivamente, dal numero praticamente illimitato dei periodi, proposizioni, parole, cioè dei segni, al numero limitato e generalmente basso delle sillabe e delle loro parti, cioè dei non-segni, detti con termine latino figurae.
I due tipi fondamentali di funzioni sono la congiunzione (ingl. both-and, fr. et-et) o relazione, che comporta la coesistenza dei funtivi e appartiene quindi al piano sintagmatico (o del testo), e la disgiunzione (ingl. either-or, fr. ou-ou) o correlazione, che comporta l'alternanza dei funtivi ed appartiene quindi al piano paradigmatico (o del sistema). A queste si riconducono tutte le altre funzioni, classificabili in tre tipi: interdipendenza, la funzione tra due costanti (es.: il morfema di caso e quello di numero nel nome latino, che non presenta mai l'uno senza l'altro); determinazione, la funzione tra costante e una variabile (es.: il lat. sine che presuppone, nel testo, l'ablativo, mentre l'ablativo non presuppone necessariamente il sine); costellazione, la funzione tra due variabili (es.: una qualsiasi categoria di caso e un qualsiasi numero in latino, i quali hanno la possibilità di combinarsi ma nessuno dei due presuppone necessariamente l'altro); vi corrispondono tre serie di termini volti a definire rigorosamente i rapporti e le suddivisioni successive, come si stabiliscono nel testo, o nel sistema, ovvero sia nel testo sia nel sistema.
Ma la descrizione dei singoli sistemi linguistici non è il fine ultimo della glossematica. Essa intende infatti porsi come "teoria della lingua", proponendosi una descrizione in termini di relazione di tutto il materiale linguistico esistente, con la quale divenga possibile, mediante operazione "algebrica", venire in possesso di un sistema generale, racchiudente tutte le possibili "forme"; ciò permetterà di stabilire, dal confronto di ogni particolare linguaggio col sistema generale, quali "forme" di questo si siano in quello materializzate: solo tale confronto potrà rappresentare una descrizione linguistica veramente scientifica; le descrizioni preliminarmente tracciate, al solo fine di guadagnare, una volta per tutte, il sistema generale della lingua, sono necessariamente delle approssimazioni, empiricamente condotte, "by trial and error", in attesa di ricevere, da quel confronto, il loro controllo e la definitiva sistemazione. La teoria comporta un principio metodologico, detto "principle of empiricism", articolato in tre punti: self-consistency, exhaustivness, simplicity, ritenuto atto a garantire il proposito di "descrivere e differenziare il maggior numero possibile di oggetti nel modo più semplice possibile".
La linguistica danese è lungi dall'espletamento di così vasto programma, e la teoria hjemsleviana può dirsi ancora in fase di formulazione, avendo suscitato, nel seno stesso del circolo di Copenaghen, una vasta problematica. Ma il punto centrale della questione è certo da vedere nel rifiuto della sostanza linguistica, che pone due interrogativi. Il primo riguarda la possibilità di prescindere veramente dalla sostanza, tenuto conto che il riconoscimento e la classificazione delle entità vengono effettuati mediante il procedimento della commutazione (già applicato dai fonologisti e da Hjemslev esteso a tutte le altre unità linguistiche), che comporta necessariamente, come lo stesso Hjemslev riconosce, un ricorso alla sostanza della lingua. La difficoltà andrebbe superata (secondo B. Siertsema) distinguendo nettamente la prima fase della ricerca, che, proponendosi il riconoscimento delle unità, deve fare uso della commutazione, dalla seconda fase, cioè la descrizione, espressa in termini di pura relazione. Subentra allora il secondo interrogativo, cioè se una simile descrizione "algebrica" sia veramente adeguata al suo oggetto, se cioè essa non cessi di essere la descrizione di una lingua in quanto tale. Inoltre, il rifiuto della sostanza preclude la possibilità di una comparazione tra le diverse lingue, descritte in termini di relazioni, come tra le diverse fasi cronologiche di una stessa lingua; e lo studio delle cause del mutamento linguistico rimane comunque bandito dalla ricerca, poiché tale mutamento si origina sempre sul piano della sostanza, fonica o semantica. Infine, anche rimanendo sul piano sincronico, accade talora che unità linguistiche distinte abbiano la medesima "funzione", e siano quindi, dal metodo relazionale, identificate (A. Martinet richiama l'esempio del Trubeckoj: in birmano tutte le consonanti dovrebbero essere definite allo stesso modo e di conseguenza identificate, e così le vocali); in simili casi il rifiuto della sostanza sacrifica la exhaustivity della descrizione, urta cioè contro uno dei principî della stessa glossematica. In definitiva, non sembra possibile prescindere dalla sostanza senza perdere di vista l'oggetto stesso della scienza linguistica, e, per quel che riguarda ab interno la glossematica, senza urtare contro i suoi stessi principî, e compromettere la self-consistency della teoria.
Bibl.: L. Hjemslev, Omkring Sprogteoriens Grundlaeggelse, Copenaghen 1943, nella relativa traduzione, ad opera di F. J. Whitfield, Prolegomena to a theory of language, Supplemento allo International Journal of American Linguistics, vol. 19, i, 1953; A. Martinet, Au sujet des "Fondements de la théorie linguistique" de L. Hjemslev, in Bulletin de la Soc. de Ling. de Paris, XLII, i, 1946; B. Siertsema, A study of glossematics. Critical survey of its fundamental concepts, L'Aia 1955; e le riviste: Bulletin du Cercle linguistique de Copenhague, dal 1934; Acta linguistica (Rivista internazionale di linguistica strutturale pubblicata da L. Hjemslev col concorso di un consiglio internazionale) Copenaghen, dal 1939; Travaux du Cercle linguistique de Copenhague, dal 1944 (in particolare, il vol. V, 1949; Recherches structurales 1949. Intervention dans le débat glossématique; e il vol. X, i, 1957; L. Hjemslev e H. J. Uldall, Outline of glossematics).