Grahame, Gloria
Nome d'arte di Gloria Hallward, attrice cinematografica statunitense, nata a Pasadena (California) il 28 novembre 1925 e morta a New York il 5 ottobre 1981. La G. fu la migliore interprete dei ruoli di donne facili, durante gli anni Quaranta, secondo un nuovo modello di femminilità presente soprattutto nel genere noir. Il personaggio più noto della sua carriera è Debbie, pupa di un sadico gangster in The big heat (1953; Il grande caldo) di Fritz Lang, che la diresse anche in Human desire (1954; La bestia umana). La sua recitazione raffinata fu impiegata anche per rappresentare donne ottuse della classe medio-bassa: in questo la G. anticipò le caratteristiche recitative di Marilyn Monroe. L'importanza di questo contributo fu sancita da un Oscar come migliore attrice non protagonista ottenuto nel 1953 per The bad and the beautiful (1952; Il bruto e la bella) di Vincente Minnelli, con cui lavorò anche in The cobweb (1955; La tela del ragno).
Figlia di un designer e di un'attrice inglese, la G. studiò alla Hollywood High School e a diciotto anni debuttò a Broadway. Fu notata sul palcoscenico da Louis B. Mayer, e nel 1944 esordì nel cinema con Blonde fever di Richard Whorf. Lavorò poi con altre case di produzione e si caratterizzò per uno spiccato erotismo: una figura dalle movenze flessuose e sensuali, senza gli eccessi degli anni Cinquanta; una bocca carnosa, la capacità di esprimere la provocazione sessuale, ma anche la sfida o la vulnerabilità femminile. Questa ampiezza di registri permise all'attrice di non restare confinata nei limiti ristretti delle parti da prostituta. Già la Geenie di Crossfire (1947; Odio implacabile) di Edward Dmytryk ne rivela la ricchezza interpretativa. Ma fu Nicholas Ray, suo secondo marito, a sfruttarne la capacità mimetica: in A woman's secret (1949; Hai sempre mentito) le riserva una perfida parte di svampita; nel successivo In a lonely place (1950; Il diritto di uccidere) la affianca a Humphrey Bogart nella parte di una donna vissuta e passionale. La G. rappresentò la femminilità complessa dei film di Lang: in essi la donna è coinvolta in una più generale strategia di mercificazione delle relazioni umane; tuttavia, il personaggio femminile infine vi si sottrae attraverso il proprio sacrificio, in base a uno schema peccato/redenzione corrente, ma impreziosito dalla poetica del regista e dalla finezza mimica dell'attrice. I ruoli drammatici occultarono il talento comico della G., preannunciato da un'apparizione in It's a wonderful life (1946; La vita è meravigliosa) di Frank Capra e confermato più tardi in Oklahoma (1955) di Fred Zinnemann. La sua duttilità è dimostrata anche in apparizioni prive di dialogo, pure convincenti: per es., in Macao (1952; L'avventuriero di Macao) di Josef von Sternberg. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, l'attrice si eclissò pian piano. Nei decenni successivi si limitò a comparire in b-movies, o si dedicò prevalentemente al teatro e alla televisione, salvo venire nuovamente celebrata da Jonathan Demme, cineasta cinefilo che la impiegò in Melvin and Howard (1980; Una volta ho incontrato un miliardario).
D. Shipman, The great movie stars. The international years, New York 1972, pp. 186-88; E. Braun, In camera: welcome back corner, in "Films and filming", 1980, 1; V. Curcio, Suicide blonde: the life of Gloria Grahame, New York 1989.