glioma
Tumore del sistema nervoso che prende origine dal tessuto gliale. Circa il 50% di tutte le neoplasie intracraniche (quasi il 70% nei bambini), ha un’origine gliale, e ogni anno si rilevano circa 5 casi ogni 100.000 abitanti. La caratteristica comune di questi tumori è la crescita intracranica, che determina una sofferenza di natura compressiva sull’encefalo. I g. si localizzano principalmente a livello degli emisferi cerebrali, più raramente nel tronco encefalico (g. del tronco), nel cervelletto e nel nervo ottico (g. del nervo ottico).
A seconda dei tipi di cellule da cui si originano, i g. a loro volta sono distinti in astrocitomi, oligodendrogliomi, ependimomi e glioblastomi: questi ultimi sono i più aggressivi e maligni, costituendo quasi 1/4 di tutti i tumori cerebrali primitivi. La quarta edizione (2007) della classificazione dei tumori del sistema nervoso centrale della World Health Organization (WHO) ha inserito nuove entità e varianti di tumori, altri sono stati riclassificati o solo rinominati. Importante è la rivisitazione del grading, cioè della stadiazione del tumore, che viene valutata in base alle caratteristiche istopatologiche del g., fornendo importanti indicazioni sulla malignità. I g. sono definiti di basso grado (ben differenziati e benigni) e di alto grado (anaplastici e maligni). In base all’aggressività la WHO indica la numerazione da I a IV, indicando con IV il grado di g. più aggressivo: I g. pilocitico, II g. di basso grado, III g. anaplastico e IV glioblastoma multiforme. Inoltre sono state caratterizzate diverse alterazioni genetico-molecolari.
È stato suggerito che due vie molecolari siano coinvolte nella progressione degli astrocitomi: quella associata all’inattivazione del gene codificante la proteina TP53 (Tumor Protein p53) e l’amplificazione del gene codificante il fattore di crescita EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor). La perdita dell’allele del braccio corto del cromosoma 1 (1p) e del braccio lungo del cromosoma 19 (19q) è stata riportata come la più comune alterazione genetica degli oligodendrogliomi. La perdita del cromosoma 1p/19q rappresenta un marcatore prognostico favorevole e un probabile predittore di una buona chemiosensibilità del tumore.
Le caratteristiche cliniche e sintomatologiche dei g. sono da identificarsi con sintomi di ordine generale (compressione endocranica) e sintomi specifici dovuti alla localizzazione neuroanatomica del tumore. La cefalea continua, persistente da più di 3÷4 settimane, non risolvibile con analgesici generici, può essere un sintomo comune a diverse forme di glioma. Oltre a essa possono comparire la sindrome da ipertensione endocranica o forme di edema cerebrale. La sintomatologia specifica è molto vasta: dall’amnesia all’atassia, dall’emiplegia all’afasia, dall’emianopsia all’aprassia, oltre a singoli sintomi dovuti al danno dei nervi cranici all’interno della scatola cranica. Uno dei quadri clinici più frequenti del g. è rappresentato dall’epilessia, sia con crisi parziali che generalizzate. La combinazione multidisciplinare fra chirurgia, radioterapia e chemioterapia è alla base della terapia dei gliomi.
Rispetto al grading, il g. di grado I (astrocitoma pilocitico), tipico dell’infanzia, è l’unico tumore veramente benigno, che se correttamente asportato consente probabilità di giungere a una cura, mentre per i g. di grado II, III e IV, con caratteristiche potenzialmente maligne, derivanti dal fatto che la loro asportazione totale non è facile proprio a causa della loro localizzazione nel cervello, la difficoltà di trattamento aumenta man mano che si passa da un grado più basso a uno più elevato. La chemioterapia prevede l’uso di temozolomide, una molecola che attraversa la barriera emato-encefalica e quindi risulta essere efficace sulle strutture cerebrali. Per le forme più resistenti di g. si può utilizzare il bevacizumab, un anticorpo monoclonale che agisce inibendo l’angiogenesi del tumore, in combinazione con altri chemioterapici. Comunque, ciò che cambia è la sopravvivenza media, perché di questi tumori purtroppo non si guarisce. Il grado II consente una sopravvivenza anche a 5 anni nel 55-75% dei casi, ma già per il grado III questa è inferiore al 20% e per i g. più aggressivi (IV grado) la sopravvivenza è di circa 12 mesi, con rari casi entro i tre anni.