Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Originari del subcontinente indiano, gli zingari arrivano in Europa intorno all’anno Mille, quando la loro presenza è attestata a Costantinopoli e in altre parti dei domini bizantini. Da lì, nel XIV secolo, passano in Siria e in Egitto, nei territori della Serbia e dei Balcani, in Grecia e nelle isole dello Ionio e dell’Egeo, dominate della Repubblica di Venezia, per poi diffondersi dagli inizi del Quattrocento nel cuore dell’Europa e del mar Mediterraneo. Sono spesso in condizioni precarie, ma non ancora di esclusione, per lo più occupati come contadini o artigiani, in qualità di calderai, fabbri e lavoratori del cuoio gli uomini, le donne dedite a vaticinare il futuro. Alla fine del Quattrocento, quando la pressione di nuovi flussi migratori e la loro conseguente più forte mobilità sul territorio comincia a destare la preoccupazione dei poteri costituiti, arrivano i primi provvedimenti di espulsione che li riguardano.
Dall’India all’Europa
Originari delle regioni del Nord-Ovest dell’India, gli zingari arrivano in Europa attraversando la Persia e l’Armenia alla fine del I millennio d.C. Intorno all’anno Mille la loro presenza è attestata a Costantinopoli e in altre parti dei domini bizantini, come in Tracia, in Valacchia e nel Peloponneso, dove sono individuati sotto la denominazione di Atsingani o Tsigani. Da lì, nel XIV secolo, passano anche in Siria e in Egitto, da dove derivano il nome di Egiptii, Egiptij, Aegiptii, d’Egipto o de Giptio con cui da allora cominciano a essere conosciuti in diverse regioni dell’area mediterranea (Egyptiens in Francia, Giptij o Egiptii in Italia, Gitanos in Spagna, Gypsy in Inghilterra) e da dove, insieme al nome, derivano anche le prime teorie sulle loro origini. Nei territori della Serbia e nel Nord dei Balcani, alla metà del Trecento, tracce documentate della loro presenza li descrivono in condizioni di estrema povertà, ma sedentari, per lo più occupati come contadini o artigiani – calderai, fabbri, ferrai, spadai e lavoratori del cuoio. Alcune fonti li segnalano anche come addestratori di animali e acrobati e le donne come indovine (da cui guardarsi).
Nella stessa epoca altri documenti li attestano in zone della Grecia e nelle isole dello Ionio e dell’Egeo di dominio della Repubblica di Venezia. A Creta, a Zante e a Corfù, ad esempio, dove fonti di fine Trecento parlano di un “feudo degli zingari” (feudum acinganorum), che i Veneziani affidano a famiglie corfiote o veneziane, e nella città di Nauplion nel Peloponneso, una terra che gli stessi Veneziani cercano di popolare richiamandovi popolazioni slave e albanesi. Qui essi assegnano la carica di ”drungario degli zingari” (drungarius acinganorum), ovverosia di comandante militare di una drunga, agli stessi Rom. A Modone, sulle coste della Messenia nella Morea sud-occidentale, porto strategico per i viaggiatori in transito da Venezia a Giaffa verso la Terrasanta e del commercio degli schiavi, nei primi decenni del XV secolo diversi gruppi di Rom vivono su un colle, fuori le mura, in un insediamento stabile fatto di capanne. Sono in condizioni precarie ma non di esclusione, integrati tra la multietnica e cosmopolita popolazione locale composta da Veneti, Greci, Slavi, Albanesi, Ebrei, mercanti e pellegrini.
È nei Balcani ottomani, comunque, che sin dalla metà del XIV secolo si stabilisce la più consistente comunità Rom d’Europa. Essi appaiono ben integrati nel tessuto socio-economico locale. Figurano costantemente nei registri fiscali, pagano una tassa annuale pro capite e denunciano il loro lavoro. Svolgono molteplici attività, spesso legate all’artigianato: calderai, fabbri, ferrai, spadai, orefici, sarti, macellai, lavoratori del cuoio, tintori, guardiani, servi, corrieri. L’unica discriminazione effettuata nei loro confronti da parte dei poteri locali è il divieto fatto ai Rom musulmani di unirsi con quelli cristiani.
Le condizioni peggiori sono quelle vissute dagli zingari stabilitisi in Valacchia e in Moldavia, due principati cristiani per secoli vassalli degli Ottomani. Qui, dalla fine del Trecento, gli zingari vivono in condizioni di schiavitù, impiegati nelle grandi opere di disboscamento e messa a coltura di quelle ampie regioni spopolate, nei secoli precedenti, dalle incursioni dei Tartari.
La diaspora
Dal 1417 inizia poi quella che potremmo definire la vera diaspora degli zingari nel cuore dell’Europa e del mar Mediterraneo. Sospinti essenzialmente dall’avanzata dei Turchi ottomani verso Occidente e dalla definitiva caduta di Costantinopoli nel 1453, molti gruppi di Rom si spostano lungo due principali traiettorie: una che dall’Ungheria e la Boemia li porta verso la Germania, la Francia, la Spagna, le isole britanniche e la penisola scandinava; l’altra che, lungo le rotte del Mediterraneo, li conduce sulle coste centro-meridionali dell’Italia, nelle isole maggiori e da lì verso l’Andalusia. È lungo la prima via che tra il 1417 e il 1419 gruppi di Rom arrivano nelle città tedesche di Brema, Lipsia, Amburgo e in Svizzera; nel 1421 ad Arras e a Tournai. È probabilmente attraverso la Francia che di lì a poco, nel 1425, raggiungono le regioni settentrionali della penisola iberica, ovverosia l’Aragona e la Catalogna. Altri nuclei di zingari sono Inghilterra tra il 1430 e il 1440, in Scozia intorno al 1492 e in Svezia nel 1515. Le date riportate si riferiscono, come è ovvio, alla loro apparizione “ufficiale”, quale è riportata per un qualche motivo dai documenti dell’epoca. Evidentemente nulla vieta di pensare che, in molti casi, essi vivessero sul territorio già prima che un avvenimento occasionale abbia spinto cronisti e autorità locali a far menzione della loro presenza.
I cronisti dell’epoca annotano che gli zingari in questione dichiarano di essere originari del basso o del piccolo Egitto, si muovono a gruppi composti dalle 30 alle 200 persone, guidati da un capo che chiamano col titolo di duca o di conte. Si fingono pellegrini e all’uopo mostrano dei salvacondotti imperiali o una bolla papale, che si ritengono falsificati. Gruppi di zingari sono individuati da allora anche sul territorio della penisola italiana, come riporta Ludovico Antonio Muratori citando una cronaca bolognese del 1422, che ne descrive gli uomini alti, scuri di carnagione, con i capelli lunghi e una folta barba, le donne vestite con una camicia di tela scollata e un lungo drappo legato sulle spalle, all’interno del quale spesso portavano un neonato, con vistosi anelli d’argento alle orecchie e delle fasce bianche arrotolate intorno alla testa a mo’ di turbante. Stazionano in aree di confine, spesso gravitando intorno ai principali luoghi di mercato dove commerciano cavalli o gli utensili di rame e di ferro che essi stessi fabbricano e le donne raccolgono elemosine vaticinando il futuro a quanti si avvicinano. Attirano inevitabilmente l’attenzione di curiosi e cronisti, a causa delle loro sembianze per così dire “esotiche” – i tratti somatici che ne configurano l’appartenenza a una diversa etnia, la particolare foggia degli abiti delle donne e la loro dimestichezza con i figli –, e soprattutto per il loro aspetto rude e inselvatichito dalla fame e dalle difficoltà.
Altri manipoli di zingari provenienti dai Balcani si muovono, nello stesso periodo, a cercare fortuna lungo le vie del mar Mediterraneo. Attraversando l’Adriatico e lo Ionio, spesso uniti a Dalmati e Greci, diversi nuclei di zingari di origine slava cominciano ad approdare sulle coste centrali e meridionali della penisola italiana e nelle isole maggiori, dove molto spesso trovano forme stabili di radicamento sul territorio. Alcuni si fermano nell’entroterra, inserendosi nelle attività agricolo-pastorali del contado e acquisendo in qualche caso anche un piccolo o piccolissimo possesso fondiario; altri, invece, sono coinvolti come parte dei Greci e degli Albanesi in fenomeni di emigrazione stagionale di mano d’opera impiegata nei campi o nelle attività armentizie della feudalità locale. Le testimonianze al riguardo sono numerose. Nella città di Penne, in Abruzzo, tra gli zingari calderai che vi si sono insediati, nell’ultimo quarto del Quattrocento nasce il pittore Antonio Solario detto lo Zingaro, molto attivo a Napoli e dintorni. In Puglia, in Calabria, in Molise spesso si mescolano con le popolazioni locali, assimilandone la lingua, gli usi e i costumi, le tradizioni religiose della Chiesa cattolica. A Messina, dalla fine del XV secolo, la comunità di zingari è formalmente equiparata a una universitas e gode di un’autonomia giudiziaria che consente loro di vivere secondo le proprie leggi e consuetudini. Dalla Sicilia vari gruppi di zingari greci in fuga dai Turchi raggiungono le coste sud-orientali della penisola iberica, dove negli anni Settanta-Ottanta del XV secolo sono segnalati nelle città di Barcellona, Saragoza, Siviglia e Valladolid.
Alla fine del secolo giungono, però, anche le prime disposizioni che ne cominciano a regolamentare la presenza sul territorio (1471, Federazione svizzera; 1493, Ducato di Milano; 1499, Regni di Aragona e di Castiglia). Non si tratta ancora, comunque, come molto spesso invece si sostiene, di un progressivo quanto ineluttabile, oltre che crescente, processo di esclusione e repressione. Vi incidono piuttosto, in quegli anni, l’effetto destabilizzante provocato dalla presenza di gruppi e uomini armati in grado di sfuggire alle autorità locali, le esigenze di un maggiore controllo della popolazione proprie dei nuovi Stati territoriali, la pressione di altri flussi migratori, oltre che l’emergenza complessiva dei poveri e dei vagabondi come problema di ordine pubblico e sanitario insieme.
Inizia allora per i Rom una storia che è stata molto spesso percorsa da forti momenti di intolleranza ed emarginazione, ma anche di integrazione con le popolazioni locali, e in cui la mobilità di alcuni ha potuto interagire con la stanzialità di altri. Un processo, questo, che ha rappresentato, però, un’ulteriore opportunità d’incontro e di scambio per i popoli e i Paesi europei dove gli zingari si sono fermati. Ciò non ha escluso, infatti, che con i loro continui spostamenti più o meno forzati gli zingari abbiano potuto continuare a svolgere un ruolo di mediatori culturali, mettendo in contatto uomini e merci dall’una all’altra sponda del Mediterraneo, tecniche e competenze, credenze religiose e strumenti linguistici, favorendo così, per il loro verso, la circolazione delle idee e di molte abilità pratiche.