Gli spazi del potere (ecclesiastico e laico)
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I palazzi carolingi costituiscono un modello imprescindibile per la nuova dinastia ottoniana, che fissa con Ottone I la sua residenza principale a Magdeburgo, in Sassonia: anche in questo caso il complesso si articola attorno al polo residenziale e rappresentativo, e a quello ecclesiastico costituito dalla chiesa abbaziale di San Maurizio elevata presto a sede arcivescovile. Tra X e XI secolo, per l’insicurezza dovuta alle invasioni ungare, slave e saracene e per la frammentazione politica, si assiste al fenomeno diffuso dell’incastellamento, alla costruzione cioè di strutture difensive in ogni centro di produzione e di potere signorile nel territorio. In età romanica si diffonde dal nord Europa, con l’espansione normanna, una particolare tipologia castrense, compatta a più piani, nota con il nome di donjon. Giunti in Sicilia, i Normanni dotano la capitale, Palermo, di splendidi palazzi ove è invece particolarmente sensibile (si pensi alla Zisa e alla Cuba) l’influenza dell’edilizia civile islamica. Al tramonto del periodo in esame (fine XII secolo), nelle città del centro e nord Italia prende piede una nuova tipologia di palazzo per le magistrature comunali, il broletto, caratterizzata da un impianto rettangolare dotato di un loggiato terreno, aperto da ampie arcate, e da una soprastante sala per le assemblee.
Dagli ultimi decenni del X secolo alla metà dell’XI secolo la tipologia palaziale adottata dalle dinastie ottoniana e salica (Magdeburgo, Quedlimburg, Grona, Pöhlde, Werla) resta ancorata ai modelli imperiali di età carolingia. Si tratta di complessi edilizi che sorgono in aree di campagna, attenti alla potenzialità difensiva del sito su cui insistono, articolati mediante la correlazione di un corpo di fabbrica residenziale e con funzioni di rappresentanza, spesso a due piani, con una cappella privata, di pianta cruciforme o circolare. Magdeburgo è la capitale del potere di Ottone I. Qui, nel cuore della Sassonia, terra d’origine della casata e baricentro del nuovo impero ottoniano, Ottone erige un enorme palatium e, a imitazione di quanto fatto ad Aquisgrana da Carlo Magno, un polo religioso incentrato sul monastero di San Maurizio, che verrà elevato a sede arcivescovile per tutta la Sassonia, e centro propulsore dell’evangelizzazione dell’oriente slavo.
Tanto del palazzo quanto della chiesa, ricostruita alla fine del X secolo, e sostituita nel 1208 dalla cattedrale gotica che ospita nel coro la tomba di Ottone I, si hanno poche notizie frutto di campagne di scavo, ma quel poco è sufficiente per immaginarli come una delle massime espressioni della renovatio ottoniana, per il recupero di forme dell’antichità classica e dell’architettura costantiniana, e per il largo impiego di materiale di spoglio, fatto giungere appositamente da Roma e da Ravenna.
Tra X e XI secolo il lungo processo di frammentazione del potere pubblico, e il clima di insicurezza dovuto alle invasioni ungare e saracene, sono all’origine del fenomeno dell’incastellamento. Si assiste cioè alla costruzione di castelli e strutture difensive in ogni centro di produzione e di potere signorile nel territorio, di cui i fortilizi divengono fulcri di organizzazione demografica e urbana. Ne consegue che anche le residenze principesche sono sempre più legate alle forme dell’architettura fortificata, a cui delegano l’espressione del potere civile e militare. In età romanica diventa comune una particolare tipologia castrense, sviluppata in Europa nord-occidentale, quella a donjon (dal latino dominarium, “casa del signore”) eretto sopra un terrapieno: un edificio compatto a più piani (3 o 4), con accesso a diversi metri da terra, che aggrega vani residenziali e di servizio. Esso può presentarsi isolato o, nei siti maggiori, circondato da altre strutture difensive, e da due o tre cinte murarie concentriche, entro cui sono distribuite in modo razionale le dipendenze, i magazzini, la cappella, gli alloggi della guarnigione. La diffusione del donjon, e la sua evoluzione in forme sempre più complesse e palaziali, è connessa all’espansione normanna. Nel nord della Francia e in Inghilterra la forma standard è quella del maschio rettangolare o quadrato: Colchester, Torre di Londra, Caen, Chambois, Rochester, con dimensioni che possono superare i 50 metri di lato. I muri di base hanno spessori non inferiori ai 4 metri. Nel XII secolo il corpo del donjon si articola, con aggregazione di contrafforti angolari, o con la scelta, per ragioni pratiche militari, di forme poligonali o circolari (Conisborough).
I Normanni, che in seguito alla conquista avevano già diffuso nelle regioni meridionali d’Italia i donjon, fanno di Palermo la loro capitale in Sicilia, dotandola di splendide residenze, per la cui progettazione operano scelte innovative, e soprattutto accolgono elementi distributivi e decorativi dell’edilizia civile islamica. Ruggero II, cinto della corona di Sicilia nel 1130, allestisce la sua reggia nel punto più arroccato della città ristrutturando il Qasr, il castello arabo del IX secolo: il poligonale palazzo regio normanno, grande struttura serrata agli angoli da torri massicce, ha il suo perno nella Cappella Palatina, a cui si aggregano la cosiddetta torre Pisana o di Santa Ninfa, e un sontuoso spazio di rappresentanza.
Più sensibile a modelli arabi è la Zisa (al-‘Aziza, ovvero “la splendida”), iniziata da Guglielmo I entro il 1165, e terminata dal figlio Guglielmo II. Compatto blocco a pianta rettangolare, contraffortato da torri sui lati corti, con alzato esterno a tre ordini decorati da arcate cieche, la Zisa si trovava al centro del grande parco reale del Genoardo. Un vestibolo che corre lungo la facciata, aperta da tre grandi fornici, immette nel cuore dell’edificio: la sala della Fontana, ampia aula cruciforme di rappresentanza, coperta da volta a crociera, con nicchie sui tre lati chiusi dell’ambiente impreziosite da particolari semicupole a muqarnas (voltine ad alveolo). Soluzioni architettoniche simili ispirano i costruttori del palazzo della Cuba, promosso da re Guglielmo II nel 1180, e posto in origine al centro di uno specchio d’acqua artificiale nel Genoardo. Anche in questo caso, come per la Zisa, la scansione delle pareti all’esterno, movimentate su quattro livelli da arcate cieche ogivali, non corrisponde all’articolazione in alzato del cuore dell’edificio, nella realtà un grande volume unitario cupolato (arabo Qubba, “cupola”).
In tutt’altro contesto, nell’Italia centro-settentrionale e in particolare in area lombarda, nuove tipologie del palazzo del potere civile sorgono all’interno delle grandi città, dopo la pace di Costanza (1183), come espressione dell’autonomia comunale e sede delle magistrature cittadine. Se prima queste erano ospitate in spazi pubblici nati con altre funzioni o anche in ambienti messi a disposizione dall’autorità ecclesiastica, è solo allo scadere del XII secolo che si seleziona la particolare tipologia del palazzo pubblico. Noto con il nome di broletto, esso ha un impianto rettangolare dotato di un loggiato terreno, aperto da ampie arcate, su cui insiste una sala assembleare, illuminata da trifore e servita da una scala esterna: tipologia frutto di una cultura progettuale basata sull’impiego versatile del modulo a campata quadrata voltata, che in area padana si radica nella seconda metà del XII secolo con gli insediamenti monastici cistercensi, e si diffonde con l’architettura umiliata. Tra i primissimi esempi vi è il nucleo antico, ancora riconoscibile nel braccio meridionale, del broletto di Pavia (1195 ca.), ma le espressioni più monumentali sono quelle, già ampiamente entro il XIII secolo, di Como (1215), di Milano (dal 1228), e di Piacenza (1280). Esigenze di maggiore spazio comportano poi, nel corso dei secoli, l’ampliamento dell’edificio iniziale con l’aggregazione di altri corpi di fabbrica attorno a una corte centrale (Pavia, Brescia, Cremona).