Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La rottura dell’unità della cristianità occidentale a opera di Lutero e Calvino apre la strada ad altre correnti ancora più radicali sul piano dottrinale, morale e politico, avversate, e spesso attivamente perseguitate, sia dalla Chiesa cattolica che da quelle riformate. Tra queste, di una certa importanza è quella degli anabattisti, particolarmente numerosi nell’area tedesca, che sostengono la volontarietà dell’adesione individuale alla Chiesa e quindi la necessità del battesimo in età adulta. Anche nelle regioni rimaste sotto il controllo della Chiesa di Roma non mancano i fermenti ereticali, rappresentati da figure come lo spagnolo Michele Serveto, morto sul rogo a Ginevra, e dei senesi Lelio e Fausto Sozzini.
L’Europa del XVI secolo diventa il teatro di uno sconvolgimento religioso senza precedenti nella sua storia: a partire dal 1517, anno in cui il monaco agostiano Martin Lutero affigge le 95 tesi sul portone della chiesa del castello di Wittemberg, la religione cristiana, che aveva in Roma e nel papa il suo centro, si frantuma. In diverse zone del continente incomincia a levarsi un grido di protesta verso i costumi della Chiesa, che ben presto si trasforma in una ben più profonda critica nei confronti della sua organizzazione e dei suoi dogmi. Se la storia del cristianesimo è stata sempre costellata da forti critiche in tutti gli strati della società nei confronti del clero e delle politiche del papato, ciò che avviene al principio del secolo non ha precedenti; le terre dell’Impero tedesco e poi le città di Strasburgo, Zurigo e Ginevra divengono gli epicentri di un terremoto che abbatte le fondamenta su cui poggiano il potere e l’autorità della Chiesa di Roma, per lasciare spazio alla costruzione di nuove Chiese basate su nuovi presupposti teologici, morali e anche organizzativi. Il sisma muta radicalmente anche l’antica tradizione cattolica, costretta a rincorrere i nuovi movimenti, costretta a difendere i propri confini e le proprie prerogative, ma anche a riformarsi dall’interno.
In questo panorama, mentre le vecchie e nuove Chiese si stanno organizzando, la strada aperta da Lutero, Zwingli e Calvino viene percorsa anche da altri uomini, decisi a cambiare l’antico ordine religioso europeo, ma allo stesso tempo non disposti né a restare nell’antica fede, né a entrare nelle nuove Chiese, convinti che sia necessario un cambiamento più radicale. Questi uomini, nati in Germania, Polonia, Spagna o Italia, sono definiti dai luterani, calvinisti e cattolici genericamente eretici, per ribadire la loro volontà di non accettare l’appartenenza ad alcuna Chiesa organizzata e per sottolineare il messaggio sovversivo delle loro dottrine.
Pur nella frammentarietà e ambiguità dottrinale nella quale si muovono questi uomini, più o meno organizzati in gruppi strutturati, è possibile riconoscere diverse tendenze che possono essere indentificate con il nome di anabattisti, spirituali e razionalisti.
Se questo è il nocciolo della dottrina della maggior parte dei membri dell’anabattismo, altri gruppi prendono vie differenti.
Nel 1534 la citta tedesca di Münster viene occupata da un gruppo di anabattisti, guidati da Jan Matthys, animato da un fervente millenarismo e profetismo. Espulsi i protestanti e i cattolici, la città si trasforma in un luogo nel quale ogni esempio dell’Antico Testamento, come per esempio la poligamia, viene imitato alla lettera. L’esperienza anabattista nella città viene soffocata nel sangue da eserciti luterani e cattolici, mentre anche gli altri gruppi anabattisti sono perseguitati nelle varie regioni d’Europa.
Il pericolo che viene riconosciuto è non tanto la loro dottrina, quanto piuttosto che il loro comportamento retto ha avuto una forte presa sulla popolazione, tanto da gonfiare le fila dei loro seguaci, in tutte le regioni della Germania e della Svizzera. Le diverse Chiese riformate incominciano una persecuzione violenta e capillare, formalizzata nel 1529 alla dieta di Spira nella quale si ufficializza la possibilità di condannare a morte gli anabattisti. Dietro lo scontro teologico però c’è la preoccupazione da parte delle autorità delle diverse confessioni che le idee sulla rinuncia allo Stato e alla violenza facciano presa sulla popolazione, rinuncia che avrebbe compromesso il funzionamento delle società tradizionali.
Le persecuzioni di cui sono vittima costringono i gruppi anabattisti a emigrare in altre zone dell’Europa e a trovare rifugio prima in Polonia e poi in Moravia. Altri vanno esuli in Olanda e in Inghilterra, fino a trovare un luogo adatto agli inizi del Seicento nelle colonie americane.
Dopo che Martin Lutero in Sassonia e Hulrich Zwingli a Zurigo aprono la strada alla critica profonda nei confronti della Chiesa di Roma e dei suoi dogmi, il dibattito sulla direzione che la Riforma deve prendere si apre anche all’interno dei gruppi dissidenti e, in particolare, coinvolge lo stesso Zwingli e un gruppo di uomini che a partire dagli anni Venti del Cinquecento incominciano a formulare una serie di principi estremamente radicali, distanti non solo dal dogma cattolico, ma soprattutto dalla dottrina che si sta formando all’interno dei circoli riformati.
Tale movimento, a cui viene attribuito il nome di anabattisti (ribattezzatori) nasce soprattutto sulla base di una profonda riflessione sui testi sacri e sulla storia del cristianesimo primitivo. Da quest’ultima fonte gli anabattisti prendono l’idea di una Chiesa che deve essere composta solo su base volontaria, vale a dire sulla base dell’accettazione del messaggio evangelico. Tale principio porta a due conseguenze: l’idea che la partecipazione alla comunità, tramite il battesimo, debba avvenire in una età nella quale si possa essere consapevoli della propria scelta, rifiutando così il battesimo dei bambini. È per queste ragioni che tali gruppi sono chiamati dai loro avversari anabattisti proprio perché dalla prospettiva delle Chiese istituzionali, il battesimo degli adulti viene visto come un secondo battesimo (dopo quello ricevuto nell’infanzia), mentre per gli anabattisti esso è l’unico vero battesimo.
Una seconda conseguenza investe la natura della comunità e il suo rapporto con il modo e la società politica di cui essi hanno un’idea estremamente pessimistica. Gli anabattisti insistono che la Chiesa debba essere una comunità di santi, innervata da una fortissima passione etica, che si traduce in una condotta di vita rigorosamente morale, fondata sulla sobrietà dei costumi. A questo ultimo aspetto è legato il rifiuto alla partecipazione attiva alla vita dello Stato, creato sì da Dio, ma per combattere il peccato e dunque retto da peccatori. Il rifiuto di ogni contatto con il mondo porta con sé anche il rifiuto di ogni violenza e la tolleranza degli altri culti e delle altre fedi.
Non solo le regioni interessate direttamente dalla Riforma, come la Germania e la Svizzera, sono la culla di movimenti eterodossi e radicali, ma anche zone in cui il cattolicesimo ha profonde radici sono teatro della nascita di movimenti e uomini meno numerosi se paragonati agli anabattisti, ma capaci di trasmettere al dibattitto religioso e culturale europeo temi che lo avrebbero segnato nei secoli successivi.
Uno dei protagonisti del dissenso religioso di questo periodo è lo spagnolo Michele Serveto. Formatosi in Spagna in ambienti umanistici, Serveto visita numerose città europee, convincendosi della necessità di una profonda riforma della Chiesa. Approfondisce gli studi delle lingue, soprattutto il greco e l’ebraico, pubblicando nel 1531 l’opera De Trinitatis erroribus, in cui contesta il dogma della Trinità come formulato al Concilio di Nicea del 325, considerandolo come inutile e confuso e soprattutto come principale causa della divisione tra le tre religioni monoteiste, cristianesimo, ebraismo e islam. Nelle opere successive, oltre a confermare le sue idee sul dogma trinitario, amplia la sua critica alla dottrina luterana della giustificazione per fede e soprattutto sottolinea l’intolleranza delle varie Chiese, anche protestanti, che si vanno costituendo, refrattarie a qualsiasi tipo di dialogo sui fondamenti della fede.
Nel decennio tra la seconda metà degli anni Trenta e la prima metà degli anni Quaranta, Serveto continua a muoversi per l’Europa e in particolare in Francia, dove approfondisce i suoi studi di esegesi biblica e si interessa di geografia e di medicina.
Tra il 1546 e il 1547 cerca di entrare in contatto con Giovanni Calvino per sottoporgli la sua ultima fatica, la Christianismi restitutio, pubblicata poi solo nel 1552, nella quale propone una riforma radicale del cristianesimo che tenga conto delle ripercussioni etiche e morali sulla vita dei fedeli. L’opera, che fa un sapiente uso non solo di fonti ebraiche e patristiche, ma soprattutto del pensiero platonico e neoplatonico, su cui si era esercitato nel suo soggiorno parigino, sconvolge Calvino per la radicalità delle proposte in essa contenute. La pubblicazione della Restitutio attira su Serveto le attenzioni dell’Inquisizione francese ed egli è arrestato a Vienne nel 1553; riuscito a scappare, va a Ginevra dove viene riconosciuto e fatto arrestare. Il consiglio municipale lo condanna a morte sulla base delle accuse mossegli principalmente da Giovanni Calvino.
La morte sul rogo dell’eretico spagnolo segna un punto di svolta decisivo nella storia della riforma ginevrina e in particolare nei rapporti tra la riforma istituzionale e i movimenti eterodossi europei. Si apre un dibattito acceso sulla questione della tolleranza religiosa e l’opportunità dell’intervento dei magistrati civili su questioni di natura esclusivamente religiosa, dibattito che sancisce la fine per molti eretici esuli a Ginevra dell’illusione che la città di Calvino potesse rappresentare quella cittadella della fede pronta ad accogliere ogni dissenso, immaginata al di là delle Alpi.
Il primo ad opporsi alla condanna di Serveto è il savoiardo Sebastien Castellion, che pubblica un’opera dal titolo significativo: De haereticis an sint persequendi. Ma i principali oppositori sono gli Italiani che in quegli anni vivono esuli a Ginevra.
La presenza di rifugiati italiani nelle regioni protestanti è legato alla penetrazione della Riforma in Italia. La cronologia della sua storia può essere scandita da un prima e un dopo il triennio 1542-1545, anni in cui la Chiesa di Roma reagisce alla diffusione di idee eterodosse istituendo il tribunale della Santa Inquisizione e apre i lavori del concilio di Trento.
La prima fase della Riforma in Italia vede non solo la progressiva penetrazione delle idee luterane e zwingliane provenienti dalla Germania e dalla Svizzera, ma presenta anche uno sviluppo autonomo, sia dato da una riflessione sulla religione cristiana attraverso gli strumenti della critica umanistica di Valla, del neoplatonismo di Marsilio Ficino e del profetismo del Savonarola, ma anche grazie alla presenza di intellettuali, come lo spagnolo Juan de Valdes. Egli, stabilitosi a Napoli nei primi anni Trenta del Cinquecento, è circondato da un gruppo di discepoli con cui condivide il suo cristianesimo mistico, libero da ogni costrizione istituzionale e dogmatica. Altre esperienze si sviluppano in altre città dell’Italia, in particolare nel centro-nord, come Lucca, Modena, Pavia, o in regioni come il Veneto, esperienze che vedevano il diffondersi di idee di diversa origine, come l’anabattismo e l’antitrinitarismo, che coinvolgono persone provenienti da differenti ceti sociali come mercanti e artigiani, ma anche letterati e appartenenti a ordini religiosi.
L’intensificarsi della repressione della Chiesa romana e il moltiplicarsi dei processi per eresia provocano due reazioni diverse: la fuga di molti uomini verso le regioni riformate, in particolare Ginevra e le altre città della Svizzera, o il restare e nascondere la propria fede continuando a frequentare i riti della Chiesa cattolica, atteggiamento ispirato a Nicodemo il fariseo, personaggio dei Vangeli che di notte visita Gesù e di giorno rispetta i precetti ebraici (da qui la definizione di “nicodemismo”).
Nelle regioni riformate, l’incontro con le Chiese, in particolare quella calvinista, che si stanno organizzando rigidamente attorno alle dottrine sviluppate dai singoli riformatori, provoca reazioni diverse all’interno dei gruppi di esuli provenienti dalla penisola.
Alcuni fra questi, come Pietro Martire Vermigli e Girolamo Zanchi (emigrati rispettivamente nel 1542 e nel 1551), abbracciano la fede calvinista, diventando tra i più importanti predicatori del credo ginevrino in Europa; altri invece, quasi la maggior parte, entrano in aperto conflitto con le diverse autorità riformate, sia per il loro progressivo ed eccessivo disciplinamento della comunità dei fedeli e la conseguente mancanza di tolleranza religiosa, sia perché professano un’idea di cristianesimo inconciliabile con i principi della fede calvinista e luterana. Molti di questi, tra cui il piemontese Celio Secondo Curione e Camillo Renato professano idee che mal si conciliano con la fede riformata e che attirano l’attenzione delle autorità delle città in cui si sono rifugiati. Il primo, per esempio, nella sua opera dal titolo De amplitudine regni Dei (1554), sostiene che il regno di Dio sia molto più ampio di quello di Satana e gli eletti molto più numerosi dei dannati, attaccando in questo modo il principio della predestinazione; il secondo invece predica una serie di idee ancora più radicali come il sonno delle anime dopo la morte, la fede giustificatrice che non ha bisogno di essere confermata dai sacramenti (che non avevano alcun valore di promessa, secondo un retaggio antico), il limite della divinità di Cristo e la sua nascita nel peccato.
La condanna a morte di Serveto fa esplodere le tensioni che già da anni covano tra i due gruppi, costringendo molti degli Italiani a emigrare, scegliendo in alcuni casi le regioni dell’est, la Polonia, la Moravia o la Transilvania, luoghi che in un primo momento si mostrano più tolleranti verso le idee religiose predicate dagli esuli italiani.
Uno degli elementi caratteristici della riflessione degli “eretici” italiani, che affonda le sue radici nella loro cultura umanistica impastata con le idee diffuse dallo spagnolo Michele Serveto, fu l’antitrinitarismo. Tra gli altri Italiani che abbracciano queste dottrine, coloro che rivestono un ruolo di primo piano per la loro elaborazione, cristallizzazione e diffusione sono due membri della famiglia senese dei Sozzini, Lelio (1525-1562) e il nipote Fausto. Il primo, figlio dell’eminente giurista Mariano, dopo una formazione giuridica e umanistica, sposta i suoi interessi verso la teologia. Il grande cambiamento avviene nel 1547, quando a Bologna, entra in contatto con l’eretico Camillo Renato e le sue idee. La vicinanza ad ambienti eterodossi e l’aperta critica ai costumi della Chiesa lo costringono a emigrare in varie città dell’Europa, fino a stabilire la sua residenza a Zurigo. Da qui continua il suo lavoro incessante di ripensamento della fede cristiana, in aperta polemica con i riformati e in particolare con Calvino. Anche in questo caso egli è criticato duramente dalle autorità e costretto ad abiurare. Egli non pubblica nulla in vita, ma lascia manoscritto un commento al primo capitolo del Vangelo di Giovanni, nel quale formula le sue idee antitrinitarie e sulla natura non divina del Cristo.
Alla sua morte il nipote Fausto, con cui era rimasto sempre in contatto, si reca a Zurigo per recuperare le sue carte, ma invece di continuare l’opera dello zio in esilio, decide di ritornare in Italia e nascondere le sue idee religiose per quasi un decennio (1563-1575). Dopo questo periodo decide di emigrare anche lui prima in Svizzera e poi in Polonia. Le regioni dell’Est Europa hanno visto in questi anni il diffondersi delle idee antitrinitarie, grazie soprattutto all’opera infaticabile di predicazione di un altro italiano Giorgio Biandrata. Le diverse vicende politiche e religiose che negli anni Sessanta avevano modificato gli equilibri della regione segnano profondamente la storia della fortuna di queste dottrine. Costretto ad abbandonare la Transilvania per la più tollerante Polonia, il movimento antitrinitario si trova di fronte a un altro conflitto, non più contro le altre confessioni, ma tra le sue diverse anime. Biandrata chiama presso di sè il Sozzini, che, dopo diverse difficoltà riesce a conquistarsi le simpatie degli altri membri del movimento, riuscendo in breve tempo a costruire una Chiesa organizzata, che ha come centro la cittadina di Rakow, presso Cracovia, e che prende il nome di sociniani. Fausto organizza il nuovo movimento (di cui però non fa mai parte) attorno al rifiuto del dogma trinitario e alla natura eclusivamente umana di Cristo, a cui Dio concede l’immortalità e infinita saggezza, insistendo sulla necessità di una tolleranza religiosa verso gli altri culti e un rifiuto totale della violenza.
La storia del dissenso religioso nel Cinquecento, definito da alcuni anche Riforma radicale, è composto da uomini e gruppi infinitamente poco numerosi, che potrebbero essere trascurati. L’importanza della loro opera, che in molti casi, se si escludono i Fratelli Polacchi, non dà origine a forme organizzate, sta “nel fatto che precorsero idee che avrebbero avuto in seguito una risonanza vastissima”, come “l’indagine critica, la pietà mistica e la libertà religiosa” (Baiton).