Gli empirici
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Gli empirici sono una setta, cioè un gruppo di intellettuali che sceglie un maestro per costituire una scuola. L’idea di fondo dell’empirismo medico di origine alessandrina è che la conoscenza medica si accresce per scoperte successive, in accumulo, dalla casualità fino alla verifica “sperimentale” dei fatti.
Erofilo ed Erasistrato lasciano numerosi allievi a raccogliere l’eredità del loro pensiero innovatore. Tra quelli di Erofilo (la scuola erofilea è attiva fra il 300 a.C. e il 50 d.C.) sono annoverati Filino di Cos, Bacchio di Tanagra, Apollonio di Cizio; fonti scarse e frammentarie, tra le quali Plinio, Ateneo e Galeno forniscono notizie sul primo, vissuto a metà del III secolo a.C., autore di trattati di terapeutica e di esegesi ippocratica e tramandato come il fondatore di una scuola empirica, la cui paternità è però contesa dal suo allievo Serapione di Alessandria. La setta empirica fondata sull’insegnamento (o almeno sul modello dell’insegnamento) di Filino di Cos, pur nascendo come direttamente collegata all’ambito culturale erofileo, si distacca profondamente dal modello del maestro, dando avvio a un aspetto peculiare della medicina di matrice alessandrina, destinato a perdurare almeno sino al I secolo, e inaugurando il concetto di setta medica.
Il termine greco che indica la setta è hairéseis: esso indica un gruppo di intellettuali che sceglie l’insegnamento medico a loro più congeniale, lasciandosi guidare da un maestro ed entrando a far parte di un gruppo costituito sotto il nome di scuola (scholé). Le sette sono caratterizzate dalla grande vivacità intellettuale, che porta i partecipanti al confronto diretto, talvolta anche polemico, sia all’interno della setta sia con i suoi antagonisti, fautori di correnti di pensiero opposte. Abbiamo notizia che questa tradizione polemica sia stata inaugurata dallo stesso Filino, in opere in cui egli si sarebbe contrapposto vivacemente sia all’insegnamento di Erofilo, sia a quello di Bacchio, suo allievo fedele, che viene contrastato sul piano dell’esegesi e del commento a Ippocrate in sei libri polemici. Analogo atteggiamento avrebbe avuto Serapione, nei confronti del suo maestro Filino e di altri esponenti del pensiero empirico.
Caratteristica fondamentale delle sette è, dunque, la non uniformità del pensiero medico che professano, una notevole varietà di caratteri interni, il metodo didattico fondato sulla discussione orale e sulla contrapposizione con le altre scuole. Ancora una volta, la maggior quantità di informazioni sulle sette in genere e sulla scuola empirica in particolare provengono dal Proemio del De medicina di Celso, nonché da una serie di trattati galenici e pseudogalenici. Le fonti fanno i nomi di molti medici che hanno aderito alla setta che si autonomina “empirica”, (empiricos se ab experientia nominant, dice Celso) tra i quali Glaucia di Taranto (commentatore e glossatore di Ippocrate, cui si deve il concetto di “tripode”, fondamentale per la setta); Eraclide di Taranto (autore di opere di dietetica, farmacologia e chirurgia, commentari ippocratici agli Aforismi e ai trattati sulle Epidemie e di un lavoro contro la teoria dei polsi di Erofilo); Apollonio di Cizio (autore di un commentario al trattato ippocratico sulle articolazioni in tre libri e di libri polemici contro Eraclide e Bacchio); Sesto Empirico (autore di commentari medici perduti e di una serie di lavori non medici improntati allo scetticismo pirroniano).
Proprio Sesto Empirico fornisce una chiave per comprendere i presupposti culturali della didascalia della scuola: la medicina si accrescerebbe per scoperte successive e casuali. È comprensibile, e quindi trasmissibile, solo ciò che è frutto di percezione sensibile. Non esistono cause di malattia che non siano accessibili ai sensi, e il principale interesse del medico è indirizzato nei confronti dei sintomi, che costituiscono l’essenza visibile e percepibile della malattia. L’esperienza del medico è la sola che garantisce valore all’arte, perché attraverso essa è possibile effettuare un confronto tra storie patologiche diverse e strategie terapeutiche che si sono rivelate efficaci nel passato.
L’esperienza può essere diretta (autopsia), ma sono accolti anche i dati provenienti dal ragionamento analogico (basato sul rilevamento delle somiglianze) e quelli derivati dalla memoria collettiva, dall’accumulo, conservazione e interpretazione di dati provenienti dall’esperienza altrui (historia). Questi tre pilastri fondano il concetto di “tripode” empirico, cui Glaucia di Taranto ha dedicato un’opera, oggi perduta. L’esperienza si articola su tre livelli, quello della casualità, che ne costituisce il gradino iniziale e necessario, quello della ripetizione volontaria e quello della riproduzione successiva e insistita; la certezza viene alla medicina solo quando successive verifiche dilazionate nel tempo confermano l’esperienza casuale originale, consentendo al procedimento di slittare dal piano dell’emperìa al piano della prova sperimentale (peira): “Questo insieme di esperienze è stato da loro chiamato ‘osservazione diretta’ e tutto questo anche ‘esperienza’. Hanno chiamato historia il racconto dello stesso, cioè delle diverse esperienze. Infatti la stessa cosa è osservazione diretta per chi l’ha osservata, per chi ha imparato quello che è stato osservato da altri è racconto. Ma dal momento che hanno incontrato anche malattie in certi casi mai viste prima… hanno trovato uno strumento per trovare i rimedi, il passaggio dal simile. Facendo ricorso a questo, trasferiscono lo stesso rimedio da una malattia a un’altra simile, da una parte anatomica a un’altra, e passano da un rimedio noto prima a uno che in qualche modo gli è simile” dice Galeno nel trattato sulle sette.
Innocenzo Mazzini e Danielle Gourevitch hanno caratterizzato gli altri elementi fondamentali dell’empirismo, individuato come l’unica setta medica dotata di una reale coerenza teorica di fondo: la fedeltà al metodo clinico ippocratico (in realtà invocata, su piani diversi, anche dai rappresentanti di altre sette, quali i dogmatici o i pneumatici, tutti convinti di raccogliere in sé l’eredità del padre fondatore della medicina antica); la relazione con la filosofia scettica, in particolare con lo scetticismo pirroniano (la natura non è comprensibile, la medicina non è vera scienza, non possiede una vera dottrina); il grande valore attribuito alla terapia, su cui si fonda la medicina, che è essenzialmente capacità di conseguire risultati di guarigione; la negazione, in opposizione al pensiero dogmatico, dell’esistenza di cause “oscure”, cioè non percepibili attraverso i sensi ma solo individuabili per mezzo dell’intelletto, che spieghino i fenomeni fisiologici e patologici; la negazione del valore epistemico della ricerca, che presuppone il ricorso a un impianto teorico e l’allontanamento dalle evidenze fornite dall’esperienza. In un impianto culturale di tal genere anche lo studio anatomo-fisiologico, nel cui seno era nata la scuola empirica, perde ogni significato conoscitivo e diventa crudeltà inutile, perché “di queste cose che sono ricercate con tanta violenza, alcune non possono essere comunque conosciute, e altre lo possono anche senza commettere un crimine” (Celso, Proemio, 43-44).