Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I maestri fiamminghi compiono viaggi in Italia per ammirare e studiare i grandi artisti del Rinascimento e del manierismo. La città prescelta è Roma, ma si recano anche a Venezia, Genova, Bologna, Napoli. Alla tradizione quattrocentesca che li vuole impegnati nelle grandi corti italiane si sovrappone una realtà frammentaria che prepara il trionfo di Rubens nel Seicento.
Sono chiamati "fiamminghi" gli artisti che scendono in Italia dalle Fiandre, una regione che si snoda attorno ai poli commerciali di Bruges, Anversa e Malines, la zona attualmente corrisponde grosso modo ai Paesi Bassi, al Lussemburgo e, per parte francese, alla Borgogna. I confini di queste terre sono per tutto il Cinquecento in continua evoluzione sulla scia delle alterne vicende politiche, ma le maestranze che vi operano sono unite da caratteri stilistici omogenei. La pittura fiamminga si fonda sull’osservazione analitica e minuziosa della natura, e sull’attenzione alle modulazioni della luce risolte nella pittura a olio. In Italia i fiamminghi apprendono l’ideale umanistico fondato sulla prospettiva, sull’anatomia e sullo studio dell’antico. Nel corso del Quattrocento i pittori d’oltralpe vengono invitati a lavorare nelle grandi corti della penisola, mentre nel secolo successivo intraprendono il viaggio di studio in Italia per avere la possibilità di confrontarsi con i grandi maestri – Raffaello e Michelangelo , per esempio – la cui fama è arrivata nelle Fiandre attraverso i disegni e le stampe. Nel 1517 Raffaello termina una serie di cartoni con gli Atti degli Apostoli, destinati a essere riprodotti in arazzi a Bruxelles. Questi disegni preparatori suscitano immediatamente grande ammirazione da parte degli artisti locali, e altrettanto successo riscuotono gli arazzi una volta esposti a Roma, nella parete inferiore della Cappella Sistina, a cui sono destinati.
Come dimostrano le presenze fiamminghe nelle varie regioni italiane, anche nel corso del Cinquecento il reciproco scambio tra le due culture, pur essendo molto frammentario rispetto al secolo precedente, è sempre vivo e fecondo.
"Romanisti" è l’appellativo a cui spesso la critica ricorre per additare, con una punta di biasimo, i maestri fiamminghi che decidono di integrare la loro visione dell’arte con quella dei pittori attivi nella città papale. A questa linea critica sfugge però uno dei primi artisti arrivati in Italia nel Cinquecento al seguito di Filippo di Borgogna: Jennin Gossaert, detto Mabuse (dal nome della città natale, Maubeuge). Con giudizio unanime a Mabuse viene attribuita l’abilità di coniugare le due realtà, o meglio, di non abbandonare mai le proprie radici figurative.
Dopo una prima tappa a Venezia, Jan van Scorel raggiunge l’urbe verso il 1522. Nello stesso anno viene eletto papa con il nome di Adriano VI un olandese che, pur non essendo particolarmente dedito al mecenatismo, diventa suo protettore.
Van Scorel studia le grandi imprese del Rinascimento volute da Giulio II e da Leone X e al ritorno nei Paesi Bassi si esprime con un linguaggio in tutto simile a quello del manierismo romano, guardando in particolar modo a Polidoro da Caravaggio.
Nell’attività di ritrattista – come ad esempio nell’Agata van Schoonhoven (Roma, Galleria Doria -Pamphili) – egli si rivela grande ammiratore dei veneti, da Giorgione a Tiziano.
Dalla bottega di Scorel muovono verso Roma, tra gli altri, Herman Posthumus, Maerten van Heemskerck Jan Cornelisz Vermeyen , Lambert Sustris Jan Stephan van Calcar.
Posthumus nel 1536 firma il quadro Tempus edax rerum che è emblematico per comprendere l’impatto dei fiamminghi sugli italiani. Il titolo cita l’iscrizione apposta dall’artista su un blocco di marmo in primo piano: si tratta di alcuni versi di Ovidio (dal XV libro delle Metamorfosi), ma come è stato osservato l’autore "lamentava il tempo che corrode le cose e la vecchiezza invidiosa e distruttrice, alludeva alla vita dell’uomo e non ai monumenti". Il tema delle rovine è il Leitmotiv di tutta una produzione artistica che culmina nel grande romanzo archeologico di Francesco Colonna, l’ Hypnerotomachia Poliphili del 1499. Posthumus aderisce a un immaginario ben radicato nella cultura umanista del XVI secolo, a cui somma l’idea dell’artista che misura i reperti e li disegna. Quest’ultima tendenza deriva dal ricordo del progetto affidato da Leone X a Raffaello per ridisegnare la città antica.
Dopo il sacco di Roma (1527) e la storica diaspora di artisti, la colonia di fiamminghi si consolida con ulteriori arrivi dalle regioni meridionali. È il caso di Michiel Coxcie, ricordato come il primo maestro d’oltralpe a utilizzare la tecnica dell’affresco.
Coxcie non rinuncia ai tratti fiamminghi, ma li coniuga con la lezione di Raffaello in due cappelle della chiesa romana di Santa Maria dell’Anima. Alle medesime conclusioni perviene Lambert Lombard, prolifico disegnatore, nativo di Liegi, dove diffonde il classicismo studiando Vitruvio e Bramante. Nel 1538 dalla stessa città scende a Roma, con il preciso intento di studiare Raffaello (morto oramai da quasi vent’anni), Lambert Suavius, artista già allenato ai modi del maestro nell’attività di arazziere. A un altro protagonista del Rinascimento italiano, Michelangelo, si vota Jan van Hemessen, originario di Anversa.
Dopo la metà del secolo, la Città eterna diventa solo una tappa del viaggio in Italia che comprende almeno una sosta a Venezia e una a Firenze. Un nuovo impulso alla discesa verso Roma si ha dopo il 1556, quando alla crisi che sconvolge i Paesi Bassi si somma l’iconoclastia.
Da questo momento i romanisti si fanno carico di numerose commissioni, non più solamente relative a paesaggi, per i quali sono specialisti – particolarmente celebre l’opera di Paul Bril –. Bartholomaeus Spranger viene direttamente assunto da papa Pio V, per il quale esegue opere di piccolo formato. L’artista tratta preferibilmente temi mitologici, nei quali sintetizza la lezione manieristica di sublime eleganza nei colori e nelle pose.
La cultura manierista caratterizza tutti i suoi spostamenti in Italia: da Milano, dove conosce anche gli esiti della scuola di Fontainebleau, a Parma, dove studia Correggio e Parmigianino, e infine a Roma.
Il 1552 è l’anno in cui Pieter Bruegel intraprende il viaggio in Italia che lo porta fino a Napoli(documentato anche con la Veduta del golfo di Napoli) e in Sicilia. Nelle sue opere non risaltano particolarmente eventuali spunti colti dall’antichità classica o più in generale dalla cultura mediterranea. Bruegel è attratto dalla natura, dai paesaggi delle Alpi che coniuga con la pittura nordica, rinnovandola.
Egli è l’artista fiammingo del Cinquecento che paradossalmente, pur sdegnando l’umanesimo rinascimentale, gode di maggior fortuna critica in Italia. Autore di successo è pure Jean Boulogne, detto Giambologna, che dopo la metà del secolo si reca a Roma per studiare le statue antiche e Michelangelo. Quando si trasferisce a Firenze Giambologna diventa lo scultore più apprezzato dai Medici. Gli vengono affidati importanti incarichi pubblici: lavora a Lucca, a Genova e a Bologna, dove progetta la Fontana del Nettuno in piazza Maggiore.
Un altro polo storicamente legato alle Fiandre da intensi scambi commerciali, che talvolta riguardano anche le opere d’arte, è Genova. Nel corso del Quattrocento prevale la formula per cui i quadri vengono eseguiti nelle Fiandre, e da lì spediti in riviera. A questa prassi, secondo una parte della critica, obbedisce il polittico eseguito da Gerard David nel 1506 per l’abbazia della Cervara (sul promontorio di Portofino). Ora le tavole principali si trovano a Genova, a Palazzo Bianco. Altri studiosi sostengono di riconoscere nello schema compositivo almeno una valenza ligure e, di conseguenza, attribuiscono il dipinto a un soggiorno di David a Genova.
Sembra invece oramai consolidata l’ipotesi che Joos van Cleve (a cui si debbono i quadri di almeno tre chiese genovesi) abbia soggiornato nella città portuale. Nel (1996) è stato restaurato il celebre trittico commissionato dal genovese Stefano Raggi a van Cleve con l’Adorazione dei Magi di Genova. In questa pittura si fondono mirabilmente i ricordi di Hans Memling, di Gerard David, di Dürer e dei paesaggi di Patinies.