Gli anni di piombo diventano romanzo
Da Marco Tullio Giordana a Enrico Deaglio, sempre più registi e scrittori si cimentano con le vicende del terrorismo e delle stragi mafiose. Ma la fiction non può sostituire la verità storica e giudiziaria.
L’uomo che riuscì a fottere un’intera nazione non è soltanto una celebre copertina dell’Economist su Silvio Berlusconi (The man who screwed an entire country, giugno 2011), ma anche il titolo di un thriller grottesco di Gabriele Ferraresi, edito dal Saggiatore: un paese ridotto a teatro di cabaret, e un presidente americano che convoca un agente della CIA per far fuori il nostro premier. Non è la prima volta che Berlusconi fa capolino in un’opera di fiction (era già successo nel 2004, con Il duca di Mantova di Franco Cordelli), ma è indubbio che nel crepuscolo del berlusconismo (e della seconda Repubblica) il ‘declino’ italiano sia entrato di prepotenza nelle pagine di diversi scrittori ‘indignati’. Da Roberto Ferrucci (Sentimenti sovversivi, ISBN) a Valeria Parrella (Lettera di dimissioni, Einaudi), è un continuo corpo a corpo con la nostra ‘storia sbagliata’, alla ricerca di una via d’uscita: fuggire all’estero? Dimettersi da italiani, restando esuli in patria? Organizzare un’opposizione intransigente? Forse, però Resistere non serve a niente, come spiega Walter Siti in una spietata radiografia della nostra mutazione antropologica (nel suo romanzo edito nel 2012 da Rizzoli).
Siamo comunque ancora troppo a ridosso degli eventi per vedere un libro definitivo sul ventennio berlusconiano, seguendo l’esempio di quanto fatto da Thomas Bernhard con Estinzione (1996), il suo capolavoro della maturità, spietata resa dei conti con il passato inconfessabile dell’Austria. C’è anche chi non s’adagia su un’ovvia deprecatio temporis, ma preferisce immergersi fra le pieghe di un passato più lontano, all’origine della Repubblica. Dove finisce Roma di Paola Soriga (Einaudi) è un ritorno alla narrativa resistenziale, dopo che il clamoroso successo dei libri e romanzi revisionisti di Giampaolo Pansa sul «sangue dei vinti» aveva un po’ offuscato le ragioni dei vincitori. L’autrice, nata nel 1979, ha firmato un racconto minimalista e solare: la Resistenza vista con gli occhi di Ida, una giovanissima staffetta partigiana nella Roma occupata dai tedeschi. Un’opera che non tace le contraddizioni della Liberazione, ma ne incarna il fardello di speranze perdute. Sempre gettonatissimi restano gli anni Settanta, un periodo da dimenticare per chi l’abbia vissuto sulla propria pelle, ma ricco di echi e suggestioni per quanti all’epoca erano soltanto bambini. È il caso di Alberto Garlini (classe 1969), che nell’ambizioso romanzo La legge dell’odio (Einaudi) narra l’educazione sentimentale di un giovane neofascista, presto inghiottito nel gorgo delle trame nere e dei «servizi deviati». Era dai tempi di Occidente di Ferdinando Camon (1975) che la letteratura non si misurava con la galassia del radicalismo di destra. Curiosamente, una delle fonti utilizzate da Garlini è l’inchiesta di Paolo Cucchiarelli su Il segreto di Piazza Fontana (nuova edizione, Ponte alle Grazie), in cui si sostiene la teoria della «doppia bomba» (di mano anarchica e neofascista): un lavoro che ha ispirato in parte anche il film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage. In particolare, la pellicola di Giordana ha rilanciato l’annoso dibattito sugli anni di piombo (strategia della tensione, omicidio Calabresi, nascita della lotta armata). All’orizzonte non s’intravede ancora l’apertura di cantieri storiografici in grado di sbrogliare, sine ira ac studio, l’aggrovigliata matassa. Così, la memoria dei risvolti più sanguinosi degli anni Settanta resta appannaggio di narratori impressionistici.
Un altro esperimento interessante è quello compiuto da Enrico Deaglio, con un volumetto dedicato al ventennale della strage di via D’Amelio (Il vile agguato. Chi ha ucciso Paolo Borsellino. Una storia di orrore e menzogna, Feltrinelli). Un apologo sulle maschere del potere italiano, sulla scia di quanto aveva fatto Sciascia con L’affaire Moro. Non è la verità, per definizione irraggiungibile, ma il ‘contesto’ in cui maturò l’omicidio Borsellino a illuminare il cuore di tenebra della nostra Repubblica. Senza contare che quando Deaglio (ex militante di Lotta Continua) ripercorre la biografia del falso pentito Scarantino – costretto ad autoaccusarsi e poi riconosciuto innocente quasi vent’anni più tardi, insieme agli altri imputati che aveva trascinato all’ergastolo – ha forse in mente una vicenda per lui dolorosissima: il caso di Adriano Sofri, condannato per l’omicidio Calabresi in seguito alla confessione tardiva di un pentito che, pur giudicato attendibile, non è mai riuscito a fornire una versione cristallina del proprio ravvedimento. Il passato che ritorna?
Romanzo di una strage: si arroventa la polemica
Il film di Marco Tullio Giordana, insieme al libro-inchiesta di Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana, cui il regista si è ‘liberamente ispirato’ per il racconto della strage in piazza Fontana a Milano, nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, il 12 dicembre 1969, e dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi, è stato da subito al centro di polemiche specie da parte di chi ne ha messo in dubbio la ricostruzione storica e la tesi della doppia bomba: quella anarchica, che doveva scoppiare di notte senza fare vittime, e quella fascista, che scoppiò alle 16,37, per fare ricadere la colpa sugli anarchici. Aspro in proposito è stato il giudizio di Adriano Sofri (Il Foglio del 27-3-2012 e on-line www.43anni.it) che ha visto nel film, e soprattutto nel libro-inchiesta di Paolo Cucchiarelli, un’operazione di revisione pericolosa, che rimette in discussione la verità storica di una vicenda che, sebbene sul piano giudiziario si sia chiusa senza colpevoli, ha raggiunto delle certezze che hanno nomi, volti, sigle e identificano la matrice materiale neofascista della strage con la complicità dei servizi di intelligence italiani e atlantici. Da qui il dibattito pro e contro regista e scrittore si è subito infuocato sulla Rete, sulla stampa, in video e trasmissioni tv. Se da un lato le critiche di Sofri sono sembrate giustificate, dall’altro gli è stata rimproverata una certa leggerezza nel considerare quello di Cucchiarelli «un libro di storia, quando in realtà è un’inchiesta giornalistica che nasce con l’obiettivo extrascientifico di riaprire, sul piano giudiziario, la vicenda di piazza Fontana» (Miguel Gotor, la Repubblica, 1-4-2012). Nel dibattito è intervenuto anche Eugenio Scalfari, come spettatore e testimone dei fatti narrati: «io c’ero» dice (la Repubblica, 22-3-2012). Al centro del suo interesse non sono le verità accertate (o non) in sede giudiziaria o le ricostruzioni storiche, ma quel sapere «di più sull’Italia, sullo Stato in cui vivi, … sui veleni che inquinano la società» che il film trasmette. Un esito che gli consente di legare la strage di piazza Fontana e il suo rapporto con la ‘strategia della tensione’ a un unico filo conduttore che attraversa l’intera storia del Novecento italiano: una zona grigia fatta di verità non svelate, di cricche, di lobby, di clientele, di mafie, che non è stata debellata e ancora perdura.
Le stragi
12 dicembre 1969: Strage di piazza Fontana a Milano
22 luglio 1970: Strage di Gioia Tauro
31 maggio 1972: Strage di Peteano a Gorizia
17 maggio 1973: Strage della Questura di Milano (si commemorava l’uccisione di Calabresi)
28 maggio 1974: Strage di piazza della Loggia a Brescia
4 agosto 1974: Strage dell’Italicus
2 agosto 1980: Strage della stazione di Bologna
Berlusconi Fiction Fest
La produzione cinematografica ha dedicato una crescente attenzione al fenomeno Berlusconi già dal 2003. Ad aprire le danze è un regista francese, Stéphane Bentura, che nel video Sua maestà Silvio Berlusconi ripercorre la vita dell’ex presidente del Consiglio con la freddezza di un’inchiesta, intervistando personaggi che lo hanno conosciuto bene, non ultimi Fedele Confalonieri, Marcello Dell’Utri e Adriano Galliani. L’iniziativa francofona è poi emulata dal connazionale Mosco Boucault in Berlusconi, Affaire Mondadori (2006).Nel 2003 esce anche Citizen Berlusconi. The Prime Minister and the Press di Andrea Cairola e Susan Gray, inchiesta giornalistica prodotta dall’italiana Stefilm e trasmessa il 21 agosto 2003 nel corso del programma Wide Angle dell’emittente televisiva pubblica statunitense PBS. Sabina Guzzanti è autrice di Viva Zapatero! (2005), film che denuncia un’azione di censura dell’informazione in Italia, e di Draquila. L’Italia che trema (2010), sarcastico focus sullo scandalo della ricostruzione dell’Aquila. Altrettanto significativi i documentari prodotti da alcuni giornalisti, come Quando c’era Silvio. Storia del periodo berlusconiano e Uccidete la democrazia! Memorandum sulle elezioni di aprile di Beppe Cremagnani, Enrico Deaglio e Ruben Oliva, entrambi del 2006.Ben più popolari e di maggiore impatto sul pubblico risultano il controverso Videocracy. Basta apparire (2009) del regista e produttore cinematografico Erik Gandini, in cui il paradigma della videocrazia è incarnato da Fabrizio Corona e Lele Mora, e Silvio For-ever (2011), con la regia di Roberto Faenza e Filippo Macelloni e la sceneggiatura dei giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Il docufilm, trasmesso l’8 settembre 2011 su La7, è stato seguito da 2.457.000 spettatori, toccando il 10,87% di share.