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GLANUM
Città della Gallia Narbonese sulla via che va dalla Spagna all'Italia attraverso il Monginevro, ricordata dai geografi antichi (Ptolom., vi, 20), è annoverata da Plinio (Nat. hist., iii, 36) fra quelle che godevano del privilegio latino. Le sue rovine, ritrovate nel 1921, stanno all'entrata di una stretta gola della catena delle Alpilles a circa 1500 dalla città moderna che, fin dall'alto Medioevo, è conosciuta come Saint-Remy-de-Provence.
Fondi di capanne tagliate nella roccia provano in questa località l'esistenza di un agglomerato protostorico ove arrivavano, fin dal VI sec. a. C., ceramiche dipinte focesi, ioniche e attiche, portate dai mercanti di Marsiglia, i quali crearono infine una stazione permanente. Questa ebbe una evoluzione che, come dimostra l'esplorazione archeologica, presenta tre aspetti successivi:
A) Periodo ellenistico (ii sec. a. C.). - Intorno a un monumento terminante con frontoni, forse un tempio, costruito in apparato a grandi blocchi ad assise regolari, notevole per la sicurezza della tecnica, sono raggruppate costruzioni il cui ordinamento e la cui decorazione sono le stesse di quelle delle abitazioni private tipiche per quest'epoca nelle città ellenistiche. Un mercato pubblico, circondato da tre porticati con colonne monolitiche sormontate da capitelli dorici; case a peristilio d'ordine dorico o ionico, offrono stretta analogia cogli esempi messi in luce a Delo. La ceramica proviene da fabbriche campane; è di argilla fine e rosa, coperta da una bella vernice nera a riflessi metallici. Una zecca locale conia in questo tempo, col nome di ΓΛΑΝΙΚΩΝ, dracme d'argento di buono stile greco. Tale agglomerato ellenistico fu distrutto verso la fine del II sec. a. C., ma si è incerti se attribuirne la rovina a una rivolta delle tribù dei Salluvî contro Marsiglia (125 a. C.), oppure al passaggio dei Teutoni che, dopo essersi separati dai Cimbri, passarono il Rodano a Ugernum e si servirono dell'itinerario che passa da G. per arrivare a Aix, dove il console Mario doveva poi sterminarli.
B) Periodo della romanizzazione (I sec. a. C.). - Poco dopo essere state distrutte, le case furono restaurate e rioccupate; sostruzioni di monumenti rasi al suolo servirono da fondazioni a nuove abitazioni; per i muri, l'uso di grandi pietre tagliate regolarmente sostituì quello di conci irregolari, l'opus incertum molto in favore in Italia all'epoca di Silla. Una di queste dimore offre una pianta semplicissima, senza peristilio; ma il pavimento di due delle sue sale è fatto di mosaico in opus signinum, decorato da una rete di losanghe composte di piccole tessere bianche; e in opus barbaricum, bianco con losanghe e meandri neri ove, tracciato in tessere verdi, appare il nome di co svlae. L'unico capitello che rimane è di un tipo conosciuto a Pompei; le stanze hanno i muri coperti di un rivestimento di stucco dai vivaci colori, la cui decorazione architettonica è pure di stile cosiddetto pompeiano. Sopra una parete è stato tracciato in graffito il nome Teucer, probabilmente quello di uno schiavo greco, con l'indicazione del consolato di Cn. Domitio e di C. Cassio, nel 96 a. C. I possedimenti territoriali di Marsiglia, la cui romanizzazione si era sviluppata con la fondazione di Aix (123 a. C.) e con la creazione della via diretta verso il Rodano già da lungo tempo aperto all'attività commerciale con l'Italia, avevano visto, col soggiorno delle legioni di Mario (103-102 a. C.), stringersi i contatti con Roma, mentre andava invece definitivamente declinando la potenza di Marsiglia che poco dopo cadeva nelle mani di Cesare nel 49 a. C.
C) Periodo gallo-romano. - Con la conquista romana si inizia per questo centro un nuovo periodo edilizio che sembra inaugurato con l'innalzamento dell'arco municipale, fra il 40 e il 20 a. C. e con importanti modifiche nella topografia della città che viene ad accrescere notevolmente la sua area. Dall'entrata monumentale, formata dall'arco (v. più avanti), parte una via, il decumanus, il cui tracciato taglia quello dell'antica via preromana divenuta il cardo. In margine a quest'ultimo sono costruite delle terme con pianta assai simile a quella delle terme di Pompei, e dalle quali probabilmente provengono due statue in marmo di efebi appoggiati ciascuno ad un'urna, attualmente conservate nei musei di Compiègne e di Aix. Più a S le costruzioni dei due periodi precedenti scompaiono sotto un alto riempimento artificiale che rialza tutto il quartiere per ricevere un insieme monumentale in cui si vuol riconoscere un forum: vasto spiazzo limitato a S da una facciata con esedra, ornata di colonne a metà sporgenti che inquadrano statue di giovani satiri, e ad E e a O da due porticati d'ordine corinzio, che precedono una larga scalinata i cui gradini conducevano ad un grande edificio (basilica?) eretto sopra 25 pilastri di fondazione e coronante una specie di podio al quale si appoggia a N un monumento absidato. Dallo studio stratigrafico è chiaro che questo insieme fu eretto prima, o proprio all'inizio, dell'introduzione nella Gallia della ceramica aretina; si può dunque porre alla fine della Repubblica e più particolarmente al principio dell'Impero, negli ultimi anni del I sec. a. C. la realizzazione di questo grandioso programma urbanistico, che trasformò G. e la fornì, insieme all'abbellimento monumentale, di opere di edilizia pratica; fra l'altro, la costruzione nella montagna di uno sbarramento le cui acque, condotte verso la città da un acquedotto, erano distribuite nelle case per mezzo di una rete di canali di piombo.
Fu questo per G. un periodo di prosperità, confermata dalle scoperte numismatiche che comprendono il I e il II sec. d. C. Ma nel III sec. d. C. la città fu distrutta: la causa di questa distruzione si può attribuire a una invasione che devastò allora tutta la Gallia fra il 250 e il 270. Le rovine furono per lungo tempo una cava di materiali per la costruzione di un nuovo abitato (Saint-Rhémy) verso la pianura, e finirono con lo scomparire sotto le alluvioni che scendevano dalla montagna; sicché per secoli interi la presenza di una città antica in questi luoghi fu attestata unicamente da due monumenti vicini fra di loro ed eretti al suo ingresso al di fuori delle mura: l'arco e il mausoleo.
Arco. - L'arco in calcare locale è il più antico fra quelli esistenti nella Gallia Narbonese. Attualmente le proporzioni appaiono falsate; infatti, per un abbassamento naturale del suolo, sono ora visibili due assise orizzontali di blocchi di fondazione. L'arco doveva terminare con un attico, in forma di timpano; l'attuale terminazione è dovuta a un grossolano restauro antico. Costruito forse dai veterani della VI Legione di stanza ad Arles, sembra conservare una prova di questa origine nelle due Vittorie che, sulla facciata E, alzano al disopra dell'archivolto il vexillum, stendardo della Legione. Su ciascuna faccia, ad inquadrare un fornice unico, si distaccano due gruppi di prigionieri pieni di espressione, di derivazione ellenistica; tre dei gruppi sono composti da un guerriero e da una donna, ambedue accostati a un trofeo d'armi; l'uomo presenta la semi-nudità gallica, mentre la prigioniera, vestita alla greca, è rappresentata in attitudine di profondo abbattimento; sulla faccia S-O la si vede seduta sopra un mucchio di armi; secondo il tema da tempo adottato sulle monete a rappresentare le province conquistate. Sulla faccia N-O, al posto della donna è un personaggio togato che poggia la mano sulla spalla del guerriero Gallo; è il gesto del conquistatore che mostra il nemico vinto. L'archivolto è decorato con un bel festone di frutta e foglie; la vòlta a botte ha cassettoni esagonali con ricca decorazione ad alto rilievo, presa dal repertorio floreale; sotto la curva della vòlta si stende un fregio rappresentante strumenti musicali e di sacrificio, che richiamano il significato rituale dell'arco nel culto del municipio, di cui esso segna il limite territoriale. Date alcune affinità di lavorazione tra l'arco di G. e quello di Orange, è stata avanzata l'ipotesi che in entrambi i luoghi avesse lavorato una stessa maestranza.
Mausoleo. - Il mausoleo, o Monumento dei Giuli - in calcare locale - di perfetta conservazione, sorge a pochi passi a S dall'arco; ma non è allineato con quest'ultimo, e sporge invece leggermente verso la campagna. Questa disposizione, di per sé singolare, ha la sua spiegazione nel fatto che, sebbene il mausoleo non sia una sepoltura ma solo un cenotafio, è pur sempre di carattere funerario, il che, secondo l'uso romano, doveva escluderlo dal suolo della città, e metterlo fuori della cinta sacra tracciata dalla linea ideale che limita il pomerium e che passa per l'asse dell'arco. Il monumento è a tre piani, due a pianta quadrata e il terzo, che li sormonta, a pianta circolare. Il piano inferiore, sorretto da uno zoccolo, è concepito come un sarcofago decorato sulle quattro facce da bassorilievi sormontati da ghirlande di fogliame sollevate da Amorini e sostenenti maschere sceniche. I bassorilievi sono in parte copiati da composizioni appartenenti al repertorio pittorico dell'arte ellenistica, ma senza dubbio la loro scelta fu guidata dalla preoccupazione di dar loro un significato biografico, onde la necessità di introdurre elementi romani nei modelli greci. Tutte queste sculture furono eseguite in una tecnica quasi esclusiva in questo periodo alla Gallia Narbonese consistente nell'orlare con un solco i contorni delle figure per meglio mettere in evidenza il rilievo e di evidente derivazione disegnativa e pittorica anziché plastica.
A N si vede un combattimento fra cavalieri e vi si noterà, come sugli altri tre rilievi, l'assenza di guerrieri Galli, la cui caratteristica in tutta la scultura antica è la seminudità durante la lotta: particolarità questa che deve distoglierci dall'attribuire il monumento ad uno dei compagni di Cesare durante la guerra delle Gallie. A O la scena si ispira ad un tema ben noto, la disputa della salma di Patroclo tra Greci e Troiani: qui un gruppo di soldati a destra è equipaggiato alla romana e armato del pilum, il che allontana nettamente la composizione dal suo modello greco e lascia indovinare l'adattamento biografico del quadro: i combattenti lottano per il possesso di un corpo steso a terra nella nudità eroica. Ad E il centro del bassorilievo è occupato da un giovane eroe col casco, mentre alla sua sinistra fugge una Amazzone che egli trattiene per i capelli; la scena è copiata dalle amazzonomachie tanto frequenti nell'arte greca orientale; e alcuni dei personaggi, sono rappresentati come si possono vedere su rilievi celebri, per esempio i sarcofagi di Salonicco e il fregio del tempio di Magnesia sul Meandro; a destra dell'eroe, invece, la Vittoria che lo protegge è di tipo romano ed il gruppo di tre personaggi che termina la scena a sinistra, è assolutamente lontano dal repertorio ellenistico; un personaggio in toga sta tra una donna e un altro uomo che tiene un'asta, e tutte e tre sembrano ascoltare il racconto che fa loro una piccola Fama in atto di svolgere un volumen. Il rilievo a S è essenzialmente simbolico e particolarmente interessante dal punto di vista della sua composizione sculturale; l'artista vi ha riunito tre scene funerarie e, per diversificarle senza rompere l'unità del quadro, ha avuto l'idea di separarle in tre registri mettendo tra ciascuna di esse un albero spoglio di rami. Vi si riconoscono: la caccia al cinghiale di Calidone condotta dai due Dioscuri, la morte di Adone e la morte di un Niobide che cade da cavallo. Iconograficamente, sono evidenti le derivazioni dal repertorio sia scultoreo che pittorico della Grecia; stilisticamente si può notare come l'artista ideatore dei modelli, abbia concepito sia le scene che la decorazione a putti e festoni (che trovano preciso riscontro nelle pitture della Villa di Fannio Sinistore a Boscoreale) in modo essenzialmente pittorico.
Il secondo piano del cenotafio è aperto sulle quattro facce e ha l'aspetto di un arco trionfale elevato sopra il sarcofago; il tutto infine è coronato da una rotonda che contiene le due statue dei defunti. Si è creduto che il mausoleo fosse stato edificato in onore di Gaio e Lucio Cesare, nipoti di Augusto, destinati da lui a succedergli al trono, entrambi morti prematuramente, e si era datato perciò il monumento ai primissimi anni dell'èra volgare. Ma dopo una più accurata lettura dell'iscrizione posta sull'architrave del primo ripiano, si è recentemente stabilito che il monumento fu dedicato da tre fratelli ai genitori, le cui statue (già ritenute entrambe figure maschili togate) sono ancora nella thòlos superiore: si tratterebbe di una famiglia provinciale, del periodo della fine Repubblica-inizio Impero, che da poco tempo aveva acquistato diritto di cittadinanza e che in tale occasione aveva assunto il nome del principe.
Bibl.: Ihm, in Pauly-Wissowa, VI, 1910, c. 1378 ss., s. v.; J. Formigé, Les monuments rom. de la Provence, Parigi 1924; H. Rolland, Fouilles de Glanum, Suppl. I e XI a Gallia, 1946 e 1958 con bibl.; id., in Académie Inscr. Belles-Lettres (Comptes Rendus), 1949, p. 346 ss.; id., in Arch. Esp. Arqueología, XXV, 1952, p. 3 ss.; id., Glanum, St. Rhémy 1952 e 1959 (con bibl.); J. Carcopino, in Studies Presented to D. M. Robinson, II, St. Louis 1953, p. 398 s.; A. Grenier, in Colloqui del Sodalizio (Sodal. Studiosi Arte), II (dal 1951 al 1954), p. 48 ss.; H. Rolland, in Revue Arch., 1955, p. 27 ss.; R. Fellmann, in Gesells. pro Vindonissa, 1958, p. 158 ss., fig. 71. Si vedano inoltre i numeri di Gallia, con le relazioni di scavo.
Per l'arco e il mausoleo si vedano: E. Espérandieu, Recueil Gén. d. Basreliefes de la Gaule Romaine, Parigi I, 1907, pp. 89 ss., n. 111 e 114 con bibliografia; P. Couissin, in Revue Arch., 1923 (I), p. 303 ss. e (II), p. 29 ss.; H. Rolland, Saint-Rhémy de Provence, Bergerac 1934, p. 89 ss. e 109 ss.; H. Kähler, in Röm. Mitt., L, 1935, p. 212 ss.; E. Garger, in Röm. Mitt., LII, 1937, p. i ss.; H. Kähler, in Pauly-Wissowa, XV, 1939, c. 421 ss., s. v. Triumphbogen: F. Chamoux, in Acad. Inscr. Belles-Lettres (Comptes-rendus), 1945, p. 177 ss.; R. Bianchi Bandinelli, Storicità dell'arte classica, 2a ed., Firenze 1950, pp. 90 ss. e 218 ss.; F. Chamoux, in Phoibos, VI-VII (1951-4), 1955, p. 97 ss. con bibl. (sono stati fatti i nomi di scultori gallo-romani Buduacus, Canis, Sacrovir... udillus); H. Schoppa, Die Kunst d. Römerzeit in Gallien, Germanien und Britannien, Monaco-Berlino 1957, f. 7-11; e inoltre Ch. Picard, in Revue Arch., 1950, p. 135 (oinochòe bronzea).