giusto
Nel significato che più si avvicina a quello di ius come " legge ", l'aggettivo ricorre nel canto di s. Francesco che, presso a morire, affidò la donna sua più cara, la povertà, a' frati suoi, sì com' a giuste rede, a eredi " legittimi " (Pd XI 112).
In tutti gli altri casi, per la massima parte della Commedia, il termine - ora attributivo, ora predicativo, ora con valore di sostantivo - è adoperato nell'accezione più vasta di " ciò che risponde a giustizia, che ne segue i dettami ", considerata, questa giustizia, nei suoi diversi aspetti, divini e umani. G. è dunque riferito a Dio, di cui la giustizia è uno degli attributi fondamentali, e a quanto ha con lui attinenza: egli è il giusto Sire (Pg XIX 125) dell'imperio giustissimo e pio, l'Empireo, in cui " è somma iustizia e carità ", come dice il Buti (Pd XXXII 117, unico caso di superlativo); è il giusto rege di quella giusta corte (XX 65, VII 51), il tribunale divino (ma si può anche intendere, meno opportunamente, il tribunale di Tito) in cui fu giustamente punita la giusta vendetta (VII 50 e 20), cioè la " vendetta del peccato del primo uomo fatta iustamente a Cristo, in quanto aveva preso la natura umana " (Buti).
E siccome g. è la volontà di Dio, cui si adegua anche l'agire dell'angelo nocchiero (Pg II 97), è necessariamente g. tutto quanto a lei consuona (Pd XIX 88) e da lei è stabilito, inoltre la vendetta, la punizione cui sono soggette le anime del Purgatorio e che muove la pietà di D. (Pg XXI 6; sulla ‛ giustizia ' dell'espiazione, anche come proporzione fra peccato e pena, cfr. inoltre Pg XVII 132, Pd VII 84). In If XIX 12 quanto giusto tua virtù comparte, " distribuisce " i premi e i castighi, si noti il valore avverbiale dell'aggettivo. E ancora g. sono gli occhi di Cristo che D. vorrebbe vedere rivolti a riparare i mali della terra; e g. il giudicio, il tremendo castigo che egli invoca da le stelle sul sangue di Alberto tedesco (Pg VI 120 e 100).
In Pg XXIX 120 l'aggettivo è riferito a Giove, arcanamente giusto nel punire la sconsiderata audacia di Fetonte.
A un concetto di ‛ giustizia ' puramente umana, intesa come rettitudine, osservanza della legge, equilibrio, saggezza, si riferiscono alcune occorrenze del Convivio; e poiché si tratta di qualità che si acquisiscono con l'esperienza degli anni - lo vecchio per più esperienza dee essere giusto, e non essaminatore di legge, se non in quanto lo suo diritto giudicio e la legge è tutto uno quasi (IV XXVI 14; cfr. Tomm. Comm. Eth. V lect. VI, n. 955 " Iudex debet esse quasi quoddam iustum animatum ", nel commento di Busnelli-Vandelli) - è a questa etade (la senetta di Ledolci rime 132; cfr. il v. 133 e IV XXVII 2, di cui questo passo è più ampia illustrazione) che conviensi ... essere giusto, acciò che li suoi giudicii e la sua autoritade sia un lume e una legge a li altri (§ 10); di tale giustizia è un esempio Eaco, partitore a nuovo popolo e distributore de la terra diserta sua (§ 18). In " saggezza " Si configura la ‛ giustizia ' della natura, che pose fine alla generazione di giganti (If XXXI 54).
Altrove si tratta di giustizia legata alla prudenza, all'uso della retta ragione (non è uomo che sia di sé vero e giusto misuratore, tanto la propria caritate ne 'nganna. Onde avviene che... ciascuno con ampia misura cerca lo suo mal fare e con piccola cerca lo bene; sì che... 'l peso del bene li pare più che se con giusta misura fosse saggiato, Cv I II 8-9); in tal senso essa è vista come ' misura ', ' proporzione': il giusto amor di Pg XVIII 96 è lo zelo che ripaga l'amor del bene, scemo / del suo dover (XVII 85-86); il canto degli spiriti sapienti è così melodioso che ad ogne merto saria giusto muno (Pd XIV 33); e cfr. anche Pg XXIV 154 esurïendo sempre quanto è giusto, " nella giusta misura ", come intendono i più (Lana, Benvenuto, Landino, ecc.; tra i moderni Torraca, Del Lungo, Tommaseo e altri); ma per il Porena g. vale " giustizia ", e così per il Chimenz e il Mattalia.
Ancora nell'ambito dell'umano il termine, pur alludendo sempre a un concetto di giustizia ampiamente intesa, si precisa di volta in volta in diversi significati. Così, se la faccia d'uom giusto (If XVII 10) è quella di un uomo " retto ", ma più esattamente " leale ", trattandosi del più appariscente attributo di Gerione, sozza immagine di froda (v. 7; ma il Porena: " significa ‛ uomo dabbene ' o ‛ vero e proprio uomo '? Credo la seconda cosa "; e così pensava anche il Cesari, pur non escludendo in tutto l'altra interpretazione), riferito a Mardoceo (Pg XVII 29), vittima di false accuse, l'aggettivo vale anche " innocente ", come nel caso di Pier della Vigna, altro oggetto di calunnie (L'animo mio... / ingiusto fece me contra me giusto, If XIII 72; la stessa contrapposizione di termini in Pd IV 67 Parere ingiusta la nostra giustizia / ... è argomento / di fede), mentre per Romeo di Villanova (VI 137; per altri casi di uso sostantivato, v. oltre) il valore di g. si allarga nell'allusione anche a doti di onestà e di rettitudine (il sostantivo " mostra l'insussistenza dell'accusa rilevando il carattere dell'accusato ", Torraca).
Per If VI 62 dimmi... / s'alcun v'è giusto, cui Ciacco risponde Giusti son due, e non vi sono intesi (v. 73; il Vellutello ha identificato nei due g. Barduccio e Giovanni da Vespignano; e v. CIACCO), si può accettare l'interpretazione comune di g. come " seguace di giustizia ", ponendo il passo in relazione con Pg VI 132, dove il popolo fiorentino è presentato come quello che la giustizia l'ha in sommo de la bocca, ma non la pratica. Ma g. può essere inteso anche nel senso di " immune da colpa ". Si veda infatti Gen. 18, 22 ss. " Converterunt... se inde, et abierunt Sodomam. Abraham... ait: Nunquid perdes iustum cum impio? Si fuerint quinquaginta iusti in civitate, peribunt simul?... Absit a te, ut... occidas iustum cum impio, fiatque iustus sicut impius... Quid, si minus quinquaginta iustis quinque fuerint?... Quid, si ibi inventi fuerint triginta?... Quid, si... viginti? "). Ma si consideri soprattutto che Cacciaguida definisce glorioso / e giusto il popolo di Firenze antica (Pd XVI 152: l'aggettivo è qui nella sua accezione più larga, che allude a virtù civili, osservanza delle leggi, rettitudine morale), quella Firenze che si stava in pace, sobria e pudica (XV 89), ignara del lusso e del vizio, e le cui donne, contente al fuso e al pennecchio, ‛ vegghiavano ' a studio de la culla (vv. 117, 121). A questa Firenze D. contrappone quella del suo tempo, inquieta come un malato che non può trovar posa in su le piume (Pg VI 150), piena / d'invidia (If VI 49-50), invasa dalla gente nova che con i sùbiti guadagni vi ha portato orgoglio e dismisura (XVI 73-74); una città in cui superbia, invidia e avarizia... / hanno i cuori accesi (VI 74-75) e in cui i g. sono, appunto, " pochissimi ": Giusti son due. Il motivo ritorna, implicitamente, in un passo del Paradiso, in cui D. accosta Firenze al popolo " immune da ogni colpa " per eccellenza, quello dei beati che ha sede nell'Empireo: io che... / a l'etterno dal tempo era venuto, / e di Fiorenza in popol giusto e sano... (XXXI 39). Analogamente, i poveri giusti (XII 89) ai quali la sedia di Pietro fu già benigna, sono i bisognosi " incolpevoli ". Senza particolare rilievo l'aggettivo ricorre ancora in Detto 465.
Per i giusti di Cv IV VII 9 (esplicita traduzione da Prov. 4, 18, ripetuta in Cv III XV 18), D. stesso dà l'equivalenza: cioè... valenti; mentre in Pg XXXII 48 l'aggettivo, ancora sostantivato, acquista il valore del termine astratto (cfr. XXIV 154): Si si conserva il seme d'ogne giusto, " il principio... d'ogni cosa giusta (giusto, sost. neutro, giustizia)... oppure, considerando giusto maschile, ‛ si conserva la pianta di ciascun uomo giusto ', nel senso che da un giusto provengono altri uomini giusti (cfr. Ai Romani, V, 19) ", Chimenz. Cfr. Matt. 3, 15 " sic... decet nos implere omnem iustitiam ".
Ancora come aggettivo: giusta voglia è " desiderio di cose giuste ", analogo ai giusti preghi che, appunto perché tali, non potranno non essere esauditi (Pd III 44 e XV 7); a un principio di giustizia che chiama in causa la responsabilità delle azioni umane risponde il pianto / giusto, la " giusta punizione " che verrà di retro ai vostri danni, al vostro male agire (IX 6). A questo passo può accostarsi quello di If XIII 105, l'unico in cui g. rientra in un costrutto impersonale: non è giusto aver ciò ch'om si toglie, enunciato come una massima a proposito dei suicidi. " Giustificato ", " legittimo ", " quia evidens contumelia fuit " (Benvenuto), è il disdegno degli Amidei per l'affronto loro recato dai Buondelmonti (Pd XVI 137), mentre non giuste in quanto " indebite " sono le reverenze e vilipensioni derivate dai falsi giudicii (Cv IV I 7); inoltre, giusto e pio si definisce lo rostro dell'aquila nel cielo di Giove (Pd XIX 13): " ‛ giustizia ' e ‛ pietà ' sono in stretto rapporto, il vero e solido fondamento della giustizia essendo il sentimento religioso... così è giusto il ‛ plus ' Enea, in Inf. I 73 " (Mattalia); ma nel caso del figliuol d'Anchise, cui allude il Mattalia, l'aggettivo appare piuttosto privo di rilievo, quasi stanco ricalco dell'immagine virgiliana: cfr. per es. Aen. I 544-545 " Aeneas... quo iustior alter / nec pietate fuit, nec bello maior ".
Si notino infine i casi, già tutti considerati, in cui g. ricorre unito ad altro aggettivo: If XXXI 54 (a discreta); Pd XIX 13 e XXXII 117 (a pio); XVI 152 (a glorioso); XXXI 39 (a sano); Detto 465 (a fedele).