giusto processo
giusto procèsso locuz. sost. m. – Calco dell'espressione ingl. due process of law, tipica della tradizione di common law e con la quale si descrive quel nucleo di tutele processuali che si deve riconoscere al cittadino sia in materia penale che civile, risalente già (almeno) alla Magna Charta libertatum del 1215, escludendo ogni forma di justice retenue nel detentore del potere politico: nulla poena sine judicio. L’apparente contraddizione logica insita nell’espressione si supera sul piano pratico con il richiamo all’idea sottintesa a tale prospettiva, la quale se, da un lato, sembra ricondursi ai fondamenti del diritto naturale – secondo cui certe posizioni processuali di tutela sono connaturate alla stessa idea di processo –, dall’altro, opera sul piano del diritto statuale quale struttura di graduazione delle fonti, ponendosi sul piano superiore dei principi regolatori la dinamica del procedimento nella concreta disciplina positiva. Le forme del decidere non costituiscono una variabile libera lasciata alla discrezionalità assoluta del legislatore, il quale potrà regolare il procedimento come meglio crede purché esso sia 'giusto', ossia équitable o fair (si confronti con l'art. 6 della Convenzione europea diritti dell’uomo). In questa direzione, ora l’art. 111 della Costituzione prevede che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge», così fissando una netta riserva di legge e, nel contempo, determinando alcuni elementi centrali che normativizzano il contenuto concreto della tutela, pur senza tipizzarne una dimensione, che potrà essere accresciuta nella dinamica giudiziale nella evoluzione della società. Certo, in materie disponibili (civili) non si esclude la possibilità di una soluzione extragiudiziale della lite (arbitrato e simili), purché sia rispettato il principio del contraddittorio. Il g. p. postula che il procedimento si svolga nel contraddittorio tra le parti in condizione di parità dinnanzi a un giudice imparziale – judicium est actus trium personarum –, contraddittorio che, non meramente formale, presuppone non la vuota contrapposizione di tesi antitetiche, ma la concreta formazione in giudizio del materiale decisorio: al che si correla ora l’art. 101, secondo comma, del Codice di procedura civile, il quale impone (richiamando un principio generale connaturato al g. p., quindi appieno estensibile al processo penale) che la decisione si fondi su questioni effettivamente dedotte e discusse nel corso del procedimento (si confronti con l'art. 521 del Codice di procedura penale). Il contraddittorio, soprattutto nel processo penale – ma il criterio è nella sostanza (con adeguamenti in via ermeneutica) appieno applicabile anche al processo civile – impone una pronta conoscenza dell’accusa, quindi della domanda, di tempi idonei alla difesa, possibilità di mezzi adeguati di prova e che questa si formi nella dialettica del processo. In particolare, nessuno potrà essere condannato in base alle cose affermate da chi si sottragga volontariamente al controesame, altrimenti operando un rigoroso principio di esclusione della prova. La legge deve assicurare una ragionevole durata del processo, il quale per sua struttura è serie di atti che si dipanano nel tempo e in questo le procedure da sempre postulano più o meno accentuate e razionali sequenze temporali. Ora al legislatore s’impone sia una disciplina razionale delle forme, sia d’approntare, sul piano strutturale e organizzativo, mezzi idonei nel concreto a soddisfare il bisogno di giustizia all’interno dell’ordinamento. Certo è che non potrà il principio della ragionevole durata del processo essere mezzo che consente al giudice, di proprio arbitrio, di eliminare garanzie formali, giacché altrimenti si svuoterebbe il primario principio che vuole il g. p. regolato dalla legge. Le decisioni devono essere motivate, al fine di un adeguato controllo, soprattutto sociale, contro ogni forma di giustizia di gabinetto; inoltre, contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale è sempre ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge, il che racchiude in sé un bene più prezioso, la tutela costituzionale del giudicato, ne bis in idem.