MURATTI, Giusto
– Nacque a Trieste il 3 febbraio 1846 da Giuseppe, avvocato di origini lombarde, e da Giuseppina Peroch, friulana di Romans.
Ultimo di quattro figli, frequentò le prime quattro classi di lingua tedesca all’I. R. ginnasio di Trieste. Venne poi iscritto in un collegio viennese, da dove tentò la fuga per partecipare alla campagna franco-piemontese del 1859 contro l’Austria. Ritornato a Trieste, condivise il senso di appartenenza culturale e spirituale all’Italia dei precursori dell’irredentismo, divisi tra l’ala moderata degli eletti in Comune e quella estrema, detta dei ‘rossi’, nella quale Muratti fu attivo. Nel 1866 si recò a Milano, dove si iscrisse alla Società dei tiratori, che allo scoppio della terza guerra d’indipendenza confluì nel II battaglione bersaglieri di Garibaldi, al comando del maggiore Nicostrato Castellini. Muratti venne inquadrato nella quarta compagnia del capitano Antonio Frigerio e prese parte alla battaglia di Ponte del Caffaro. Ferito nel combattimento di Vezza d’Oglio, fu promosso sergente, ma, coerente con le proprie idee repubblicane, respinse l’offerta di entrare all’Accademia militare.
Terminato il conflitto, riprese a Trieste il suo impegno per la causa italiana. Gli venne attribuito dalla polizia un proclama diffuso nel giugno 1867 in occasione della festa dello Statuto albertino, segno dello stretto controllo esercitato dal governo asburgico sulle dimostrazioni a favore dell’Italia che si ripetevano nella città litoranea soprattutto in occasione delle ricorrenze legate a casa Savoia. In seguito si stabilì a Udine, dove si erano trasferiti i genitori e le due sorelle. Intessute relazioni con i gruppi insurrezionali del luogo, nel settembre 1867 fu presente alle riunioni del Circolo sociale, dove si convenne di partire alla volta di Roma come volontari nella campagna dell’Agro romano. Raggiunta la meta, fu tra coloro che, su direttive del Centro d’insurrezione, si congiunsero a Terni con Enrico e Giovanni Cairoli, in procinto di intervenire nella città papalina per dare man forte alla rivolta progettata da Francesco Cucchi. Fu nominato furiere del drappello di 78 patrioti guidati dai fratelli Cairoli. Il gruppo giunse nelle vicinanze di Roma ma, in mancanza di informazioni sull’esito del moto, venne deciso l’acquartieramento sui monti Parioli, presso villa Glori e Muratti ricevette l’incarico di penetrare in città per riferire dello stato della popolazione. Superate le mura e preso atto della mancata sollevazione, complice il forzato esilio dei liberali orfani della Repubblica romana del 1849, riuscì fortunosamente a far pervenire un dispaccio ai commilitoni, che decisero lo stesso di rimanere e combattere. Non partecipò dunque ai fatti d’arme del 23 ottobre che segnarono la sconfitta dei suoi compagni a villa Glori, dove perse la vita Enrico Cairoli in uno scontro alla baionetta con gli zuavi pontifici. Il 3 novembre, raggiunte le truppe garibaldine, Muratti si distinse sul campo di Mentana, agli ordini del colonnello Gustavo Frigyesy.
Negli anni successivi alternò i suoi soggiorni tra Udine e Trieste. Si fece animatore di circoli di ispirazione repubblicana e anticlericale ed entrò nel Comitato d’azione triestino. Promosse appelli e petizioni in nome dell’italianità di Trieste, ma alle battaglie legali affiancò sempre l’agitazione sovversiva. La polizia lo sospettò di correità negli scontri del 13 luglio 1868 ai Portici di Chiozza fra cittadini filoitaliani e guardia civica territoriale, costati due morti e numerosi feriti. Domiciliatosi poco dopo a Trieste in via definitiva, trovò lavoro alla banca di costruzioni e nel 1872 sposò Emilia Girardelli. Dalla loro unione nacquero Beatrice, Giuseppina, Lucilla e i futuri scrittori Spartaco e Gracco. Il suocero gli affidò poi la direzione della fabbrica alimentare di cui era proprietario. La stabilità economica e famigliare non indusse Muratti a interrompere la pratica cospirativa. In concomitanza con gli avvenimenti balcanici del 1878-79, fu incaricato da Garibaldi e dal generale Avezzana di predisporre un piano per una marcia su Trieste e Gorizia insieme ad Attilio Zanolli dei Mille, ma l’iniziativa naufragò. Fu tra i fondatori del giornale L’Indipendente, oggetto negli anni di innumerevoli sequestri e censure per la conclamata adesione all’ideale patriottico italiano.
Nel 1882 si trovò immischiato, suo malgrado, nell’affaire Oberdan. Il 1° agosto incontrò casualmente il giovane alla stazione di Udine. Il giorno dopo a Trieste una bomba esplose durante la fiaccolata dei veterani austriaci in onore dell’arciduca Carlo Lodovico, in visita all’Esposizione universale allestita per festeggiare il quinto centenario della dedizione della città all’Austria. Guglielmo Oberdan, durante il processo per il progettato assassinio dell’imperatore Francesco Giuseppe, di cui pure si addossò ogni responsabilità, negò recisamente la propria compromissione nell’attentato del 2 agosto, e non riconobbe Muratti come persona conosciuta. In realtà egli fu probabilmente implicato in entrambe le vicende, se è vero che Muratti il 3 agosto, ricevuta la sua visita, gli procurò i mezzi per passare il confine. Dopo l’impiccagione di Oberdan, per evitare inconvenienti con la polizia austriaca, Muratti chiese e ottenne la cittadinanza italiana, prendendo residenza a Udine. Qui divenne il maggior esponente della sezione locale del Circolo Garibaldi, che insieme alla filiale veneziana costituì, per la posizione strategica di confine, il privilegiato raccordo tra la centrale milanese, guidata da Raimondo Battera, e le affiliazioni giuliane di matrice irredentista, per le quali Muratti fece da intermediario anche per conto dello Stato maggiore dell’esercito italiano.
Fu amico e corrispondente dei più eminenti fautori dell’irredentismo: Giovanni Bovio, Matteo Renato Imbriani, Eugenio Popovich, Aurelio Saffi. Nel 1889 ebbe un incontro con il presidente del Consiglio Crispi per convincerlo, inutilmente, ad abbandonare la Triplice alleanza. A Udine divenne membro della Congregazione di carità, della Croce rossa, della Società Dante Alighieri e presidente dell’Associazione dei reduci delle patrie battaglie e della Società di ginnastica e scherma, ed ebbe una fugace esperienza nel Consiglio del Comune. La stessa ritrosia alla politica si manifestò nel rifiuto ad accettare la candidatura di deputato nella circoscrizione di Roma, favorendo così la designazione di Salvatore Barzilai.
Affiliato alla loggia massonica udinese ‘Nicolò Lionello’, che in quel periodo svolgeva opera di spionaggio contro l’Austria, in una seduta del 26 giugno 1905 relazionò sul ritrovamento a seguito di una delazione, il 14 luglio 1904, di alcune bombe nella sede della Società ginnastica triestina. Il materiale, proveniente da Milano su commissione dei Comitati d’agitazione triestino e udinese, avrebbe dovuto costituire una sorta di arsenale terroristico a loro disposizione. Il 30 maggio 1905 la Corte d’assise viennese aveva comminato pene straordinariamente leggere per gli imputati irredentisti coinvolti nell’inchiesta, fatto che nel verbale della tornata di loggia Muratti attribuì alle pressioni operate dalla massoneria sui giurati. Sebbene per spiegare la sentenza vada soprattutto considerata la preoccupazione austriaca di non fomentare le rivalse dei separatisti, l’episodio testimonia comunque quali fossero allora gli appoggi forniti dalla massoneria all’irredentismo. Nel 1912 Muratti venne bandito dall’Impero austro-ungarico. L’ordinanza lo colpì negli interessi economici, per i commerci che conduceva tra Udine e Trieste, e famigliari, in quanto spesso si recava in villeggiatura a Sagrado dal figlio Spartaco. Esplosa la guerra, nonostante l’età e le precarie condizioni di salute, prestò servizio negli ospedali militari.
Morì a Udine l’8 marzo 1916.
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