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LIPSIO, Giusto

di Carlo Morandi - Enciclopedia Italiana (1934)
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LIPSIO, Giusto (Iustus Lipsius, latinizzamento di Joost Lips)

Carlo Morandi

Nato ad Overyssche presso Bruxelles il 18 ottobre 1547, morto a Lovanio il 23 aprile 1606. Fece i primi studî nel collegio di Ath e presso i gesuiti di Colonia e manifestò anche il proposito di entrare nell'ordine, ma vi rinunciò per l'opposizione dei genitori, passando a Lovanio, ove proseguì quegli studî filosofici e letterarî per i quali mostrava visibile inclinazione. Il suo primo lavoro filologico, Variarum lectionum libri quatuor (Anversa 1569). gli procura la protezione del cardinale di Granvelle che lo porta con sé a Roma come segretario, per due anni, ponendolo a contatto con i maggiori rappresentanti del movimento culturale italiano. In questo biennio L. frequenta assiduamente le biblioteche e perfeziona sui codici latini la propria cultura classica. Nel 1572 iniziò un viaggio in Germania e finì con l'accettare una cattedra di storia nella nuova università luterana di Jena. Breve soggiorno, amareggiato dall'ostilità dei colleghi, a cui seguì un periodo di peregrinazione da Colonia ad Anversa, e infine a Leida (1579), ove si fermò dodici anni che furono i più fecondi di lavoro e di successi. L'attività filologica del L. fu rivolta esclusivamente al mondo romano, e si esplicò in edizioni di testi e in dissertazioni di critica testuale e di antiquaria. Le sue edizioni fondamentali sono quelle di Tacito (1574), Valerio Massimo (1585), le tragedie (1589) e le opere filosofiche di Seneca (1605), Velleio Patercolo (1591); importante il commentario al Panegirico di Plinio il Giovane. Tacito e Seneca furono i maestri spirituali del L., e del loro influsso sullo spirito della dottrina politica del Cinquecento attesta largamente la produzione filosofica e politica che si accompagna a quella filologica, col De Constantia (1584), i Politicorum sive civilis doctrinae libri sex (1589); e poi quella precipuamente storica, col Tractatus ad historiam romanam cognoscendam utilis (1592) e il De magnitudine romana (1598). Cattolico di nascita e d'educazione, durante il soggiorno di Jena e di Leida parve inclinare verso il protestantesimo (secondo alcuni anzi vi avrebbe fatto formale adesione); ma fu, più che altro, effetto di simpatie culturali, di suggestione di persone e d'ambienti. Per sottrarsi alle influenze calviniste lasciò Leida e nel 1592 si trasferì a Lovanio.

La personalità di L. riveste un interesse non comune per l'interferire dei problemi che agitano l'età moderna nel suo primo formarsi, e l'elaborazione a volte speculativa, a volte meramente empirica, di quei principî che verranno razionalmente sistemati solo nel periodo dell'illuminismo. L. non partecipa alla vita politica: preferisce conservarsi estraneo ai casi contingenti; interprete di una crisi generale del pensiero, non conoscitore dei fatti politici nella loro realtà effettuale. Egli è soprattutto un filologo: lavora sui libri, accumula materiali eruditi, li analizza e li compara. Vuol farsi luce attraverso le dottrine e le osservazioni altrui: costruisce in mezzo a una soverchiante cultura che è in pari tempo la sua forza e il suo limite. Da questo sincretismo umanistico posterasmiano provengono i due motivi fondamentali del suo pensiero: l'etica stoica e la politica tacitiana. Infatti la sua coscienza politica si muove in una sfera di cosmopolitismo internazionale e la sua precettistica si vale di quell'adattamento dello storico di Tiberio ai nuovi tempi che è comune, se pur con diverse sfumature, a molti scrittori della Controriforma. L. non giunge a elaborare, né in forma giuridica né in forma filosofica, una vera teoria dello stato, ma perviene a una formulazione di precetti inerenti al governo e all'istituto monarchico, suggeriti da compromessi empirici più che da una tesi ideale. La figura del tiranno proietta la sua ombra anche sullo scrittore fiammingo: questi ritiene che i danni d'un moto rivoluzionario siano ben più gravi di quelli causati dal malgoverno di un despota. Quindi niente tirannicidio, ma sopportazione dei mali politici, cui dev'essere di conforto il pensiero che la Provvidenza saprà suscitare un ottimo principe dopo un malvagio. Anche nella polemica postmachiavellica dei rapporti tra politica e morale, egli tenta di risolvere l'antinomia con un procedimento non dialettico, ma empirico, vale a dire con l'introdurre un criterio conciliativo di giudizio: la prudenza. Vi può essere la frode nella vita politica in quanto è proprio della natura umana peccare; ma la norma suprema dev'essere la virtù, e in tal caso anche la frode, "prudentemente" mescolata con la virtù, non ne turba né corrompe l'intimo valore ideale. In materia di libertà religiosa L. si afferma intollerante, ma poi nega che si debbano perseguitare e punire gli eretici quando non compromettano la stabilità dell'ordine pubblico. Di fronte ai maggiori problemi, l'intransigenza iniziale del L. finisce col cedere a una visione più lata delle cose, e col riconoscere, nel momento pratico, talune esigenze dello spirito moderno negate in sede teoretica.

Ediz.: Gli scritti di G. L. sono assai numerosi e non tutti facilmente reperibili. Più volte furono riuniti in raccolte organiche: la migliore è quella a cura del Moreto (J. Lipsii opera omnia, Anversa 1637, voll. 4 in fol.), ma anch'essa incompleta. Le dissertazioni filologiche furono raccolte nel 1585 in 8 voll., e nel 1675 in 4 voll. Le opere principali vennero tradotte in molte lingue (fra i traduttori italiani sono: A. Numai, E. Cati, F. Pigafetta); ma interi capitoli furono spesso alterati od omessi per motivi politico-religiosi. Interessante per la storia della cultura, ma in parte ancora inedito e disperso, è l'epistolario: Epistolarum centuriae duae, Leyda 1591, Lettres politiques, Lipsia 1859.

Bibl.: Miraeus, Vita J. L., Anversa 1609; B. De Reiggenberg, De J. L. vita et scriptis commentarius, Bruxelles 1823; C. Nisard, Le triumvirat littéraire du XVIe siècle, Parigi 1852; F. Van Der Haeghen, Bibliotheca Belgica, Gand 1880 seg. (ottima bibliografia); E. Amiel, Les publicistes du XVIe siècle, Parigi 1880; F. Strowski, Pascal et son temps, Parigi 1922; V. Beonio-Brocchieri, L'individuo, il diritto e lo stato nella filosofia politica di G. L., nel vol. Saggi critici di storia della filosofia politica, Bologna 1931.

Vedi anche
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giusta
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