Lipsio, Giusto
(fiammingo Joost Lips, latinizz. Iustus Lipsius) Umanista fiammingo (Overijssche, Bruxelles, 1547-Lovanio 1606). Formatosi ad Ath presso i gesuiti poi a Lovanio, L. si orientò subito verso la filologia pubblicando studi eruditi ed edizioni fondamentali (tra queste, le edizioni di Tacito, 1574; Valerio Massimo, 1585; Seneca, 1589-1605). Dopo essere stato a Roma, accettò in Germania una cattedra di latino nell’univ. luterana di Jena (1572-74); insegnò poi, per breve tempo, a Lovanio (1576), passò quindi all’univ. calvinista di Leida (1578). Questo fece pensare a una adesione al protestantesimo; si trattò invece di un esteriore accomodamento alle circostanze; infatti L., conciliatosi coi gesuiti, insegnò (dal 1592) storia a Lovanio. Complessa è la personalità di L. che, per la sua stessa erudizione e per l’influenza esercitata su di lui da Tacito e Seneca, si configura secondo un vago sincretismo di tipo erasmiano, ispirato da un universalismo stoicizzante. Questo atteggiamento si ripercuote nelle opere di carattere etico-politico ove affronta alcuni dei principali problemi della polemica postmachiavellica e tacitiana: così per i rapporti tra politica e morale cerca nella «prudenza» una via alla loro conciliazione (giustificando l’astuzia e la frode «prudentemente» mescolate alla virtù), e, per il «tiranno», si dichiara disposto più a sopportare un regime dispotico che ad ammettere il diritto alla rivoluzione; si pronuncia anche contro la tolleranza religiosa, ma poi nega che si debbano perseguitare gli eretici.