GIUSTO de' Menabuoi
Pittore di origine fiorentina, noto a partire dal 1363 e morto prima del 1391.Le opere di G. firmate e datate sono: la Madonna Schiff, del 1363 (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), e l'altarolo ora a Londra (Nat. Gall.), del 1367, che sembra essere stato eseguito a Milano. Nel 1373 a Padova riceve un pagamento per la decorazione della cappella Spisser nella chiesa degli Eremitani; nel 1375 G. è detto cives civitatis Padua per privilegio di Francesco I da Carrara, signore di Padova, detto il Vecchio (m. nel 1393). Abitò in contrada Scalona e nel 1377 acquistò una casa in contrada Duomo, dove poi risulta abitare. Nel 1382 G. lavorava nella cappella Belludi nella Basilica del Santo; del 1387 è l'ultima testimonianza di G. vivente, che il 19 maggio 1391 risulta già morto. Si può ipotizzare che l'artista sia nato intorno al 1320, se non dopo: la sua educazione quindi deve porsi a partire dalla fine del quarto o addirittura nel quinto decennio del secolo.Il percorso artistico del pittore è stato oggetto di indagini critiche, anche recenti, volte a recuperare soprattutto il problema della sua formazione e quindi della sua collocazione in una scuola o in una corrente. Per primo Longhi (1928-1929; 1940) indicava nei c.d. dissidenti giotteschi, un gruppo di artisti fiorentini attivi a Milano dopo la peste del 1348, le origini figurative di G., tesi questa ripresa da Bettini (1944), che vide però anche uno stretto legame tra il linguaggio di G. e la pittura veneziana coeva. Volpe (1983) invece situò totalmente la prima educazione di G. nell'ambiente dell'Italia padana, con un riferimento del tutto particolare a Padova, come emerge dai numerosi riferimenti, soprattutto iconografici, a Giotto padovano, appunto nelle opere che si considerano le più antiche del pittore.Si è voluto vedere l'inizio dell'attività di G. nel tiburio dell'abbazia di Viboldone, presso San Giuliano Milanese, e precisamente nelle tre pareti dove sono raffigurati il Giudizio universale e gli apostoli; solitamente datate al 1349 - data che si legge al di sotto della grande lunetta, sulla quarta parete, con la Madonna in trono e santi, che è però di altra mano -, le pitture potrebbero meglio collocarsi più avanti, nel corso del sesto decennio. Il complesso è caratterizzato, soprattutto nella scena del Giudizio, da un riferimento preciso al modello giottesco della cappella padovana dell'Arena; le figure degli apostoli si impostano maestosamente su troni ornati di gemme, con moduli allungati e ritmi gotici, vicini alla Madonna Schiff.Potrebbero cronologicamente seguire gli affreschi, molto rovinati, della prima campata sinistra della stessa chiesa, pubblicati da Gregori (1974), che sono il precedente più vicino alle Storie della Genesi nella cupola del battistero padovano. Questi dipinti, insieme alla Madonna Schiff e all'altarolo di Londra, attestano dunque una lunga presenza di G. a Milano nel settimo decennio, probabilmente preceduta da uno o più soggiorni in terra veneta, e cioè a Padova e forse a Venezia.La Madonna Schiff, del 1363, certo parte centrale di un polittico eseguito per Isotta Terzaghi (un nome lombardo), mostra una personalità complessa e una pittura di particolare raffinatezza, nella finezza esecutiva dei particolari e nella preziosità dei timbri cromatici.Nell'altarolo di Londra, del 1367, il ricordo delle iconografie giottesche, dalle quali derivano le scenette, si addolcisce di incredibili tinte pastello, di sfumature, di luminismi, evidenziando chiaramente la principale, inconfondibile caratteristica del linguaggio di Giusto.Intorno al 1370 G. era probabilmente già a Padova, dove restò per il resto della sua vita e dove lo si trova impegnato in lavori di prestigio, per le principali famiglie della città e addirittura per i Carraresi, signori di Padova. Al 1370, infatti, si dovrebbe datare il ciclo di affreschi che decoravano la cappella della famiglia Cortellieri nella chiesa degli Eremitani, costruita appunto in quell'anno. Restano della decorazione, che raffigurava il Trionfo di s. Tommaso, le Virtù e le Arti, pochi straordinari avanzi di figure femminili: immagini immote, assorte, ove si coglie un ulteriore avvicinamento al linguaggio giottesco, nella gravità della impostazione monumentale, e allo stesso tempo una capacità di rivestire le forme di leggerissime vesti, impalpabili, e di delicatissimi colori fluorescenti.Risalgono al 1373 le decorazioni della cappella Spisser - Enrico Spisser fu connestabile di Francesco il Vecchio - ancora nella chiesa degli Eremitani; probabilmente di questi anni è la lunetta della tomba di Nicolò e Bolzanello da Vigonza nella Basilica del Santo, dagli stessi ariosissimi colori.A Fina di Pataro Buzzacarini, moglie di Francesco I da Carrara, si deve - secondo le fonti - la trasformazione del battistero in mausoleo per sé e per il marito. L'idea di un battistero che fosse allo stesso tempo mausoleo poté essere stata suggerita dal battistero marciano di Venezia, che fu trasformato e ampliato appunto dal doge Andrea Dandolo (1306-1354), il quale lo fece decorare e vi fece porre la propria tomba. La datazione del complesso parrebbe doversi fissare al 1378, sulla base di una più attenta lettura dei documenti relativi al monumento e alla sua committente, esaminati di recente (Kohl, 1989), in occasione della presentazione del restauro del complesso, e del testamento stesso di Fina. Infatti la signora di Padova nel 1377 pretese dal Comune di Firenze la restituzione di un'ingente somma di danaro e nel testamento del 1378 la stessa Fina lasciò una somma per la costruzione della sua tomba; poiché la tomba è strettissimamente legata alla decorazione pittorica, così che le figurazioni delle pareti continuano sulle facce laterali di essa, ne consegue che almeno la decorazione delle pareti del battistero è da collocarsi dopo tale data. La cronologia quindi degli affreschi del battistero dovrebbe essere fissata a partire dal 1378 o, al massimo, dal 1377.La decorazione del battistero, un edificio a pianta quadrata, coperto da una cupola e con una piccola cappella absidale anch'essa quadrata e coperta di cupoletta, è articolata e complessa: nella cupola al centro Cristo in una enorme mandorla, circondato dagli angeli e dai santi seduti sugli scranni in una serie di cerchi concentrici; nel tamburo Storie della Genesi; gli evangelisti e i profeti nei pennacchi; storie di Cristo su tre pareti e di s. Giovanni sulla quarta; nell'abside, infine, sulla cupola la Pentecoste e alle pareti ben quarantanove raffigurazioni dell'Apocalisse. Alla diversità dei temi trattati corrisponde un'accentuata diversità nel linguaggio stilistico: un accento fortemente ieratico caratterizza la cupola, nella immota staticità delle figure, variate solo da una straordinaria ricchezza di timbri cromatici, di colori trasparenti e luminosi, tra i quali spicca il manto azzurro, sfumato in bianco acceso, della Vergine orante. Minutamente descrittive sono le Storie dell'Antico Testamento, esemplate probabilmente dai mosaici delle cupolette dell'atrio della basilica di S. Marco a Venezia: esse propongono, come in una miniatura, attente osservazioni naturalistiche nella resa dei paesaggi pieni di animali e di piantine. Alle pareti, le Storie di Cristo e di s. Giovanni hanno un ritmo meditato e solenne, ove talvolta è evidente la suggestione dell'esempio giottesco della cappella dell'Arena. Le composizioni, molto affollate, sono impaginate contro architetture ampie e semplici, non sempre tuttavia in esatta misura; i personaggi hanno una gravità e una maestosità molto accentuata nel ricadere dei manti e tra essi talvolta si mescolano personaggi in abiti alla moda, così da rendere più vivace e attuale l'episodio. Nuovissima e moderna infine è la decorazione della cappellina absidale, ove gli episodi apocalittici sono raffigurati con immagini di fantasiosa, astratta inventiva, non prive ancora una volta di richiami alla pittura di Lorenzo Veneziano. Ovunque la bellezza e la novità della pittura emergono soprattutto nel colore chiaro e quasi fluorescente, in liquide trasparenze, a metà tra l'azzurro e il verde e tra il rosato e l'arancio, su cui spicca l'accensione dell'azzurro e del bianco, che sembrano avvolgere i personaggi in una sorta di ragnatela di sottili filamenti colorati. Sull'altare è un grande polittico che reca al centro la Madonna con il Bambino e lateralmente, in tre ordini, piccole Storie di s. Giovanni; completano il dipinto una predella e una cimasa, con figure di santi. In esso G. ripropone la sua poetica fatta di silenzio e di attesa, nella semplicità delle storiette e nella solennità della Madonna; ma ricercando, con ancora maggiore raffinatezza rispetto agli affreschi, effetti di preziosismi rari nelle scelte dei colori cangianti, che preludono a ricercatezze da Gotico internazionale.La datazione degli affreschi del battistero, qui proposta, di contro a quella che la vedrebbe più probabilmente prima del 1375, legherebbe più strettamente le due maggiori imprese decorative di G., il battistero appunto e la cappella del beato Luca Belludi (m. nel 1286) nella Basilica del Santo, rendendo ragione di alcune caratteristiche, specie in ordine alle soluzioni spaziali, assai simili nei due complessi.Nel 1382 G. decorò la cappella della famiglia Conti, - anch'essi familiari dei Carraresi - o del beato Luca Belludi nella Basilica del Santo, con Storie dei ss. Filippo e Giacomo e del beato Luca Belludi. Gli affreschi, purtroppo rovinati, si presentano, nonostante il recente restauro (1988), impoveriti nei timbri cromatici. Questo ciclo si caratterizza piuttosto per una più avanzata maturazione in ordine ai problemi spaziali e una maggiore attenzione agli effetti ottici, con risultati modernissimi, indicativi di un'attenzione alle conquiste della scienza che caratterizzavano, appunto sul finire del secolo, lo Studio padovano. Le composizioni si affollano entro architetture più spaziose e talvolta minuziosamente descritte o contro ampi paesaggi: tra questi è notissima la veduta di Padova, di meticolosa precisione ed esattezza. Ancora più interessante è il rapporto tra architettura reale e architetture dipinte, nei loggiati che incorniciano i personaggi, ma soprattutto negli oculi in prospettiva dai quali si affacciano, con forte scorcio, i santi. Lo studio degli effetti ottici fa sì che, in maniera del tutto nuova, il pittore usi, invece che il convesso, il concavo, o lo sfondamento della superficie intonacata, per ottenere, come nelle parti dorate, quali turiboli e croci, una precisa e intensa sensazione di rilievo.Le fonti attribuiscono a G. la decorazione della cappella di S. Lodovico nella chiesa padovana di S. Benedetto, ancora con scene dell'Apocalisse, purtroppo distrutta durante l'ultima guerra. Sarebbe questa l'ultima testimonianza della lunga attività padovana del pittore.È opera squisita di G. anche un trittico-reliquiario conservato presso l'abbazia di Montecassino, mentre le tavole con scene dell'Apocalisse (Stoccarda, Staatsgal.), che sono state più volte attribuite a G., sarebbero piuttosto da assegnare a un pittore napoletano.
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