CORONEDI, Giusto
Nacque a Bologna il 13 ag. 1863, da Cesare e da Vincenza Giusti. Compì nella sua città gli studi medi e si iscrisse quindi alla facoltà di medicina dell'università di Bologna. Fu allievo, in clinica, di A. Murri; frequentò soprattutto, durante il corso di studi, le lezioni e il laboratorio di P. Albertoni che lo avviò agli studi fisiologici, stimolando in lui i primi interessi per la materia medica, e al cui fianco mosse i primi passi di ricercatore. Nella scuola fisiologica di Bologna l'Albertoni, succedendo a L. Vella nel 1884, aveva indirizzato la ricerca su temi di grande interesse scientifico e pratico; in particolare, aveva sviluppato l'indagine in alcuni settori quali il sistema nervoso e il sistema digerente. Il C. si laureò nel 1889 con una tesi sul potere diastasico della saliva dell'uomo negli stati irritativi dello stomaco.
Dopo una breve permanenza negli Istituti di farmacologia e di fisiologia dell'università di Bologna, si trasferì al R. Istituto di studi superiori e di perfezionamento di Firenze, dove frequentò per qualche tempo, come assistente, la clinica medica di C. Federici. Questo tirocinio gli permise di affiancare una valida esperienza internistica ai suoi principali interessi di studioso indirizzato all'indagine sperimentale e al laboratorio.
Assecondando poi la propria disposizione agli studi farmacologici, il C. entrò, nel 1891, nell'Istituto di farmacologia di Firenze, diretto da G. Bufalini. La cattedra di materia medica e farmacologia sperimentale dell'istituto fiorentino era stata retta negli anni precedenti da E. Buonamici e, per un breve periodo, da F. Coppola, il noto farmacologo palermitano che, seppure morto prematuramente, aveva procurato una egregia rinomanza all'attività scientifica del suo laboratorio (cfr. Coppola Francesco, in Diz. biogr. d. Ital., XXVIII, Roma 1981, pp. 648 ss.).
Il C. si fermò per qualche anno nell'istituto fiorentino, come aiuto del Bufalini; in quella sede avviò la sua carriera universitaria, maturò le prime esperienze di ricercatore e si fece conoscere attraverso una severa attività di studio riassunta in diverse pubblicazioni.
Conseguita a Firenze la libera docenza in materia medica nel 1895, tenne negli anni seguenti dei corsi liberi universitari. Aveva sposato, assai giovane, Anna Zalum, appartenente a una famiglia livornese di origini libanesi; la moglie era congiunta del clinico Federici, al quale il C. restò sempre legato da stretti vincoli di amicizia.
Il suo lavoro gli aveva intanto procurato un ampio credito nell'ambiente scientifico e accademico, nazionale. Nel 1898, a trentacinque anni di età, fu chiamato all'università di Sassari, dove venne nominato professore straordinario di materia medica. Si trasferì pertanto in Sardegna e in quella sede maturò la sua completa affermazione scientifica. Si dedicò alla direzione e alla riorganizzazione dell'Istituto di materia medica, indirizzando il laboratorio alla ricerca sperimentale e promuovendo la pubblicazione di un cospicuo numero di lavori scientifici. La sua opera era affiancata da R. Luzzato, che gli era assistente nell'istituto e nel laboratorio. Il riconoscimento del suo valore di studioso e i molti titoli acquisiti gli valsero la nomina a professore ordinario di materia medica, nella facoltà di medicina sassarese, nell'anno accademico 1903-1904. Fu contemporaneamente professore di materia medica tossicologica nella scuola di farmacia; in quegli anni aveva inoltre tenuto un corso libero di farmacoterapia. Anche in Sardegna, tuttavia, accanto alla sua attività principale di farmacologo si occupò di temi di medicina interna, seguendo l'inclinazione che aveva coltivato fino dagli anni della sua formazione fiorentina nella clinica medica. Si adoperò in favore del piccolo istituto che dirigeva, impegnandosi anche nella ricerca di una nuova sede per il laboratorio, più idonea alle aumentate esigenze di studio. Infatti quando fu formulato un disegno di ampliamento degli istituti universitari di Sassari, egli insistette perché al suo laboratorio venissero assegnati locali adatti e, nel 1906, le autorità competenti approvarono il progetto.
Il C. restò in Sardegna circa dodici anni. Nel 1909, chiamato a un'altra ambita cattedra, quella dell'università di Parma, lasciò Sassari dove, nella direzione dell'istituto, gli subentrò A. Bonanni. Nell'assumere la cattedra a Parma recitò una prelezione al corso di farmacologia per l'anno accademico 1909-1910, Esperimento farmacologico ed esperimento terapeutico: loro origine e natura e rapporto reciproco (Parma 1910), utile a comprendere il suo metodo di ricercatore. Rimase a Parma fino al 1917, segnalandosi ancora per un'intensa attività di studio e di pubblicazioni. Nel 1909, lasciando la Sardegna, aveva dato alle stampe un nutrito compendio di farmacologia, che rappresentava il sunto delle lezioni teoriche e sperimentali delta sua scuola (Compendio di farmacologia e farmacoterapia, Milano 1909); questo volume incontrò rapido successo e fu pubblicato in una seconda edizione riveduta e ampliata nel 1923. A Parma fu anche direttore della scuola di farmacia e, dal 1916, preside della facoltà di medicina.
Durante la guerra mondiale fu ufficiale superiore della Croce rossa e insegnò nell'università castrense. Nel 1918 ottenne infine di assecondare la sua aspirazione e tornò a Firenze per occupare la cattedra di farmacologia e tossicologia nell'istituto dal quale aveva preso avvio la sua carriera. La sua opera e il suo prestigio richiamarono sullo istituto fiorentino il consenso degli ambienti scientifici e accademici, e da quella sede egli non volle più allontanarsi anche quando gli furono offerte cattedre in altri atenei prestigiosi. La sua opera farmacologica abbracciava già svariati campi di indagine, ma in quegli anni apparve dare particolare impulso agli studi tossicologici. Dalla metà dell'Ottocento esisteva in Firenze una condizione particolarmente fortunata per la tossicologia; R. Bellini, nel 1859, aveva ottenuto dal governo toscano la facoltà di istituire la cattedra di tossicologia, più tardi conglobata in quella di medicina legale. Successivamente anche A. Filippi e L. Borri avevano continuato la tradizione tossicologica, ripresa poi dal C., il quale ottenne che la cura degli avvelenati fosse affidata alla direzione dell'Istituto di farmacologia con un servizio clinico tossicologico presso il R. Arcispedale di S. Maria Nuova; egli realizzò un insegnamento dimostrativo clinico tossicologico che entrò a far parte integrale della scuola di farmacologia, come appendice alla medesima. L'ospedale poteva offrire all'osservazione e alle cure del suo servizio un centinaio di casi di avvelenamento ogni anno, consentendo così agli studiosi di acquisire una ricchissima esperienza. Oltre a questo servizio tossicologico ospedaliero, il C. diresse a Firenze la sezione tossicologica del Centro chimico militare.
Anche a Firenze egli diede vita a una vera scuola farmacologica. La sua qualità di docente era testimoniata dal consenso che le sue lezioni riscuotevano; sotto la sua guida lavorarono numerosi ricercatori e si formarono allievi di valore che raggiunsero poi la cattedra, come R. Luzzato, P. Niccolini e A. Aiazzi Mancini. Nel 1935, raggiunti i limiti di età, lasciò l'insegnamento attivo e divenne professore emerito dell'ateneo fiorentino.
Pur considerando la farmacologia, in aderenza ai nuovi orientamenti di pensiero che si andavano ormai affermando, come una scienza eminentemente biologica, strettamente correlata alla chimica e alla fisiologia, il C., per la propria esperienza internistica, sottolineò costantemente, anche nelle lezioni, il rapporto che riteneva indispensabile tra questa disciplina e la clinica e la necessità dell'applicazione dei farmaci alla terapia.
La sua vastissima opera scientifica si evidenzia in oltre centoventi pubblicazioni che fanno di lui, con altri allievi della scuola dell'Albertoni, una delle figure più vive della farmacologia italiana del suo tempo. I suoi interessi abbracciarono campi svariati della farmacologia e della tossicologia.
Tra le indagini più considerevoli si registrano quelle riguardanti gli antielmintici e particolarmente gli alcaloidi del melograno, la santonina e l'acido embelico. Studiò l'embellato d'ammonio, che era allora quasi sconosciuto in Italia, con approfondite esperienze sugli ascaridi del maiale e, facendo tesoro delle ricerche precedenti, tra cui quelle di F. Coppola, ne affermò le ottime qualità vermifughe, superiori a quelle di altri antielmintici, sia per meccanismo d'azione che per grado di tossicità (L'embellato di ammonio come antielmintico ed in comparazione con altre sostanze usate a questo scopo. Ricerche, in Lo Sperimentale, XVI [1892], pp. 141-169).
Condusse esperimenti sull'uso dello stronzio bromuro come antiemetico (Del bromuro di stronzio nel trattamento del vomito. Ricerche, ibid., pp. 222-231). Sioccupò della farmacologia del Quebracho blanco (Aspidosperma Quebracho), i cui principali alcaloidi sono l'aspidospermina e la quebrachina, con il lavoro Saggio di studio critico sperimentale intorno all'azione biologica del quebraco blanco e dei suoi alcaloidi, pubblicato a Sassari nel 1899.Tra gli altri lavori si possono citare quelli sullo zolfo (La farmacologia del solfo in rapporto all'odierne sue applicazioni terapeutiche, Torino 1932);quelli sulla azione sinergica dell'associazione di due o più sostanze anestetiche; sull'uso del fermento d'uva in medicina; sull'azione degli amari sulla funzione gastrica.
Col Marchetti studiò la possibilità di introdurre in terapia i grassi iodati, che poi trovarono larga applicazione; preparò la jodelaina e la bromelaina. Ampio riconoscimento ebbero poi le sue ricerche sulla fisiologia della tiroide, che si proposero come fondamentali acquisizioni di endocrinologia, egli si inserì nel dibattito sulla funzione della tiroide, considerata prima, con le ricerche di F. Colzi, come organo a funzione antitossica (cfr. Colzi, Francesco Alfonso Faustino, in Diz. biogr. d. Italiani, Roma 1982, XXVII, pp. 507 s.), e poi come organo endocrino. Considerando la funzione endocrina, il C. segnalò l'azione del secreto tiroideo come diuretico fisiologico, abbinando la teoria endocrina con l'ipotesi detossicante del Colzi. Nel 1907 su questo argomento pubblicò a Sassari Studi intorno alla fisiologia della glandola tiroide e delle glandole paratiroidi, e al concorso Gaiani, a Bologna, presentò, una memoria che fu onorata da un premio speciale: Rapporti tra tiroide e reni. Ricerche comparative intorno all'azione dei diuretici e dell'estratto tiroideo sopra il rene del cane stiroidato (Bologna 1909).
Si occupò sovente anche di idrologia, che considerava una branca di competenza della farmacologia; fu per qualche anno medico idrologo a Monsummano (Pistoia) e studiò il valore terapeutico delle acque di quella stazione in alcune malattie dell'apparato urinario.
Grande attenzione il C. dedicò sempre alla tossicologia, e questo suo interesse è testimoniato in varie pubblicazioni e soprattutto nell'ampio lavoro Diagnosi e terapia clinica degli avvelenamenti, edito a Firenze nel 1926, che raccoglieva anche le sue esperienze di direttore del servizio clinico tossicologico ospedaliero. Egli sosteneva la necessità di dare corpo a uno studio autonomo della clinica tossicologica e insisteva perché lo sviluppo della tossicologia, come studio scientifico dell'azione dei veleni sull'organismo, si fondasse su una precisa conoscenza della farmacologia. Si applicò sovente a studi tossicologici e fu impegnato spesso anche come perito in materia tossicologica medico-legale. Indagò, tra gli altri, il problema dei barbiturici, dell'aconito, dell'ossido di carbonio, dell'anilina e dei funghi velenosi.
Un altro settore al quale si dedicò con attenzione fu quello della produzione industriale dei farmaci. In questo senso operò in lui la formazione maturata nello spirito della scuola di O. Schmiedeberg, che da Strasburgo influenzò la grande organizzazione chimico-farmacologica industriale tedesca, che allora primeggiava nel mondo. Il C. sottolineò sempre l'importanza di uno stretto collegamento tra l'industria farmaceutica e gli istituti di ricerca e si adoperò per promuovere anche in Italia la creazione di un'industria su basi scientifiche; si può dire che i suoi ripetuti richiami contribuirono significativamente all'organizzazione e allo sviluppo di laboratori industriali affidati alla direzione di farmacologi preparati.
Lasciata la cattedra universitaria, il C. trascorse a Firenze gli ultimi anni della sua vita, impegnandosi ancora attivamente in temi di ricerca e nella collaborazione all'industria farmaceutica.
Si spense improvvisamente a Firenze il 22 dic. 1941. La sua salma fu tumulata nel cimitero di Livorno.
Bibl.: Necrol., in Arch. di farmacol. sper. e scienze affini, LXXIII (1942), pp. 100 ss.; P. Di Mattei, Farmacologia, in Un secolo di progresso scientifico ital., IV, Roma 1939, pp. 356 s., 36r, 371; F. Rizzi, I professori dell'università di Parma attraverso i secoli, Parma 1953, p. 142.