STREPPONI, Giuseppina
STREPPONI, Giuseppina (Clelia Maria Josepha). – Nacque a Lodi l’8 settembre 1815 da Rosa Cornalba (Lodi, 26 settembre 1793 - Cremona, 13 gennaio 1870) e da Feliciano Cristoforo Bartolomeo (Lodi, 26 ottobre 1793 - Trieste, 13 gennaio 1832), diplomato al conservatorio di Milano (1820), maestro di cappella in duomo a Monza (1820-28), collaboratore del direttore del teatro Grande di Trieste (1828-32), autore di farse e drammi per musica rappresentati a Torino, Milano, Vicenza e Trieste tra il 1820 e il 1831. Fu la prima di sei figli: Davide Carlo Cristoforo (Lodi, 31 gennaio - 10 febbraio 1817), Maria Teresa (Lodi, 16 - 18 marzo 1818), Maria Antonia Theodora (Lodi, 1° aprile 1819 - Milano, marzo 1838), Davide Vincenzo Francesco (Monza, 4 ottobre 1825 - Locate, 15 agosto 1856) e Maria Barbara Elena (Monza, 15 gennaio 1828 - Cremona, 4 settembre 1918). Lo zio Francesco Strepponi (Lodi, 3 ottobre 1799 - 28 settembre 1853) fu compositore e direttore d’orchestra, suo figlio Luigi (Lodi, 25 settembre 1828 - 16 settembre 1849) organista dell’Incoronata di Lodi.
Sebbene avesse superato l’età per l’iscrizione, nel 1830 fu ammessa al conservatorio di Milano nella classe di canto di Pietro Ray, giudicata dal direttore, Francesco Basili, «molto avanzata negli studi» (Moretti, 2006, p. 20) svolti con il padre nel cembalo e nel canto. La morte del genitore e l’angustia economica che ne derivò pregiudicarono la frequenza, che poté continuare passando fra gli alunni gratuiti. Diplomata nell’autunno del 1834, debuttò in un concerto con orchestra il 31 ottobre presso l’Istituto filarmonico di incoraggiamento di Lodi. Ne parlò la Gazzetta della Provincia di Lodi e Crema (8 novembre 1834; Moretti, 2006, p. 128). Con il debutto teatrale ad Adria (26 dicembre 1834, Chiara di Rosemberg di Luigi Ricci) e il successo a Trieste nel gennaio-febbraio del 1835 (prima donna in Matilde di Shabran di Gioachino Rossini e Anna Bolena di Gaetano Donizetti) avviò un’attività incalzante, anche per provvedere alla madre, alle sorelle Antonia e Barbara (dal 5 giugno 1832 collocate nell’orfanotrofio femminile di Lodi) e al fratello Davide (dal 1° ottobre 1834 in quello maschile e dal 9 novembre 1835 nel collegio di Legnano).
L’impresario Bartolomeo Merelli la portò al teatro di Porta Carinzia a Vienna per la stagione di primavera del 1835 (fu Giovanna in Anna Bolena, prima donna nel Furioso nell’isola di S. Domingo di Donizetti, Adalgisa in Norma e Lisa nella Sonnambula di Vincenzo Bellini). Il 2 maggio la Allgemeine Theaterzeitung lodò «l’esecuzione pervasa da profondo sentimento nonché il vigore e la potenza vocale di un canto che nel ragguardevole virtuosismo sprigionava fascino e grazia» (Jahn, 2007, p. 217). Seguì La pazza per amore di Pietro Antonio Coppola al S. Benedetto di Venezia il 7 novembre e al Grande di Brescia il 26 dicembre. Alla Fenice di Venezia, dal 9 aprile al 7 maggio 1836 cantò in quattro opere (La gazza ladra e La Cenerentola di Rossini, I puritani di Bellini e La pazza per amore). Proseguì le recite all’Apollo sino al 29 maggio aggiungendo Il pirata di Bellini; passò poi a Mantova, Piacenza, Cremona, ancora a Venezia e Trieste, Bologna, Faenza e Lodi. A Torino sospese l’attività dal 3 dicembre 1837 all’11 marzo 1838 per la nascita di Camillo Luigi Antonio (Torino, 14 gennaio 1838 - Siena, 26 giugno 1863), prima di esibirsi di nuovo in due concerti a corte, cui seguì la firma del contratto con l’impresario Alessandro Lanari; lavorò spesso con il baritono Giorgio Ronconi e il tenore Napoleone Moriani.
Nel 1838 non godé di alcun periodo di riposo: cantò Lucia di Lammermoor, I puritani, Pia de’ Tolomei, Alisia di Rieux di Giuseppe Lillo, Maria di Rudenz, Beatrice di Tenda, Caterina di Guisa, opera prima di Fabio Campana, Norma, La straniera, La sonnambula, La straniera e Betly. A Firenze, dopo Il giuramento di Saverio Mercadante il 29 gennaio 1839, il 9 febbraio diede alla luce Giuseppina Faustina, esposta all’ospedale degli Innocenti con il nome di Sinforosa Cirelli (morì a Firenze nel 1919). Un mese dopo, il 12 marzo, fu alla Fenice nelle Due illustri rivali di Mercadante (accanto a Carolina Unger). Debuttò alla Scala il 20 aprile 1839 (I puritani, L’elisir d’amore, Lucia di Lammermoor e Pia de’ Tolomei), recite funestate dai malanni di vari artisti (prima Moriani, poi Ronconi, indi Strepponi). In questi giorni ricevettero da studiare per una beneficiata lo spartito di Oberto, conte di San Bonifacio di un oscuro esordiente, Giuseppe Verdi. Per le malattie, e per il caldo di fine maggio che spinse il bel mondo scaligero a trasferirsi in campagna, Merelli cancellò la serata. Tuttavia, sentiti per caso Strepponi e Ronconi lodare l’Oberto, l’impresario lo programmò nella stagione successiva (Walker, 1964, p. 204).
Mentre Verdi debuttava il 17 novembre 1839 alla Scala, dall’11 ottobre al 26 novembre Strepponi era alla Pergola di Firenze (Il giuramento, Maria di Rudenz, Beatrice di Tenda, L’elisir d’amore). Nel Carnevale del 1840 cantò al Filarmonico di Verona (Parisina di Donizetti, I puritani, Maria di Rudenz e L’elisir d’amore). Le qualità canore e sceniche di Strepponi furono lodate da Temistocle Solera sulla Strenna teatrale europea: «Vienna, Firenze, Venezia [...] e nella trascorsa primavera la colta Milano, ammirarono in questa giovane i più bei doni di natura, resi grandi da un continuo studio; e sì nel genere serio, come nel giocoso, fece dimenticare molte celebri cantanti che l’avean preceduta. Dotata di un’anima estremamente sensitiva, sa insinuarsi e col canto e con l’espressione nel cuore degli spettatori» (III (1840), pp. 170 s.). In questo periodo non mancarono i contrasti con Lanari, come risulta dalla lettera che Strepponi gli scrisse l’11 febbraio: «Io non sarò mai la prima a far insorgere una querela giudiziaria contro di Lei [...]. Io ho bisogno d’un riposo [...] necessario a mettere in equilibrio le forze del mio corpo, stancate e debilitate dalla continua e violenta fatica del canto, che fu tutta a profitto dell’Impresario Lanari. Continuando a cantare, io incontro il certo pericolo di perdere la voce [...]» (De Angelis, 1982, p. 174). Il canto riprese in giugno a Firenze (Rosmunda di Jules Alary), in luglio-agosto a Senigallia (Il giuramento, Le due illustri rivali), indi a Lucca per Giovanni da Procida di Giuseppe Poniatowski. Tornò a Firenze in ottobre (Beatrice di Tenda), fu a Venezia in novembre (Il bravo di Mercadante e Otello di Rossini) per giungere all’Apollo di Roma (Marin Faliero di Donizetti e Mosè di Rossini), dove l’11 febbraio 1841 fu la prima interprete dell’Adelia di Donizetti. A Firenze, in quaresima, creò Luigi Rolla di Federico Ricci, in aprile-maggio fu ad Ancona (Maria di Rudenz, Belisario ed Elena da Feltre), e in giugno a Faenza (Beatrice di Tenda). Proseguì a Bergamo in agosto-settembre (I puritani e Marin Faliero), per terminare a Trieste il 6 ottobre (Giulio d’Este di Fabio Campana).
Obbligata al riposo in vista della nascita di un terzo figlio (Adelina Maria Theresa Carolina vide la luce il 4 novembre a Trieste, dove morì il 4 ottobre seguente), riprese l’attività il 18 gennaio 1842 a Genova (Saffo di Giovanni Pacini e Il giuramento). Venne riconfermata alla Scala per Belisario (22 febbraio) e per il varo del Nabucodonosor (Nabucco) di Verdi (9 marzo), ma la salute precaria le precluse il successo. Il 4 marzo Donizetti informò il cognato Antonio Vasselli: «[...] questa cantante ha talmente fatto furore qui nel Belisario che è l’unica che non ha mai ricevuto un applauso, [...] il suo Verdi non la voleva nell’opera sua e l’impresa lo ha obbligato» (Walker, 1964, p. 113). Infatti il 3 marzo (sei giorni prima del varo) tre medici convocati da Merelli attestarono nella cantante problemi respiratori, intestinali, fisico indebolito e voce velata, consigliando riposo. Spinta da una situazione finanziaria disperata, convinse Merelli ad affidarle nonostante tutto le otto recite. Fu l’unica a non entusiasmare: Girolamo Romani (Il Figaro, 13 marzo 1842) la criticò senza nominarla: «Il duetto di Nabucco ed Abigaille farebbe senza dubbio maggior effetto [...] quando Ronconi non fosse solo a cantarlo» (Walker, 1964, p. 114). Lei stessa scrisse poi a Lanari: «Ho quindi cantato, anzi mi sono trascinata sino al termine delle recite» (p. 116).
Il primo incontro con Verdi non fu dunque piacevole. Nell’aprile del 1843 Verdi riascoltò Strepponi, tornata a cantare dopo un anno di riposo, nelle ventidue recite del Nabucco a Parma (ripreso a Bologna nell’ottobre del 1843), a Verona (gennaio del 1844) e Alessandria (ottobre del 1845), oltre a dirigerla in Ernani nel 1844 a Bergamo (opera che cantò anche a Palermo). Nabucco fu l’opera con la quale, trentenne, chiuse la carriera l’11 gennaio 1846 a Modena. Già sul finire del 1845 La Strenna teatrale europea annunciò che Strepponi contava «di recarsi a Parigi [...] a propagare in qualità di maestra del vero canto italiano quell’arte che tanto la fé celebre nel mondo musicale» (Walker, 1964, p. 219), e Verdi si prodigò per favorirne l’inserimento nella società parigina. Nell’ottobre del 1846 si stabilì a Parigi con la sorella Barbara. Annunciata da La France musicale dei fratelli Escudier, il 15 novembre aprì una scuola di canto nella sua abitazione «il martedì e il venerdì dalle tre alle cinque». L’articolo fu richiesto da Verdi, che già il 22 ottobre aveva ringraziato i suoi editori francesi «di tutto quanto avete fatto e di tutto quello che farete pella mia raccomandata» (Abbiati, 1959, I, pp. 653 s.). Lusinghiero il giudizio di Hector Berlioz sulla cantante, sentita in concerto: «une fière prima donna, chantant largement et noblement avec une voix des plus puissantes, un bon style et une chaleur entraînante» (Journal des débats, 29 novembre 1846).
Verdi, di ritorno da Londra per I masnadieri, il 27 luglio 1847 fece visita alla Strepponi e presso di lei si prese un breve periodo di riposo, che per finire durò due anni. Nel gennaio del 1848 presentò la cantante al suocero Antonio Barezzi, da lui invitato a Parigi. Da quel momento lei gli fece da segretaria (conosceva il francese e l’inglese), da consigliera (lo assistette nelle trattative con l’Opéra che portarono a Jérusalem il 26 novembre 1847), da consulente letteraria (fu un’insaziabile lettrice) e da tramite con l’ambiente sociale nei contesti in cui vissero. La relazione more uxorio divenne nota nell’agosto del 1849, quando i due artisti si stabilirono a Busseto in palazzo Cavalli. I bussetani non accettarono né la convivenza in quanto tale né Strepponi, per via dei figli illegittimi, abbandonati e di padre ignoto. I due artisti non ebbero pace nemmeno dopo il 1° maggio 1851, quando si stabilirono nella casa padronale del fondo di S. Agata di Villanova acquistato nel 1848, a tre chilometri da Busseto. Il 21 gennaio 1852 Verdi scrisse a Barezzi: «Ella vive in un paese che ha il mal vezzo d’intricarsi spesso degli affari altrui e disapprovare tutto quello che non è conforme alle sue idee [...]. In casa mia vive una Signora libera, indipendente, amante come me della vita solitaria, con una fortuna che la mette al coperto di ogni bisogno» (Walker, 1964, p. 248). Strepponi, difatti, aveva investito i suoi risparmi a Firenze e con la rendita provvide alle spese personali, alla madre, alla sorella e alle opere di carità. La coppia evitò le apparizioni pubbliche; le sia pur brevi assenze del compositore alimentarono i di lei timori. Nel gennaio del 1853, mentre Verdi era a Roma per il Trovatore, da Livorno gli scrisse: «Iddio forse mi punisce dei miei peccati, nel far ch’io non goda prima di morire nessuna gioia legittima! Ebbene, non avendo figli da me, spero che non mi darai il dolore di averne da altra donna» (p. 253). Nel 1852 il fratello Davide, laureatosi in medicina a Pavia nel settembre del 1849 con una tesi sull’alienazione mentale (dedicata a Giuseppina, che gli aveva pagato gli studi), grazie all’aiuto di Barezzi e dell’editore Ricordi venne nominato medico condotto a Locate, dove si stabilì con la madre e la sorella Barbara: morì nel 1856, lasciando prive di sostegno economico le due congiunte; collocate in un appartamento in Cremona, la madre morì nel 1870 e la sorella nel 1918, dopo aver goduto l’usufrutto di un ampio podere assegnatole da Verdi per testamento nel 1901. Intanto il figlio Camillo, che a Firenze era stato affidato all’amica Livia Zanobini, nel 1849 fu accolto nell’atelier dello scultore Lorenzo Bartolini: esperienza breve, giacché lo scultore morì di lì a cinque mesi. Camillo studiò poi medicina.
A S. Agata Strepponi divenne un modello di cattolica praticante, tanto nell’osservanza dei riti quanto nell’esercizio della carità. La casa, lentamente trasformata in villa da Verdi, fu completata da una cappella consacrata dove venne celebrata regolarmente la Messa. Il matrimonio che legittimò i dodici anni di convivenza fu celebrato il 29 agosto 1859 a Collonges-sous-Salève, nella Savoia allora italiana, con i soli due testimoni, il sagrestano Jean-Pierre Gras e il vetturino che li aveva condotti lì da Ginevra, Louis Mérandon (Carteggio Verdi-Piroli, 2017, I, p. 202). Per pura coincidenza, il 14 novembre successivo, a Roncole di Busseto, nacque Filomena Maria Cristina Verdi, figlia di un Giuseppe Verdi cugino del compositore: il padre di costui, Marco Antonio, era fratello di Carlo, il padre del musicista. A consentire alla coppia l’adozione legale di Filomena, orfana del padre a tre anni, e dal 1867 rimasta sola in seguito al decesso di Carlo che l’aveva presa con sé, fu proprio l’unione consacrata, che aveva valore civile se trascritta nel Comune di residenza; e a tal fine venne registrata a Villanova il 7 aprile 1869 (pp. 195-221). La gioia di avere una figlia legale era però già stata in parte guastata dalla decisione di Verdi di collocarla nel collegio della Provvidenza di Torino (31 gennaio 1869) perché studiasse e diventasse maestra (Filomena tornò poi a S. Agata nel settembre del 1876, e nella cappella si sposò l’11 ottobre 1878 con Alberto Carrara, il figlio del notaio di Verdi).
Furono giorni dolorosi per i due coniugi anche per l’intrusione del soprano Teresa Stolz. Al consorte, che il 2 febbraio 1869 la sollecitava ad assistere alle prove della Forza del destino alla Scala, con Stolz prima donna, Strepponi rispose l’indomani: «Ho ben pensato e non verrò a Milano. Ti risparmierò di venire misteriosamente ad ora di notte alla stazione per farmene scivolare fuori come un involto di merce proibita. [...] Se non mi diverto, non mi espongo almeno ad ulteriori ed inutili amarezze e tu sarai d’altronde completamente à ton aise. [...] Tollera dunque che il mio cuore esacerbato trovi la dignità del rifiuto e Dio ti perdoni l’acutissima ed umiliante ferita che mi hai recata» (G. Marchesi, Verdi - Anni - Opere, Parma 1991, p. 330). Se il rapporto fra le due cantanti fu improntato alla cordialità, ignorando i pettegolezzi riportati anche dalla Rivista indipendente di Firenze nel 1875 (Walker, 1964, pp. 520-523), Strepponi ebbe forti tensioni con Verdi, come si evince dalla minuta datata 21 aprile 1876 dell’ultimo copialettere di Giuseppina: «[...] Io non so se è o se non è... So che dal 1872 vi sono stati da parte tua periodi di assiduità e delle premure che non si possono interpretare da nessuna donna in senso più piacevole. [...] Se è... Finiamo una volta. Sii franco e dillo [...]. Se non è... sii più calmo nelle tue premure [...]. Pensa qualche volta che io, tua moglie, disprezzando le dicerie del passato, vivo anche in questo momento a tre [...]» (ibid., pp. 525 s.).
Morì il 14 novembre 1897, alle ore 16:30, nella villa di S. Agata: da tempo malferma in salute, soccombette a una polmonite. I funerali furono celebrati alle ore 6 nella collegiata di Busseto, senza musica, fiori né discorsi. Raggiunta la stazione ferroviaria di Fiorenzuola a mezzogiorno, la salma partì per Milano: venne sepolta provvisoriamente al Monumentale; morto Verdi, nel febbraio del 1901 fu collocata accanto a lui nella cripta della casa di riposo.
Nelle Collezioni d’arte della Fondazione Cariparma (esposto al Museo di casa Barezzi di Busseto) è custodito il ritratto realizzato da Károly Gyurkovics nel 1835; presso il Museo teatrale alla Scala di Milano il ritratto con lo spartito del Nabucco databile 1845; presso la villa di S. Agata di Villanova un ritratto del 1865 circa.
Fonti e Bibl.: F. Abbiati, Giuseppe Verdi, I-IV, Milano 1959, ad ind.; F. Walker, L’uomo Verdi, Milano 1964, ad ind.; M. De Angelis, Le carte dell’impresario. Melodramma e costume teatrale nell’Ottocento, Firenze 1982, pp. 135-190; J. Rosselli, The life of Verdi, Cambridge 2000, ad ind.; C. Springer, Verdi und die Interpreten seiner Zeit, Wien 2000, ad ind.; E. Rescigno, G. S., in Dizionario verdiano, Milano 2001, pp. 596-600; Il teatro di Donizetti, I, La vocalità e i cantanti, a cura di F. Bellotto - P. Fabbri, Bergamo 2001 (in partic. G. Gualerzi - G. Rampone, G. S. cantante donizettiana, pp. 153-162 ; M. Conati, La svolta degli anni Trenta. Il ‘canto in azione’ (a proposito di G. S.), pp. 277-294); M. Moretti, Giuseppina Verdi Strepponi: documenti, testimonianze, immagini, Lodi 2006 (con documentazione d’archivio sui familiari); M. Jahn, Die Wiener Hofoper von 1810 bis 1836, Wien 2007, ad ind.; M. Beghelli, Ombra di cotanto sole: G. S. dopo Nabucco, in Verdi Nabucco, Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’opera e balletto 2012-13, pp. 118-131; H. Poriss, S., G., in The Cambridge Verdi encyclopedia, a cura di R.M. Marvin, Cambridge 2013, pp. 428 s.; Carteggio Verdi-Piroli, a cura di G. Martini, Parma 2017, ad ind.; C.A. Ellsmore, Verdi’s exceptional women: G. S. and Teresa Stolz, London-New York 2018.