VIZZOTTO ALBERTI, Giuseppe
– Nacque a Oderzo il 29 maggio 1862, figlio di Giovanbattista Vizzotto, pittore e decoratore, così come lo zio e il nonno, e di Filomena Alberti.
Fin dall’inizio il suo talento trovò terreno fertile nell’ambiente domestico: apprese i primi rudimenti dell’arte in famiglia e si formò per breve tempo nell’istituto tecnico del suo paese natale, dove, guidato da Giorgio Martini, padre di Alberto, si distinse conquistando elogi e riconoscimenti (una testimonianza di questo periodo si ritrova nello Studio di gessi, eseguito a quattordici anni). Su richiesta del padre, abbandonò gli studi e lo affiancò nel lavoro per contribuire al sostentamento della famiglia. A riprova delle sue innate doti, esibite nei primi interventi, il Comune di Oderzo decise spontaneamente di concedere al giovane una dote giornaliera di 1,50 lire, incoraggiandolo a sportarsi a Venezia e a iscriversi all’Accademia di belle arti. In città, per far fronte alle spese, iniziò a collaborare, in qualità di disegnatore, con il mobilificio Biasotto e con la tipografia Usigli e Ferrari; all’interno dell’Accademia, dove studiò fra il 1881 e il 1886, seguì il percorso canonico, frequentando anche i corsi speciali di ornato e paesaggio. Nell’istituto guadagnò la stima di Pompeo Marino Molmenti ed emerse fra gli altri allievi con il conseguimento di alcuni premi (si ricorda in particolare quello per la pittura intitolato ad Alberto Cavos fu Catterino, ottenuto nell’anno accademico 1885-86).
Nel 1887 operò ai margini dell’Esposizione nazionale artistica di Venezia, eseguendo alcune tavole per l’Esposizione artistica nazionale illustrata. La prima presenza in un concorso nazionale si registra a Bologna quando, nel 1888, per la prima Grande esposizione emiliana, presentò El gabia creanza. Nelle prime tele, legate all’esperienza dell’Accademia, rivelò la stretta adesione al nuovo linguaggio diffuso in ambito veneziano, seppur modulato con accenti personali e alla ricerca di facili effetti.
Probabilmente a questi anni va ascritta la copiosa produzione di acquerelli che, stando al ricordo della moglie, godettero di notevole successo fra i turisti stranieri che frequentavano la città; gli esempi sopravvissuti includono, secondo la consuetudine, vedute (Pescatori in laguna) o pittoreschi motivi di gusto neosettecentesco (Galanterie del Settecento), trattati con stile corsivo.
Nell’ultimo decennio del secolo, affiancò alle opere su cavalletto le prime importanti imprese pittoriche. Già attivo, secondo le fonti, nel 1888 nella residenza dei baroni di Bauli, vicino a Siracusa, partecipò nel 1891 al concorso per la decorazione del coro della chiesa di S. Maria dei Miracoli a Motta di Livenza. Il suo progetto ebbe la meglio su quello di Lorenzo Rizzi e gli furono affidati gli affreschi nei grandi medaglioni dell’abside: quattro Evangelisti, quattro Profeti maggiori, S. Tommaso d’Aquino e S. Bonaventura.
Sempre nello stesso anno iniziarono i contatti con la Società di Solferino e San Martino, che si concretizzarono con l’intervento nella torre monumentale di San Martino della Battaglia, edificata per celebrare Vittorio Emanuele II in un luogo decisivo nel processo d’unificazione nazionale. L’artista, l’ultimo a essere coinvolto nel progetto, entrò a far parte di un’équipe già attiva nel cantiere, composta da Vincenzo De Stefani, Vittorio Bressanin e Raffaele Pontremoli, e chiamata a decorare le pareti interne della struttura. Peculiarità del ciclo, che doveva riassumere, tramite l’adozione di un episodio famoso, le sette ‘campagne’ che portarono all’indipendenza della nazione, fu la richiesta, da parte dei committenti, di utilizzare la tecnica a encausto. Nella primavera del 1891 Vizzotto Alberti sottopose il bozzetto della Presa di Porta Capuana a Santa Maria di Capua Vetere al parere della commissione incaricata alla valutazione, prima di avviare l’esecuzione del cartone a grandezza naturale. Nell’autunno dello stesso anno si recò a Roma per studiare in Vaticano le uniformi delle truppe pontificie in vista della preparazione della seconda opera, dedicata alla Breccia di Porta Pia, il cui bozzetto fu portato a compimento sul finire dell’anno. La prima scena fu completata entro il 25 luglio 1892, la seconda entro la fine di novembre. Alle spese concorsero enti pubblici e singoli cittadini: la Presa di Porta Capuana fu finanziata dal ministero dell’Interno; la Breccia di Porta Pia dal marchese Medici del Vascello. Nel gennaio del 1893 Vizzotto Alberti raffigurò sulle pareti della torre venti soldati a rappresentare i diversi settori dell’esercito che parteciparono alle guerre d’indipendenza, partendo dagli acquerelli forniti dall’illustratore militare Quinto Cenni.
Il successo degli episodi dipinti nella torre gli garantì una discreta fama, culminata nella nomina a cavaliere, di motuproprio del re Umberto I. Nello stesso giro d’anni prese parte ad alcune principali manifestazioni artistiche: presentò Vespero, Ave Maria e Preludio (Buenos Aires, collezione privata) alla II Esposizione triennale di belle arti a Milano, che si tenne nelle sale del palazzo di Brera nel 1894. L’anno successivo, con Sotto la pioggia (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea), esposto alla prima Biennale di Venezia, guadagnò l’apprezzamento del sovrano, che acquistò il dipinto per le collezioni reali. Analogo successo fu tributato a Il cardo selvatico, acquistato alla LXVI Esposizione amatori e cultori di belle arti di Roma del 1895-96 e poi acquistato dal ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli per la Galleria d’arte moderna e contemporanea di Roma (oggi in deposito presso il Museo d’arte della Città di Ravenna).
Il consolidato riconoscimento pubblico favorì la chiamata di Vizzotto Alberti, nello stesso 1896 e sempre in collaborazione con l’amico De Stefani, per l’impresa nella sala destinata a ospitare le riunioni della delegazione provinciale in Ca’ Corner della Ca’ Granda, sede della Provincia di Venezia. L’incarico fu affidato ai pittori mediante un ufficiale ‘atto di consegna’ stipulato il 16 aprile 1896. Nel contratto era unicamente indicato in linea di massima il progetto decorativo, che doveva correre come un fregio lungo le pareti della sala, senza chiarire a chi spettasse la scelta dei temi, né quali episodi dovessero essere raffigurati. Il soffitto, di cui sopravvive anche il bozzetto ad acquerello (Oderzo, Pinacoteca civica), venne eseguito dal solo Vizzotto Alberti: all’interno del riquadro centrale è raffigurata Venezia protettrice delle arti, dell’industria, dell’agricoltura e delle scienze; la circondano tondi allegorici sui quattro lati – la Giustizia, la Sapienza, il Mare e la Terra –, ognuno dei quali accompagnato da un motto. Il fregio parietale vide coinvolti entrambi i pittori e fu impostato al termine dei lavori del soffitto; rispetto al progetto originario, con la suddivisione delle pareti in sette quadroni, si optò per una processione pubblica, soggetto che ben si adattava alla narrazione continua.
Il fregio, la cui iconografia è dibattuta dalla critica, dovrebbe rappresentare una non meglio precisata Processione dogale davanti al porticato delle Procuratie Vecchie, sulla scorta di evidenti affinità con un’incisione cinquecentesca di Matteo Pagan, oppure la Processione dell’Ascensione del 1480 con il doge Giovanni Mocenigo. Lo stile neorinascimentale rievoca modelli belliniani – il volto del doge derivato dal ritratto di Gentile Bellini conservato al Museo Correr – o le processioni affollate di personaggi in rigida successione dei cicli eseguiti per le confraternite e le figure dei paggi di evidente reminiscenza carpaccesca. Nelle intenzioni dei committenti, l’intervento pittorico si sarebbe dovuto estendere a una seconda sala, come testimonierebbe la presenza a Oderzo (Pinacoteca civica) di un bozzetto dell’artista elaborato in previsione di un nuovo ciclo.
L’impresa suscitò grande scalpore e parecchi apprezzamenti nella pubblicistica dell’epoca. In particolare, la critica differenziò il fregio parietale dagli encausti del soffitto e restò solamente perplessa di fronte alla velocità d’esecuzione.
La rapidità dei lavori a Ca’ Corner, durati effettivamente solo cinque mesi, non intralciò l’attività espositiva di Vizzotto Alberti; presente con Nubi vaganti alla Festa dell’arte e dei fiori di Firenze (1896-97), ritornò alla Biennale, avviando con l’ente veneziano un proficuo e costante rapporto, segnato tuttavia, soprattutto all’inizio del Novecento, dagli screzi con il segretario generale Antonio Fradeletto. Ancora, inviò all’Esposizione di Torino del 1898 Il canto della sera e a Monaco, nel 1901, Autumnalia. La successione dei titoli dimostra la dimestichezza del pittore nella trattazione di un ampio ventaglio di temi, dai motivi più smaccatamente popolareschi alle canoniche riprese di Venezia e del suo estuario, fino alla ritrattistica e ai soggetti religiosi. Vizzotto Alberti sviluppò un proprio particolare stile che, pur debitore dei maestri più apprezzati, non sempre ottenne il plauso della critica: Vittorio Pica, nel 1899, lo descriveva come «pennello robusto ma alquanto rude» (p. 128); Luigi Pirandello (1895, 2006), alternò elogi e critiche al cardo selvatico e riservò sinceri apprezzamenti all’«impressione di luce» di Nubi vaganti (p. 162). La sua produzione, comunque, riscosse un certo successo anche fra il pubblico, e la sua Bassa marea, acquistata dall’imprenditore Sante Giacomelli, fu una delle poche opere vendute all’Esposizione regionale di Udine del 1903.
Con l’opera Sirene e procellarie (presentata alla Biennale del 1907 ma dipinta nel 1905) Vizzotto Alberti tentò un’incursione in ambito simbolista, sulla scorta del successo del genere. L’eclettismo stilistico e tematico ebbe un preciso riflesso anche nelle imprese decorative a cavallo del secolo (Pavanello, 2003, p. 479). Il linguaggio floreale di fine Ottocento esibito nei lavori per l’albergo Italia, poi Bauer, trovò massima espressione nel cantiere prettamente liberty della villa dell’imprenditore Andrea Antonini a Crocetta sul Piave, distrutta dagli eventi del primo conflitto mondiale, nella quale affrescò alcuni ambienti, tra cui la sala da pranzo (di cui sopravvive nella Pinacoteca civica di Oderzo un acquerello dell’impianto ornamentale, ispirato a motivi legati alla caccia). Verso la fine del primo decennio del Novecento, impresse al proprio linguaggio una svolta di carattere neosettecentesco, evidente nel soffitto della Banca d’Italia e nei progetti per il soffitto di palazzo Grassi, su commissione della famiglia Stucky.
Nel 1911 l’artista fu chiamato in occasione dell’Esposizione nazionale che si tenne a Roma per celebrare il cinquantenario dell’unificazione. Nella sala della Nave all’interno del padiglione Veneto, un ambiente ideato dal conte Piero Foscari e volto a celebrare l’ininterrotto rapporto tra Venezia e il mare, dipinse, coadiuvato dal fratello Enrico, soggetti che celebravano il dominio militare e commerciale della città: Le espansioni commerciali e coloniali di Venezia e Venezia navale vittoriosa in guerra.
Sono molte le fonti che assegnano a Vizzotto Alberti varie decorazioni fra l’Italia e l’estero. Nel suo necrologio sulla Gazzetta di Venezia (1931) sono menzionati interventi a Roma – a palazzo Chigi e nella chiesa di S. Ignazio di Loyola, da mettere forse in relazione con il periodo che trascorse nella capitale come sfollato di guerra – e a Nizza (studi per le pareti e i soffitti dei palazzi della Prefettura e dei Regnanti, databili al 1903-04, si conservano nella Pinacoteca civica di Oderzo); è certa, invece, la sua presenza in palazzo Ravagnan a Chioggia nel 1912 e quella nella parrocchiale di San Polo di Piave (1914), distrutta nel corso della prima guerra mondiale.
Il secondo decennio del secolo fu funestato da un grave problema oculare che lo costrinse a subire cinque operazioni; la malattia non interruppe la sua attività, ma inevitabilmente la segnò. Nelle tele proposte in occasione delle ultime partecipazioni alla Biennale (dal 1920 al 1926) è stato ravvisato un senso di inquietudine, ma anche una stanca ripetitività di modelli, descritta da Francesco Sapori come «blanda e riposata ricerca» (1920, p. 36).
Va segnalata, infine, l’attività di Vizzotto Alberti come cartellonista, che lo portò a ideare alcuni manifesti; si ricorda, tra gli altri, quello per il Comitato per le feste d’estate di Venezia nel 1891 (Milano, Civica Raccolta di stampe A. Bertarelli).
Morì a Venezia il 1° dicembre 1931.
Un mese dopo la sua scomparsa ricevette la nomina, honoris causa, a membro dell’Accademia filologica italiana. Con l’esposizione nel 1932 di Al Malcanton e Bragozzo per la retrospettiva «Trent’anni di arte veneziana» e di tre suoi lavori alla «Mostra dei quarant’anni della Biennale», nel 1935, l’ente veneziano gli tributò un ultimo omaggio.
Fonti e Bibl.: L. Pirandello, Esposizione di Belle Arti a Roma del 1895-1896, in Il giornale di Sicilia, 3 ottobre 1895 (ora in Id., Saggi e interventi, a cura di F. Taviani, Milano 2006, p. 162); L. Rocco, Motta di Livenza e suoi dintorni. Studio storico, Treviso 1897, p. 508; V. Pica, L’arte mondiale a Venezia nel 1899, Bergamo 1899, p. 128; F. Sapori, La dodicesima Esposizione d’arte a Venezia - 1920, Bergamo 1920, p. 36; La morte del pittore G. V. A., in Gazzetta di Venezia, 2 dicembre 1931, p. 17; Cenni biografici del compianto G. V. A. raccolti dalla compagna della sua vita: Amalia nob. Spinola, Venezia 1936; G. Pavanello, Il «sontuoso edificio eretto da ricchissimi mercanti», in G. Romanelli - G. Pavanello, Palazzo Grassi. Storia architettura decorazioni dell’ultimo palazzo veneziano, Venezia 1986, p. 191 nota 12; P. Campopiano, G. V.A. (1862-1931). La vita e l’opera, Treviso 1998 (con ampia bibliografia); V. Gransinigh, L’esposizione regionale del 1903, in Le arti a Udine nel Novecento (catal., Udine), a cura di I. Reale, Venezia 2000, p. 59; A. Forni, V.A., G., in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, II, a cura di G. Pavanello, Milano 2003, p. 844; G. Pavanello, La decorazione degli interni, ibid., pp. 421-498; I. Reale, G. V.A., in Ottocento veneto. Il trionfo del colore (catal)., a cura di G. Pavanello - N. Stringa, Treviso 2004, p. 425; E. Querci, L’arte veneta all’Esposizione romana del Cinquantenario nel 1911: il Padiglione regionale e la mostra di Belle Arti, in 1911: Le Arti in Friuli e Veneto, a cura di C. Beltrami, Treviso 2011, p. 40; Gli affreschi di San Martino della Battaglia. Il Risorgimento dipinto nel ciclo della Gran Torre, a cura di S. Regonelli, Torino 2011; P. Lucchi - A. Pietropolli, Ca’ Corner la Ca’ Granda. Itinerario tra ieri e oggi, Venezia s.d. (2016 circa).