MARVUGLIA, Giuseppe Venanzio
– Nacque a Palermo il 6 febbr. 1729, nel quartiere del Capo, dal capomastro Simone (citato in alcuni documenti anagrafici anche come Imbarbuglia, Barbuglia, Vuarguglia, Immarvuglia) e Francesca Mazzarella. Sesto di undici figli, secondo i suoi biografi (Bozzo; Gallo) sin dalla giovane età lavorò nella bottega del padre e si dedicò allo studio della matematica e dei monumenti classici siciliani. Nel 1755 si recò a Roma per completare il suo apprendistato professionale per poi tornare a Palermo nel 1760 (Palazzotto, 2007).
L’apprendistato romano fu basilare per il suo percorso formativo: ne è testimone la raccolta di disegni conservati nell’Archivio Palazzotto di Palermo, 170 fogli in cui vi sono rilievi di monumenti dell’antichità e di architettura cinquecentesca e parte della sua attività progettuale.
Nel 1758 partecipò al concorso Clementino di prima classe dal titolo «Gran piazza con portico per monumenti commemorativi e sala per pubbliche riunioni», in cui si classificò secondo, dietro lo scozzese R. Mylne, suo amico e collaboratore, dimostrando grande conoscenza degli orientamenti stilistici del mondo accademico, del Cinquecento romano e dei modelli dell’architettura antica. Al suo rientro a Palermo fu subito richiesto dalla committenza laica e religiosa, conquistandosi grande notorietà. I padri filippini lo incaricarono di ridefinire l’interno della chiesa di S. Ignazio e di progettare l’altare maggiore, inserendo dettagli decorativi neoclassici all’interno della preesistente complessa articolazione barocca. Il progetto dell’oratorio dell’Olivella, affiancato al convento medesimo, è del 1763.
Il M. arretrò il prospetto rispetto all’ingresso della chiesa definendolo con elementi semplificati dell’architettura barocca. L’interno dell’aula è di forma ottagona, definito da un peristilio corinzio che sostiene la volta cassettonata.
Negli stessi anni intervenne, nell’ambito di un progetto di ristrutturazione e ampliamento, nell’ammodernamento del convento benedettino di S. Martino delle Scale. Subentrò a G. Maggiordomo tra il 1766 e il 1768 nei lavori della libreria; nel 1772 venne incaricato del progetto e della direzione dei lavori del nuovo dormitorio e dell’ammodernamento dell’abbazia; inoltre, probabilmente, definì l’opera completando la facciata esterna sul chiostro di clausura.
L’integrazione del nuovo corpo di fabbrica con quello barocco si risolve con un’originale copertura del corridoio, costituita da un conoide che raccorda, senza soluzione di continuità, l’arco ribassato preesistente con quello a tutto sesto del nuovo corpo (Capitano, 1997); mentre il prospetto della nuova ala si carica di connotati neoclassici in virtù della ritmica scansione del prospetto (Sessa, 1989).
Il 28 ott. 1767 sposò Concetta Gallo da cui ebbe nove figli: il primogenito Alessandro Emanuele (1771-1845) lo avrebbe seguito nell’attività professionale, collaborando attivamente con lui ed ereditandone i cantieri.
Dal 1766, attraverso i documenti che attestano la sua soprintendenza alla fabbrica per lavori di manutenzione, si registra la presenza del M. nella costruzione della villa Notarbartolo di Villarosa a Bagheria.
La villa, il cui prospetto è dominato da un pronao ottastilo, nel suo insieme ricerca l’armonia compositiva e la semplicità delle forme, segnando il passaggio dal gusto barocco alla sobrietà neoclassica.
Nel 1772 fu incaricato, probabilmente con il fratello Salvatore, sacerdote e architetto (1735-1802), del progetto della chiesa di S. Francesco di Sales.
L’intervento, sul complesso preesistente sin dal 1735, tende a definire una configurazione spaziale dell’aula attraverso paraste che ripartiscono la volta a botte lunettata, richiamate anche nel rigoroso prospetto, delimitato da un timpano.
Nel corso dei lavori, tra il 1772 e il 1776, fu chiamato più volte a esprimere il suo parere sui lavori che si stavano eseguendo all’albergo dei poveri, sul fronte opposto della strada; cinque anni dopo venne affidata al M., insieme con G.B. Cascione, la realizzazione della cupola della chiesa. Nello stesso periodo intervenne nelle opere di sistemazione dell’interno della chiesa di S. Ninfa dei Crociferi, progettando il sarcofago per G. Giurato. Nei primi anni Ottanta, secondo i suoi biografi, rielaborò i palazzi Belmonte e Geraci: se nel primo l’intervento fu probabilmente limitato, nel palazzo Geraci è ben evidente la mano del M. nel cortile, nello scalone e nel portone d’ingresso, così come si trovano tracce della sua presenza nei palazzi Coglitore e Conte Federico. Dal 1780, fino al 1805, fu docente presso la cattedra di architettura dell’Accademia degli studi.
I principî fondanti della sua opera e del suo pensiero trovarono espressione negli Elementi di architettura, una trascrizione delle sue lezioni a opera dell’allievo P. Trombetta nel 1782, e nel suo Trattato di architettura civile rimasto manoscritto e incompiuto (Gallo).
Dal 1781 fu chiamato, quale direttore dei lavori, per la realizzazione della cupola della cattedrale di Palermo, secondo il progetto di F. Fuga, nel quale bisognava integrare in un edificio medievale un sistema di copertura fortemente innovativo. Il M., coadiuvato dall’ingegner S. Attinelli e da P. Ranieri, architetto del Senato dal 1779 al 1815, sarebbe diventato l’indiscusso protagonista del cantiere lavorando alla realizzazione dell’opera sino al 1801, anno di riapertura della basilica. Nello stesso anno progettò il rivestimento esterno della cupola in stile neogotico. Il progetto è sovente attribuito al figlio Alessandro Emanuele, reduce da un apprendistato romano e napoletano (Palazzotto, 2007). Dal 1785 al 1814 fu architetto della Deputazione dell’albergo dei poveri, sostituendo O. Fumetto, e si occupò della direzione dei lavori dell’intera fabbrica progettando inoltre, nel 1802, la fontana dei Gifi, di fronte l’ingresso principale. Nel 1787 fu chiamato a Caltagirone, dove eresse il campanile della chiesa di S. Maria del Monte, la cui direzione lavori fu però affidata a N. Bonaiuto (Comandè). Da Caltagirone si trasferì a Randazzo, presso il real amministratore G. Anastasio, per risolvere il secolare problema del completamento della chiesa di S. Maria (Virzì, p. 32).
Il progetto, come per il duomo di Palermo, prevedeva di ricavare la crociera abbattendo una colonna per lato e i rispettivi archi della navata centrale e di realizzare i piloni d’appoggio per sostenere una cupola maestosa affiancata da due cupole minori per le cappelle laterali. I lavori furono iniziati nel 1790 e proseguirono fino al 1798 sotto la direzione dell’architetto B. Gullo, poi sostituito da D.E. Incardona e infine da G. Troisi che portò a termine la costruzione della cupola nel 1803.
L’attività del M. continuò incessante e, tra il 1788 e il 1790, progettò la costruzione del palazzo del duca Notarbartolo a Palermo portandola a compimento.
La presenza di L. Dufourny, in Sicilia tra il 1788 e il 1793, fu per il M. un’ulteriore occasione di scambio di conoscenze ed esperienze. Il francese progettò, all’interno dell’orto botanico di Palermo, il gymnasium neodorico, considerato la prima architettura «filologicamente» neoclassica in Sicilia; e sono probabilmente del M. le due stufe affiancate all’edificio in stile neoclassico. Nei primi anni Novanta il M. fu chiamato a rielaborare il palazzo Costantino, costruito sull’importante asse viario della strada Nuova da A. Gigante.
Nel palazzo si individuano i caratteri fortemente neoclassici degli pseudocolonnati ionici della corte interna, così come lo schema compositivo del portale d’ingresso, ad arco trionfale, come in palazzo Geraci, composto da tre fornici d’ingresso, due laterali pedonali, mentre il centrale è affiancato da due colonne che reggono il balcone sovrastante.
Le opere degli anni Novanta segnano una «svolta progettuale» nella carriera del Marvuglia. Risale a quegli anni la realizzazione di una singolare casina di delizie «alla cinese» per il barone B. Lombardo della Scala.
L’edificio era definito da una pianta rettangolare tripartita su due livelli; mentre l’esterno, realizzato con strutture lignee (pilastri, travi e controventature), veniva caratterizzato fortemente da tetti a pagode. Quando Ferdinando IV di Borbone (Ferdinando III in Sicilia) nel 1798 giunse a Palermo, diede incarico a Giuseppe Reggio, principe di Aci, e a Giovan Battista Asmundo Paternò di acquistare alcuni siti di campagna nella piana dei Colli, tra cui la casina del barone Lombardo, per realizzare il parco della Real Favorita all’uso di luogo di delizia. Il M., nominato architetto dei «reali siti di campagna», si sarebbe occupato delle proprietà reali sino al 1802. Riprogettò la casina, modificando le strutture e le coperture, applicando, attraverso l’uso di rapporti matematici semplici, la regola che aveva illustrato nel 1782 nei suoi Elementi di architettura. Modificò poi l’assetto stereometrico dell’edificio, pur mantenendo la struttura muraria esterna: sostituì le pagode dei corpi laterali con ampie terrazze, mentre nel corpo centrale più elevato collocò un corpo di fabbrica ottagonale, la cosiddetta «specola» o «sala dei venti» coperta da una pagoda. L’esterno fu definito da un apparato decorativo senza soluzioni di continuità che simulava tende e impalcati cinesi. Per i Borbone si occupò anche della casina di Misergrandone nel feudo di Renda, intervenendo nel prospetto principale, aggiungendo un portico a piano terra e rielaborando i tre portali del primo piano (restauro dal 1799 al 1802), e del casino di Ficuzza, progettato da C. Cenchi, in cui diresse i lavori nel 1803 e apportò delle varianti al progetto con la collaborazione di N. Puglia.
Nel 1798 fu il primo progettista della ricostruzione della chiesa di S. Maria La Nova a Scicli, per il rifacimento della parte absidale dell’edificio settecentesco e la trasformazione delle strutture dell’aula centrale e della facciata. Il suo progetto però non ebbe seguito e l’architetto fu sostituito presto da E. Cardona (Nifosì). Negli stessi anni il M. fu impegnato nella costruzione della villa Belmonte all’Acquasanta sul monte Pellegrino.
Epilogo magniloquente dello stretto rapporto con il fondatore G.E. Ventimiglia, principe di Belmonte, la cui vocazione europeista potrebbe spiegare la stretta aderenza della fabbrica al nuovo linguaggio stilistico internazionale. I suoi caratteri, nettamente neoclassici, configurano un edificio tipologicamente assimilabile al palazzo-villa. Lo schema progettuale si allontana così dalle ville barocche per rapportarsi a uno stile internazionale neopalladiano proprio del tardo Settecento.
Il 2 marzo 1805, su proposta di Dufourny, il M. venne eletto socio straniero nella classe delle belle arti dell’Institut de France (Capitano, 1984, p. 17).
Fu decisivo, nel 1808, il suo intervento sulla questione della ricostruzione della «palazzata» di Messina distrutta dal terremoto del 1783 e ancora non risolta.
Il M., incaricato di riferire sulle due soluzioni proposte, l’una da F. Sicuro e A. Faustini e l’altra da G.F. Arena, G. Minutoli e A. Tardì, portò avanti una terza via che teneva conto sia degli accorgimenti di Sicuro, sia della soluzione di Minutoli e Tardì. Con firma congiunta definì dunque un progetto che auspicava l’utilizzo dell’ordine gigante colonnato «di come si usava in quelli bei secoli degl’imperatori romani» (Arch. di Stato di Palermo, R. Segr., Inc., b. 5395, cc. n.n., relazione finale del M., datata Palermo, 13 ag. 1808). Negli ultimi anni della sua vita il M. volse i suoi interessi anche verso la conservazione delle antichità classiche: nella Dichiarazione delle tavole del tempio di Segesta (rimasta inedita) emerge la sua attenzione per i monumenti e la metodologia più opportuna per evitare di danneggiare irreparabilmente le opere antiche (Capitano, 1997).
Il M. morì a Palermo il 19 dic. 1814 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria del Gesù dei padri riformati.
Fonti e Bibl.: Palermo, Biblioteca centrale della Regione siciliana, Mss., XV-H-20, n. 2: A. Gallo, Notizie di artisti siciliani, s.d. (ma 1865), cc. 669r-670; L. Dufourny, Relazione sulla vita e le opere di M. architetto… (1805), in V. Capitano, G.V. M., I, Palermo 1984, pp. 13-30; G. Bozzo, Le lodi dei più illustri siciliani…, I, Palermo 1851, ad ind.; S. Caronia Roberti, V. M., Palermo 1934; G.B. Comandè, G.V. M., Palermo 1958; A. Maniglio Calcagno, Contributo allo studio di G.V. M., in Quaderno. Università degli studi di Palermo. Facoltà di architettura. Istituto di elementi di architettura e rilievo dei monumenti, 1967, nn. 10-11, pp. 42-44; A. Cottone, L’insegnamento pubblico dell’architettura a Palermo nel periodo preunitario, in Vittorio Ziino architetto e scritti in suo onore, a cura di G. Caronia, Palermo 1982, pp. 323-342; V. Capitano, G.V. M. architetto, ingegnere, docente, I-III, Palermo 1984-89; S.C. Virzì, La chiesa di S. Maria di Randazzo, Catania 1985, pp. 30-32; V. Capitano, I disegni e i rilievi di G.V. M. nell’Archivio Palazzotto, in XY Dimensioni del disegno, 1988, nn. 6-7, pp. 47-60; Touring Club italiano, Guida d’Italia, Sicilia, Milano 1989, ad ind.; E. Mauro, Una casina cinese per Ferdinando III, in G. Pirrone, Palermo, una capitale. Dal Settecento al liberty, Milano 1989, pp. 28-35; E. Sessa, Neoclassico e neogotico, ibid., pp. 18-21; C. Bellanca, G.V. M. a S. Martino delle Scale, in L’abbazia di S. Martino: storia-arte-ambiente. Atti del Convegno… 1990, a cura di A. Lipari, Palermo 1990, ad ind.; M. Giuffrè, Classicismo e neoclassicismo nell’opera di G.V. M., in Ricordo di Roberto Pane. Incontro di studi, Napoli 1991, pp. 298-304; P. Palazzotto, Il fondo Marvuglia in un archivio privato di Palermo, in Il disegno di architettura, 1992, n. 5, pp. 31-34; M. Giuffrè, Il cantiere della cattedrale di Palermo da F. Fuga a E. Palazzotto, in La cattedrale di Palermo, a cura di L. Urbani, Palermo 1993, pp. 255-264; E. Mauro, in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, I, Palermo 1993, pp. 289-294; M. Giuffrè, Il mito della cupola: progetti siciliani tra Settecento e Novecento, in I disegni d’archivio negli studi di storia dell’architettura. Atti del Convegno… 1991, a cura di G. Alisio et al., Napoli 1994, pp. 189-196; V. Capitano, Gli interventi di G.V. M. nelle preesistenze architettoniche, in M. Giuffrè, L’architettura del Settecento in Sicilia, Palermo 1997, pp. 231-242; P. Nifosì, La chiesa di S. Maria la Nova. Scicli, ibid., pp. 285-296; E. Mauro, La folie chinoise in Sicilia nella prima metà dell’Ottocento. La casina cinese di G.V. M., in L’orientalismo nell’architettura italiana tra Ottocento e Novecento. Atti del Convegno... Viareggio... 1997, a cura di M.A. Giusti - E. Godoli, Siena 1999, pp. 233-244; M. Giuffrè - E.H. Neil - M.R. Nobile, Dal Viceregno al Regno. La Sicilia, in Storia dell’architettura italiana. Il Settecento, a cura di G. Curcio - E. Kieven, Milano 2000, pp. 312-347; E. Dotto, La libreria di S. Martino alle Scale. Ridisegno degli interventi di G.B. Amico, G. Maggiordomo, G.V. M., San Martino delle Scale 2001; A.M. Oteri, Riparo, conservazione, restauro nella Sicilia orientale o del «diffinitivo assetto» 1860-1902, Roma 2002, pp. 123-129; E. Sessa, Le chiese di Palermo, Palermo-Roma 2003, pp. 55-61, 165s., 188, 214-216; M. Giuffrè, Architetti e architetture nel Diario palermitano di Léon Dufourny, in Arti a confronto. Studi in onore di Anna Maria Matteucci, a cura di D. Lenzi, Bologna 2004, pp. 365-372 tavv. CXVIII-CXXI; Id., Roma e Napoli nella formazione degli architetti siciliani tra XVIII e XIX secolo, in Architettura e territorio nell’Italia meridionale tra XVI e XX secolo. Scritti in onore di Giancarlo Alisio, a cura di M.R. Pessolano - A. Buccaro, Napoli 2004, pp. 285-298; F.P. Campione, La cultura estetica in Sicilia nel Settecento, in Fieri. Annali del Dipartimento di filosofia storica e critica dei saperi dell’Università di Palermo, II (2005), pp. 94-97; T. Manfredi, La generazione dell’antico. Giovani architetti d’Europa a Roma: 1750-1780 (parte prima), in Architetti e ingegneri a confronto: l’immagine di Roma fra Clemente XIII e Pio VII, a cura di E. Debenedetti («Studi sul Settecento romano», 22), Roma 2006, pp. 33-73; P. Palazzotto, I disegni dall’antico di G.V. M., in Contro il barocco. Apprendistato a Roma e pratica dell’architettura civile in Italia 1780-1820 (catal.), a cura di A. Cipriani - G.P. Consoli - S. Pasquali, Roma 2007, pp. 71-80; M. Giuffrè, Palermo e la Sicilia, ibid., pp. 291-306; P. Palazzotto, Alessandro Emanuele Marvuglia, ibid., pp. 438-446; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 188 s.