VELLA, Giuseppe
– Nacque a Malta nel 1749, quarto e ultimo figlio di Gaetano, orologiaio al servizio di Manuel Pinto de Fonseca, gran maestro dell’Ordine gerosolimitano.
Studiò teologia presso il convento dei frati predicatori e nel 1762 entrò nell’Ordine di S. Giovanni come cappellano dell’obbedienza. Molte delle notizie precedenti all’arrivo di Vella a Palermo sono frutto di sue affermazioni, alcune delle quali rilasciate in sede processuale, e non trovano riscontro in altre fonti: prima fra tutte il suo precoce interesse per le lingue orientali e in particolare per l’arabo, che avrebbe iniziato a studiare a Malta e proseguito a Roma alla scuola degli Assemani, famiglia di orientalisti di origine libanese operante all’interno del collegio Maronita. Allo stesso modo va giudicata la notizia della spedizione che egli asserì di avere svolto per sette anni in Palestina, Egitto e negli Stati barbareschi.
Vella giunse a Palermo nei primi mesi del 1780 in qualità di beneficiario di un legato testamentario; munito di lettere credenziali del gran priore dell’Ordine gerosolimitano Giovan Domenico Mainardi, che gli consentirono di entrare in contatto con alcuni membri dell’aristocrazia siciliana, nei primi tempi della sua permanenza nell’isola svolse anche attività commerciale su procura del conte Lorenzo Fontani, intendente del gran maestro Emmanuel de Rohan-Polduc.
Al di là dei dati non veritieri inseriti successivamente nel suo cursus studiorum, Vella ebbe di certo una conoscenza di base dell’arabo parlato, sebbene infarcito di colloquialismi dal maltese: nel dicembre del 1782 fu nominato dal viceré Domenico Caracciolo interprete e accompagnatore dell’ambasciatore marocchino Muḥammad Ibn ‘Uthmān al-Miknāsī, sbarcato a Palermo di ritorno da una spedizione diplomatica a Napoli. A seguito di tale incarico ebbe modo di conoscere monsignor Alfonso Airoldi, presidente del tribunale di Regia monarchia e Apostolica legazia, membro influente della Deputazione de’ Regi studi e cultore della storia di Sicilia. Per entrare nelle grazie del potente prelato, qualche tempo dopo Vella finse il ritrovamento, presso la biblioteca del monastero di S. Martino alle Scale, di un documento di straordinaria importanza, che avrebbe dato modo di indagare le vicende della dominazione saracena dell’isola, sulla quale si avevano solo scarse e incerte notizie a causa della distruzione di gran parte delle fonti coeve.
Ebbe così inizio uno dei casi più clamorosi di falsificazione documentale dell’Europa settecentesca, passata alla storia come l’arabica impostura. Confidando nell’ignoranza dell’arabo da parte di Airoldi, Vella si appropriò di un manoscritto contenente brevi racconti sulla vita di Maometto – chiamato di lì in avanti Martiniano, dal nome del luogo dove era conservato – spacciandolo per un registro della Cancelleria araba di Sicilia, compilato verso la fine del X secolo e contenente la corrispondenza intercorsa dall’827, anno della conquista dell’isola, tra gli emiri di Sicilia, i mulei aghlabiti dell’Africa e i sultani fatimidi d’Egitto. Dal momento che il suo obiettivo era la ricostruzione dell’intera epoca della dominazione araba, Vella finse prima il ritrovamento, all’interno dei fondi di S. Martino alle Scale, di una seconda parte del registro e, successivamente, di aver ricevuto dall’ambasciatore marocchino alcune trascrizioni di ulteriori supplementi, copiate da un codice custodito presso la biblioteca di Fes.
Nel 1784 Vella diede inizio alla stesura di un testo che avrebbe presentato come la traduzione del manoscritto, ma che invece fu composto a partire dalle poche notizie riportate dalla storiografia siciliana di età moderna e con l’ausilio di numerose altre fonti, anche grazie alle indicazioni dategli in buona fede dallo stesso Airoldi, assuntosi il ruolo di curatore dell’opera: all’invenzione letteraria Vella affiancò la creazione di false monete e di pseudotrascrizioni in lingua araba, grazie alla complicità di un suo connazionale, il frate francescano Giuseppe Camilleri. Per impedire ad altri di accedere al manoscritto e di smascherare la frode, Vella alterò i caratteri del Martiniano fino a renderli illeggibili: il risultato fu una scrittura del tutto nuova, di carattere pseudoarabico, che il falsario fece passare per una variante indigena dell’arabo, battezzata mauro-sicula. Nel 1785 il falsario fu ricompensato con l’elezione a docente di lingua araba presso i Regi studi di Palermo e più tardi con la nomina a socio nazionale della Reale Accademia di scienze e belle lettere di Napoli.
Dopo la circolazione delle prime traduzioni, nei circuiti degli orientalisti italiani ed europei ebbe inizio un acceso dibattito sull’autenticità del manoscritto, che non si sarebbe concluso nemmeno con la pubblicazione dell’opera. Di gran lunga più numerosi furono i sostenitori di Vella che, in buona fede, ne avallarono le false traduzioni: tra di essi, oltre ad Airoldi, l’orientalista danese Oluf Gherard Tychsen, il numismatico Gabriele Lancillotto Castelli principe di Torremuzza, l’erudito Salvatore Maria di Blasi e suo fratello Giovanni Evangelista, regio storiografo di Sicilia. Pochi furono gli scettici e i dubbiosi: il numismatico e archeologo Jean-Jacques Barthélemy, gli orientalisti Joseph de Guignes, Jacob Georg Christian Adler e Simone Assemani, il prefetto degli Archivi Vaticani Gaetano Marini. Ci si accorse subito di trovarsi di fronte a un falso conclamato fu il canonico palermitano Rosario Gregorio, futuro docente di diritto pubblico siculo e membro eminente dell’entourage di Airoldi, che individuò negli errori cronologici e nelle incongruenze stilistiche, linguistiche, storiche e culturali delle traduzioni velliane i più forti elementi di sospetto.
Nel 1789 vide la luce il primo tomo del Codice diplomatico di Sicilia sotto il governo degli arabi (Palermo, Reale Stamperia, 1789-1792, in sei volumi), pubblicato per opera e studio di Alfonso Airoldi, che scrisse le prefazioni ai volumi e le note al testo: una mastodontica opera pseudostorica di più di tremila pagine, all’interno della quale il falsario si tolse il gusto di inserire incisioni di monete mauro-sicule di sua invenzione e persino alcune false lettere pontificie del X secolo scritte in una sorta di volgare siciliano.
Nel 1791 Vella ottenne il ricco beneficio abbaziale di S. Pancrazio in Mistretta: nel giro di pochi anni, l’intraprendente prete maltese era così riuscito a raggiungere una posizione invidiabile, economicamente e socialmente, tra i ceti colti della capitale siciliana. Questo non pose però fine alla sua attività di impostore. Dopo aver diffuso nel 1787 la notizia del ritrovamento dei libri perduti delle Storie di Tito Livio in traduzione araba, ben presto ritrattata, negli stessi anni annunciò di aver ricevuto dal Marocco un nuovo manoscritto: un carteggio tra i conquistatori normanni dell’isola – Ruggero d’Altavilla, Roberto il Guiscardo e Ruggero II di Sicilia – e i califfi d’Egitto, contenente alcune leggi in grado di mutare radicalmente la fisionomia della feudalità in senso marcatamente regalistico. In questo caso non si trattava però di un’iniziativa autonoma del maltese: il nuovo falso, di cui il primo volume fu pubblicato nel 1793 a Palermo con il titolo Libro del Consiglio di Egitto, gli era stato commissionato da Francesco Carelli, segretario del viceré, allo scopo di fornire ai giuristi del governo un’arma formidabile nello scontro con il baronato. Per il servizio reso, Vella fu ricompensato con una pensione annua di 100 onze sui fondi dell’arcivescovato di Palermo.
Le proteste dell’aristocrazia siciliana indussero John Acton, primo segretario di Stato, a inviare in Sicilia l’arabista Joseph Hager affinché valutasse l’autenticità dei codici tradotti da Vella. Giunto a Palermo nel dicembre del 1794, Hager esaminò manoscritti e traduzioni con l’aiuto di Rosario Gregorio e il 9 febbraio 1795 presentò al sovrano una relazione in cui dichiarava la falsità di entrambe le opere. Con effetto immediato fu ordinato alla Stamperia reale di bloccare l’edizione del secondo volume del Libro del Consiglio di Egitto, che in quel momento si trovava sotto il torchio. Il 1° settembre 1796 una seconda expertise, firmata dall’orientalista Germano Adami, arcivescovo di Aleppo, avrebbe confermato tale giudizio.
Dopo un’iniziale resistenza, tradotto nelle carceri della Vicaria e sottoposto a tortura il falsario finì per confessare: la sentenza del tribunale di Regia monarchia presieduto da Alfonso Airoldi, emessa il 6 febbraio 1796, lo condannò a quindici anni di reclusione; il 29 agosto la pena fu confermata in seconda istanza dal tribunale del Concistoro e il 1° ottobre dalla Gran Corte criminale e cause delegate.
Nel 1799 Vella fu scarcerato per ragioni di salute e gli fu concesso di scontare la pena restante nella sua casa di Mezzomonreale, nei pressi di Palermo, dove morì nel maggio del 1814.
Fonti e Bibl.: I documenti relativi ai processi si trovano nell’Archivio di Stato di Palermo, Real Segreteria, Incartamenti, b. 5291; Miscellanea archivistica, s. II, nn. 1-2. Si vedano anche Palermo, Biblioteca comunale, 3Qq E 15: i memoriali Esposto di verità umiliato al Real Trono dal sacerdote Giuseppe Vella […] che contiene un ragguaglio storico, e la di lui giustificazione e Ragionamento in difesa del Sacerdote Giuseppe Vella Abate di S. Pancrazio. Il manoscritto noto come Martiniano è oggi conservato a Palermo, Biblioteca regionale, III.D.1. Di grande interesse anche le prime cronache manoscritte sull’arabica impostura: Padova, Accademia Galileiana, b. XIV, 550: S. Assemani, Ragguaglio sui codici e monete saraceniche pubblicate in Sicilia a spese Regie dal Sig.r Abate Giuseppe Vella maltese professore di Lingua Arabica nell’università di Palermo, 26 aprile 1796; Palermo, Biblioteca comunale, Mss., Qq.E.110, n. 5: F.M. Emanuele e Gaetani marchese di Villabianca, Del Cagliostro di Malta passato in Palermo, e quivi resosi autore della Peste Velliana letteraria. Le vicende dell’abate Vella hanno ispirato il romanzo di Leonardo Sciascia, Il Consiglio d’Egitto, Torino 1963.
J. Hager, Nachricht von einer merkwürdigen litterarischen Betrügerei: auf einer Reise nach Sizilien im Jahre 1794, Leipzig-Erlangen 1799 (cfr. anche l’ed. francese, riveduta e aggiornata: Relation d’une insigne imposture litteraire decouverte dans un vojage fait en Sicile en 1794, Erlangen 1799); D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, III, Palermo 1827, pp. 296-383; B. Lagumina, Il falso codice arabo-siculo della Biblioteca nazionale di Palermo, in Archivio storico siciliano, n.s., V (1880), pp. 232-314; S. Pellegrini, G. V. e i suoi falsi documenti d’antichissimo volgare, in Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, III (1955), pp. 299-304; A. Baviera Albanese, Il problema dell’arabica impostura dell’abate Vella, in Nuovi quaderni del Meridione, I (1963), pp. 395-428; C.M. Cederna, Imposture littéraire et stratégies politiques: Le Conseil d’Égypte des Lumières siciliennes à Leonardo Sciascia, Paris 1999; T. Freller, The rise and fall of abate G. V. A story of forgery and deceit, Malta 2001; P. Preto, Una lunga storia di falsi e falsari, in Mediterranea. Ricerche storiche, III (2006), 6, pp. 11-38; H. Bresc, De l’abbé V. à l’histoire romantique: Sicile de synthèse et Islam imaginaire, in Maghreb-Italie. Des passeurs médiévaux à l’orientalisme moderne, a cura di B. Grevin, Roma 2010, pp. 235-263; D. Siragusa, La massoneria in soccorso del governo: il Libro del Consiglio d’Egitto (1793) tra riforme ed eversione della feudalità, in Savoir et civisme. Les sociétés savantes et l’action patriotique en Europe au XVIIIe siècle. Actes du Colloque, ... Berne, ... 2012, a cura di M. Crogiez Labarthe - J.M. Ibeas Altamira - A. Schorderet, Genève 2017, pp. 239-253; Id., Verità dall’altro mondo. L’arabica impostura dell’abate V. e i dialoghi dei morti, in Per una storia moderna e cosmopolita. Studi in onore di Giuseppe Ricuperati nel suo ottantesimo compleanno, a cura di A. Castagnino - F. Ieva, Roma 2017, pp. 147-193; Id., Lo storico e il falsario. Rosario Gregorio e l’arabica impostura (1782-1796), Milano 2019.