VANDELLI, Giuseppe
– Nacque, da Fortunato, ragioniere, e da Anna Quartieri, il 20 giugno 1865, a Modena, dove compì gli studi inferiori presso il liceo L.A. Muratori.
Era di animo «mite e buono», tanto da lasciare in chi l’incontrava «un’impressione di serenità e di dolcezza che non si cancellerà più» (Bertoni, 1937, p. 368). Contrariamente al fratello Alberto, divenuto poi professore di matematica e preside dell’istituto magistrale di Savona, Giuseppe optò per la letteratura. Quando, nel 1883, si trasferì a Firenze, per iscriversi all’Università, ebbe modo di godere dei frutti della grande scuola storica, da Alessandro D’Ancona ad Adolfo Bartoli, da Domenico Comparetti a Pio Rajna. Fu proprio con quest’ultimo che Vandelli scelse di laurearsi, stringendo un profondo sodalizio di discepolato durato senza fratture per l’intera vita.
La tesi, discussa nel 1887 e premiata dall’Accademia dei Lincei, riguardò uno studio storico e letterario sulla leggenda di Alessandro Magno in Italia, ancora inedito e conservato manoscritto nel fondo Vandelli della Società dantesca italiana (scatola n. 6).
Vandelli conseguì il perfezionamento in filologia, sempre sotto la guida di Rajna, che generosamente gli assegnò la prosecuzione dei suoi studi sui Reali di Francia di Andrea da Barberino.
La tesi, discussa nel 1889, consisté nell’edizione critica del testo, che vide la luce a stampa nel 1892, a Bologna, per i tipi della Commissione per i testi di lingua. Nell’ampia introduzione egli dimostrò con solidità lo stemma e procedette alla ricostruzione del testo dell’archetipo o per via meccanica, quando si dava accordo tra le due famiglie, o per via congetturale, quando entrambi i rami restituivano lezioni egualmente accettabili; si trattava, insomma, di una ineccepibile applicazione del metodo lachmanniano al testo di Andrea da Barberino.
L’anno 1889 vide la nomina di Vandelli come docente nelle classi inferiori del ginnasio L.A. Muratori di Modena, dov’era stato alunno egli stesso, poco prima della perdita del padre, avvenuta il 7 dicembre. Trascorse sei anni nella sua città natale, dove il 4 aprile 1896 si unì in matrimonio con Clelia Barbara Bisetti, figlia del segretario comunale di Sassuolo, da cui ebbe poi tre figlie: Carolina, morta prematuramente a 14 anni, Anna Maria e Silvia.
In questi anni Vandelli non allentò la corrispondenza e i contatti con l’ambiente accademico fiorentino, allora in pieno fermento, vero orizzonte culturale entro cui sviluppò un personale metodo scientifico, l’approccio storico e la sua cerchia affettiva. Mantenne rapporti con Girolamo Vitelli, allievo e successore di Comparetti, del quale si conserva un’importante mole di corrispondenza; e ancora tenne amicali e costanti scambi epistolari con gli altri allievi della scuola, come Ernesto Giacomo Parodi. Frequenti furono i contatti anche con la generazione successiva: da Mario Casella a Giulio Bertoni, scolaro a Torino di Rodolfo Renier ma poi perfezionando a Firenze sotto la guida di Rajna, al materano Giuseppe De Robertis. Una rete di rapporti e collaborazioni che pose Vandelli al centro del dibattito degli studi danteschi e filologici nazionali e internazionali, di cui sono testimonianza le intense corrispondenze, tra gli altri, con Nicola Zingarelli, Benedetto Croce, Edward Moore.
Anni che furono centrali anche per l’elaborazione delle metodologie filologiche poi intraprese dalla Società dantesca italiana, fondata nel 1888 per giungere all’edizione nazionale prevista per il centenario del 1921.
L’idea di raggruppare le principali famiglie di codici della Commedia sulla base di un elenco di loci critici, già avanzata da Ernesto Monaci nel 1884 rifacendosi ai lavori di Karl Witte, fu ripresa da Adolfo Bartoli che stilò una lista di cui si servirono poi i suoi diretti allievi Karl Täuber e Umberto Marchesini. In questo dibattito intervenne Vandelli, pubblicando una recensione nel 1890 contro i risultati di Täuber, seguita nel 1891 da un’altra di Michele Barbi. In questo scenario, nel 1891 nel Bollettino della Società dantesca Isidoro Del Lungo, Alessandro D’Ancona e Adolfo Bartoli pubblicarono i 400 loci critici, il così detto Canone, mettendo al centro del dibattito l’idea di realizzare uno stemma codicum della Commedia su pochi errori forti.
L’operazione di spoglio dei manoscritti, tenendo conto di questo Canone, fu affidato non già a Barbi, bensì a Vandelli; il quale, in questo modo, si trovò a essere il principale cardine dell’impresa più grande della filologia del Novecento: l’edizione critica della Commedia. Il lavoro rese indispensabile il trasferimento sul posto, che avvenne infatti nel 1895 quando Vandelli, vinta e rifiutata una cattedra presso il liceo di Potenza, fu nominato dal ministero docente nelle classi inferiori del liceo Dante Alighieri di Firenze.
Di pochi anni più giovane di Vandelli, Barbi si era laureato proprio nel 1889 con D’Ancona; erano dunque strettamente legati alla medesima scuola, avendo entrambi ereditato una solida impostazione lachmanniana; e forse ancor più Vandelli, allievo diretto del filologo poi autore dei Testi critici, mirabile compendio dell’applicazione del metodo stemmatico alla filologia della letteratura italiana.
Eppure il lavoro ecdotico sul testo della Commedia avrebbe dovuto mettere a dura prova il rigore lachmanniano di Vandelli. Già nel 1901 egli diede conto dei primi risultati ottenuti sui codici fiorentini da lui compulsati in Relazione delle Ricerche intorno al testo critico della «Divina Commedia» (in Per il testo della Divina Commedia, a cura di R. Abardo, Firenze 1989, pp. 3 s.), individuando una sorta di «vischiosità» nella generazione delle varianti dantesche nei loci critici escussi. Procedendo nel lavoro di collazione egli acquisì una profonda conoscenza della tradizione manoscritta dell’opera, di fatto effettuando collazioni integrali dei codici fiorentini, e giungendo alla convinzione dell’impossibilità di razionalizzarne la complessa articolazione in famiglie fisse e in un affidabile stemma codicum. A tale convinzione fece cenno già nel 1903 in Intorno al testo della «Divina Commedia» (ibid.), rafforzandola via via nei dieci anni successivi.
Il lavoro di collazione e confronto dei manoscritti valse a Vandelli, dal 1911, la dispensa dall’insegnamento liceale per essere comandato dell’Accademia della Crusca presso la Società dantesca. Dieci anni di lavoro pieno alla fine dei quali, dando alle stampe il testo per l’edizione nazionale del 1921, egli rinunciò nei fatti all’applicazione del Canone e alla sintesi di uno stemma codicum, trascegliendo passo per passo tra le varianti quella che si presentava come la più prossima alla volontà dell’autore. Negli anni successivi, dopo un breve ritorno all’insegnamento liceale (1923-25), fu comandato presso la Società dantesca dove promosse le Lecturae Dantis in Orsanmichele, collaborò alla direzione del Bullettino e continuò a perfezionare l’edizione del poema dantesco, pubblicando saggi filologici su singoli passi, di mirabile acribia, sino alle riedizioni del 1924 e del 1929, con il rifacimento del commento di Giovanni Andrea Scartazzini.
In limine agli interessi danteschi, Vandelli ebbe modo di dare impulso anche agli studi su Giovanni Boccaccio, non solo in quanto copista e commentatore di Dante: si vedano, in particolare, Lo Zibaldone Magliabechiano è veramente autografo del Boccaccio (in Studi di filologia italiana, 1927, vol. 1, pp. 69-86) e Un autografo della «Teseide» (ibid., 1929, vol. 2, pp. 5-76).
Negli ultimi anni ottenne i maggiori riconoscimenti scientifici: già membro dell’Accademia dell’Arcadia, dell’Accademia Colombaria (dal 1903), dell’Accademia Cosentina e della Società filologica romana, nel 1921 divenne socio residente dell’Accademia della Crusca (ne era socio corrispondente dal 1914); nello stesso anno fu socio corrispondente della R. Accademia di scienze lettere e arti di Modena; nel 1932 fu cooptato nell’Accademia dei Lincei, a seguito della morte di Rajna, sopraggiunta nel novembre del 1930, anch’egli linceo; Vandelli ne era stato nominato esecutore testamentario e ne tenne una solenne commemorazione (Pio Rajna: commemorazione tenuta il 15 maggio 1931 [...] per iniziativa dell’Accademia degli Arcadi e della Società filologica romana nella sede dell’Accademia, Roma 1932). Nello stesso anno curò l’edizione di alcuni inediti di Rajna.
Negli anni successivi si cimentò nel testo critico e commento del Convivio a quattro mani con Giovanni Busnelli (con introduzione di M. Barbi, Firenze 1934) e in un’interessante antologia per le scuole intitolata Figure ed episodii della Divina Commedia scelti e annotati per le scuole medie inferiori (Firenze 1924; 2ª ed. corretta e accresciuta, 1930 e 1932).
Anni ormai di senilità, aggravati dalla morte del fratello Alberto nel 1933, e solo in parte mitigati da una nomina per merito alla libera docenza, giunta intempestiva da parte dell’Università di Roma nel 1934: l’anno successivo Vandelli si ritirò in pensione.
Morì, a Firenze, il 29 marzo 1937.
Fonti e Bibl.: Firenze, Società dantesca italiana, Fondo Vandelli; Archivio di Stato di Modena, Comune di Sassuolo, Atti di nascita; Comune di Modena, Atti di matrimoni.
G. Bertoni, in Giornale storico della letteratura italiana, CIX (1937), pp. 368 s.; G. Cavazzuti, Commemorazione di G. V., in Atti e memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena, s. 5, II (1937), pp. LX-LXXII; M. Martinozzi, In memoria di G. V., in R. Deputazione di storia patria per l’Emilia e la Romagna, sezione di Modena, Studi e Documenti, I (1937), 4, pp. 251-253; G. V., in Studi di filologia italiana, V (1938), pp. 95 s.; In memoria di G. V. [...] Nel primo anniversario della morte, Firenze 1938; Enciclopedia Dantesca, V, Roma 1970, s.v.; R. Abardo, G. V. filologo dantesco, in La Società dantesca italiana 1888-1988, a cura di R. Abardo, Milano 1995, pp. 289-303; Indice biografico italiano, a cura di T. Nappo, X, Sr-Z, München 2007, s.v.; Archivio biografico italiano, IV (fiche 473, 206-221).