Valletta, Giuseppe
Giurista e filosofo (Napoli 1636 - ivi 1714). Nato in una famiglia di modeste condizioni, figlio di un sarto poi arricchitosi, contribuì al rinnovamento culturale di Napoli dando nuova vita all’Accademia degli investiganti, e raccogliendo una ricca biblioteca che offriva un ampio panorama della cultura europea contemporanea: essa rappresentò per la cultura napoletana un centro di incontri e di formazione; dopo la sua morte tale biblioteca fu acquistata nel 1717 dai padri dell’Oratorio e costituisce ora il fondo più importante della Biblioteca oratoriana dei Gerolamini. Come giurista V. fu incaricato dalla Deputazione napoletana di scrivere sul problema dei Tribunali dell’Inquisizione e ne nacque il trattato – in forma di lettera al papa Innocenzo XII – Intorno al procedimento ordinario e canonico nelle cause che si trattano nel Tribunale del Santo Officio nella città e nel Regno di Napoli (1691-94). Inserendosi in un dibattito europeo sui metodi dei tribunali dell’Inquisizione, V. da un lato distingueva nettamente la società civile dalla società ecclesiastica, la prima retta da una «ragione di Stato» tutta «profana», la seconda da una finalità spirituale da perseguire con la persuasione, l’amore e la pace; dall’altro indicava essere contrari al «diritto di natura» i metodi dei tribunali ecclesiastici che non rispettavano la pubblicità dei processi e i diritti della difesa. Di questa lettera V. ha lasciato varie stesure; ma in tutte è presente, dietro la polemica giuridica, la difesa della «libertà filosofica» contro le censure ecclesiastiche, e della «filosofia moderna» contro l’aristotelismo antico e scolastico. Questo tema costituisce il nucleo della sua opera maggiore, l’Istoria filosofica (composta tra il 1697 e il 1704; la stampa, 1703-04, restò interrotta): qui V. vuole mostrare come la filosofia «moderna» – con la sua fisica corpuscolare e con la sua polemica antiaristotelica – sia in realtà la ripresa di un’antichissima tradizione che risale a Mosè per poi passare alle varie «sapienze» orientali, quindi a Pitagora, Democrito, Platone ed Epicuro; tradizione filosofica questa, sostanzialmente omogenea, rispetto alla quale l’aristotelismo si pone come radicale deviazione e come causa, nel cristianesimo, di tutte le eresie. V., riprendendo una tematica non nuova nella cultura europea, si poneva così sulla linea avanzata della cultura napoletana assumendo le difese della filosofia «moderna» rappresentata essenzialmente, per il Seicento, dall’indirizzo sperimentale e corpuscolare, e soprattutto da Bacone, Gassendi, Descartes; nella stessa prospettiva V. aveva già scritto la Lettera in difesa della moderna filosofia e de’ coltivatori di essa (nel 1693-97, edita nel 1732) che può considerarsi una prima stesura dell’Istoria. V., oltre a numerose lettere, ha lasciato vari inediti, tra i quali è di particolare rilievo la Risposta ad Amico sopra le ragioni della città di Napoli per l’assistenze domandate alla fabrica della nuova moneta.