VALERIANO, Giuseppe
– Nacque all’Aquila nell’agosto del 1542, da una famiglia sufficientemente agiata da potergli finanziare gli studi, ma di cui non si hanno notizie più precise (Pirri, 1970, p. 1), se non che egli ebbe anche un fratello, Pietro, gesuita come lui, e due sorelle (ibid., pp. 50-52).
Stando a una postilla di Giovan Pietro Bellori all’esemplare delle Vite di Giovanni Baglione custodito presso la Biblioteca dell’Accademia nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma (31-E-15), la sua prima formazione dovette verosimilmente compiersi nello stesso capoluogo abruzzese, presso la locale bottega di Pompeo Cesura (G.P. Bellori, in Baglione, 1642, 1935, p. 83, appendice p. 5; Pirri, 1970, pp. 1 s.), pittore di tradizione perinesca.
Documentato all’Aquila fino al dicembre del 1567, tra la fine di quell’anno e il 1571 il giovane Giuseppe approdò a Roma, come si trae con certezza dalle carte relative al cantiere decorativo della cappella dell’Ascensione nella chiesa di S. Spirito in Sassia, per la quale egli ideò la struttura architettonica (ibid., pp. 2-4) e realizzò gli affreschi e la pala d’altare con la Trasfigurazione di Cristo, che Baglione (1642, 1935) descriveva come «colorita tanto oscura, che a fatica si scorge», aggiungendo come, a suo parere, egli cercasse in questo modo di «imitare la maniera di Fra Bastiano del Piombo venetiano, quando pingeva oscuro» (p. 83).
Nello stesso 1571 egli fu raggiunto dal maestro Cesura, chiamato a decorare nella medesima chiesa la cappella della S. Croce, sita sul fianco opposto rispetto alla precedente (Petraccia, 2018, pp. 270 s.). I due artisti erano del resto, oltre che legati tra loro da continuativi rapporti di collaborazione, concittadini di Bernardino Cirillo, commendatore e maestro generale dell’Ordine di S. Spirito con cui erano già entrati in contatto in terra aquilana, e che ebbe un ruolo determinante nella loro chiamata nella capitale pontificia.
Già formatosi dunque come architetto e pittore, e provvisto di un’acclarata reputazione (Pirri, 1970, p. 5), nel 1573 Valeriano partì per un lungo viaggio in Spagna, in occasione del quale entrò a far parte della Compagnia di Gesù. Egli fu accompagnato, secondo Bellori, da un non meglio identificato «Duca di Cardona» – non di Cordova, come riportano Federico Zeri (1955, p. 35) e Valerio Mariani nella trascrizione della relativa nota belloriana (Baglione, 1642, 1935, appendice p. 5) –, mentre Pirri (1970, pp. 6-9) registra la condivisione dell’itinerario con don Francesco de Reinoso, già cameriere segreto di papa Pio V.
Il soggiorno iberico trattenne per vari anni Valeriano lontano dall’Italia, fornendogli l’occasione di conoscere in prima persona il Paese di origine del fondatore dell’ordine, Ignazio di Loyola, e di comprenderne più a fondo le stratificate componenti culturali, esaminando dal vivo i numerosi edifici gesuitici allora in costruzione a opera del primo grande architetto dell’ordine, padre Bartolomé Bustamante.
In Spagna egli eseguì «molte opere di pittura e disegni di fabbriche» (G.P. Bellori, in Baglione, 1642, 1935, p. 83, appendice p. 5), mettendosi alla prova con sopralluoghi continui e con la redazione di progetti tra Castiglia, Toledo e Andalusia. Conobbe inoltre l’acclamato architetto Juan de Herrera, che aveva da poco condotto a termine il cantiere dell’Escorial, divenendone amico e traendo dai suoi modelli svariati spunti progettuali.
Esito emblematico della permanenza spagnola di Valeriano fu senz’altro l’intervento nella casa del noviziato a Villagarcía de Campos e forse anche nella locale collegiata di S. Luis, che, se non integralmente ideata da lui, potrebbe averlo visto comunque partecipe, almeno come consulente, nelle fasi finali del cantiere (García Chico, 1955; Pirri, 1970, pp. 13-27; Salviucci Insolera, 1994, pp. 466 s.). Nel 1579, rispondendo all’invito inoltratogli l’estate precedente dal cardinale Enrico di Portogallo, arcivescovo di Evora, e dal coadiutore Teutonio di Braganza, egli si spostò a Lisbona, ed entro il 1580 fu infine di ritorno in Italia, dove passò verosimilmente prima per Roma, spostandosi poi a Recanati, per contribuire al decoro pittorico della chiesa di S. Vito (Pirri, 1970, pp. 45-49; Mazza, 1982), per la quale dipinse la tavola, oggi perduta, dell’altare maggiore.
Le dinamiche di gestione cantieristica gesuitiche prevedevano una figura di riferimento, denominata consiliarius aedificiorum, preposta all’approvazione, al coordinamento e alla supervisione a distanza, da Roma, di tutte le fabbriche attive nelle varie province. Con la nomina, nel 1581, dell’abruzzese Claudio Acquaviva a nuovo preposto generale dell’Ordine, all’allora consiliarius Giovanni de Rosis fu affiancato, come supporto, proprio Valeriano, ormai esperto e stimato, che dunque fu richiamato a Roma anche per ricoprire tale incarico. Le costruzioni in corso erano infatti in continua crescita e si rendeva ormai necessario disporre di un architetto fidato che potesse facilitare il lavoro del consiliarius recandosi se necessario in loco per compiere verifiche, o addirittura per avviare in prima persona nuovi progetti.
Fu proprio a Roma che Valeriano si imbarcò in una delle più importanti e prestigiose imprese della sua intera carriera, dirigendo i lavori di ampliamento e ristrutturazione, promossi a partire dal 1582 da papa Gregorio XIII, dell’edificio simbolo dell’Ordine, destinato alla formazione di coloro che avrebbero poi assunto l’oneroso compito di diffondere la fede cattolica nel mondo: il Collegio romano (Pirri, 1970, pp. 53-75).
I lavori, a lungo riferiti a Bartolomeo Ammannati a causa di una serie di informazioni imprecise riportate da Baglione (1642, 1935, pp. 57-60), furono terminati nell’arco di un solo biennio, con meticolosa adesione ai dettami gesuitici, che imponevano forme semplici ma armoniche, e una concezione degli spazi in funzione del loro ruolo simbolico. Così al Collegio romano il maestoso cortile centrale, di pianta quadrata e articolato su due ordini di arcate ampie e possenti, domina con grandiosità sull’intera struttura, recuperando al contempo il senso ideale e il rigore di un chiostro monastico.
Chiuso quel cantiere, Valeriano era ormai richiesto in più parti d’Italia, e in particolare, nel 1585, a Palermo, a Lecce e a Genova (Pirri, 1970, pp. 78-80), ma essendo la sua salute piuttosto cagionevole egli, su parere dello stesso generale Acquaviva, non poté affrontare simili viaggi. Fu quindi impegnato a Roma nel progetto della cappella della Madonna della Strada nella chiesa del Gesù (ibid., pp. 80-83; Zeri, 1955, p. 38), sviluppata su disegno a pianta centrale con base circolare e impreziosita da sontuosi rivestimenti marmorei. Il sacello doveva ospitare una serie di reliquie, custodite entro nicchie disposte lungo le pareti per le quali l’artista dipinse anche, nel 1586, sette tavole con Storie della Vergine, che avrebbero funto da chiusure per i rispettivi vani (Zuccari, 2017, p. 11). Nell’esecuzione di queste opere Valeriano, forse per diretta richiesta della committenza più che per necessità personale, si avvalse della collaborazione dell’amico Scipione Pulzone che, proprio come annotava Baglione (1642, 1935, p. 83), e com’è stato confermato dal moderno restauro (Zuccari, 2017, pp. 11 s.), «gli fece in quei quadri alcuni drappi dipinti tanto simili al vero, che non si possono desiderare fatti con più arte».
Sempre al Gesù sembrò poi prendere forma una pratica riutilizzata in più occasioni dal gesuita, fondata sulla preparazione di disegni poi trasposti in pittura da altri artisti. Fu il caso, ad esempio, di una seconda cappella nella chiesa, quella della Passione (Pirri, 1970, pp. 212 s.), la cui ideazione iconografica spettò in gran parte a Valeriano, ma le cui pitture sarebbero state poi realizzate, nel corso degli anni Novanta, da Gaspare Celio, «che servì al Valeriano in diverse cose, e spetialmente nella volta, ove sono nel mezzo alcuni angioli che pigliano una Croce» (Baglione, 1642, 1935, pp. 83 s.), mentre Pulzone eseguì la pala d’altare con la Pietà, oggi al Metropolitan Museum of art di New York (Zeri, 1955, pp. 44-46; Gandolfi, 2015, pp. 181-189).
Nonostante il sommarsi degli impegni romani come pittore, l’attività di progettista coinvolse sempre con costanza Valeriano, che già dal 1582 era stato invitato a fornire pareri per la costruzione dei collegi gesuitici di Napoli e di Genova, lavori che lo occuparono in contemporanea per un decennio, fino al 1596 circa.
A Napoli il consulto con l’architetto abruzzese si era in principio reso necessario per la scelta della sede più idonea, ma solo dopo varie vicissitudini, e morto nel frattempo lo stesso artefice, si sarebbe optato in via definitiva per un quattrocentesco palazzo Carafa, nel quale solo nel 1605 fu messo in opera, con minime modifiche, il monumentale cortile disegnato anni addietro da Valeriano. Nel frattempo, e con analoghe problematiche, i padri si erano mossi anche per la costruzione del Gesù Nuovo, protrattasi a scaglioni fino al 1596, e una volta concluso l’acquisto del palazzo Sanseverino, anch’esso rinascimentale, nel 1584 Valeriano era stato di nuovo inviato da Roma a studiarne dal vivo la sistemazione (Pirri, 1970, pp. 100-110; Conelli, 2016).
Il confronto con il generale Acquaviva e il supporto ricevuto da quest’ultimo in ogni fase portò infine l’architetto a ideare una pianta a quincuncx, cui poter ricorrere in entrambi i casi, e in grado di coniugare l’impianto longitudinale ‘puro’ del Gesù di Roma con quello centrale che meglio si attagliava alle esigenze di culto e di contesto (del Pesco, 2009-2011).
Nel capoluogo ligure le fasi di lavorazione progettuale del collegio, della casa professa e della chiesa del Gesù e dei Ss. Ambrogio e Andrea si svilupparono, proprio come a Napoli, in modo piuttosto complesso, trattandosi anche in questo caso del riadattamento di edifici preesistenti. Valeriano fu, come di consueto, presente a intermittenza in città nel 1589 e poi ancora nel 1591, nel 1592 e nel 1595, ma i lavori si sarebbero conclusi solo molti anni dopo la sua scomparsa (Pirri, 1970, pp. 135-148).
Oltre a questi due importantissimi cantieri certi, egli si dedicò nel corso della sua vita alla preparazione di innumerevoli disegni progettuali, sia in Italia sia all’estero, non tutti poi concretamente messi in opera ma, nell’insieme, esemplificativi della sua instancabile attività di artefice. Si possono ricordare, ad esempio, i disegni per il noviziato e il collegio di Palermo (ibid., pp. 171-173, 205 s.), per la chiesa e il collegio di Marsala (pp. 202-205), per il noviziato romano di S. Andrea al Quirinale (pp. 179 s.) e per il collegio dell’Aquila (pp. 181-183; Salviucci Insolera, 1994, p. 470). Spettò a Valeriano anche la consulenza tecnica per il restauro, finanziato dal duca Guglielmo V di Baviera, della chiesa di S. Michele a Monaco, rovinata dal crollo della torre campanaria (Pirri, 1970, pp. 157-170; Salviucci Insolera, 1994, p. 470), e che fu, nel 1591, motivo di provvisorio abbandono del cantiere genovese. Fu sua, infine, sempre negli anni Novanta, l’ideazione del collegio di S. Antonio a Lisbona (Pirri, 1970, pp. 174-178) e del collegio della Valletta, a Malta (pp. 207-209). Nella primavera del 1596, poco prima di morire, egli fu inoltre coinvolto nell’ideazione della chiesa e del collegio di S. Ignazio a Cosenza (ibid., pp. 184-199; Ceccarelli, 1979), ennesimo progetto che sarebbe stato condotto a termine solo dopo la sua dipartita.
Padre Valeriano morì a Napoli, nel collegio gesuitico che lo ospitava durante i lavori ancora in corso, il 15 luglio 1596, e fu sepolto in loco con grandissime riverenze (Pirri, 1970, p. 213).
Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti..., Roma 1642, a cura di V. Mariani, Roma 1935, pp. 83 s., appendice p. 5; E. García Chico, Los artistas de la colegiata de Villagarcía de Campos, in Boletín del Seminario de estudios de arte y arqueología, XX (1955), pp. 43-80; F. Zeri, G. V., in Paragone, VI (1955), 61, pp. 35-46; E. Beltrame Quattrocchi, Il palazzo del Collegio romano e il suo autore, Roma 1956; M. Errichetti, L’architetto G. V. (1542-1596), progettista del collegio napoletano del Gesù Vecchio, in Archivio storico per le province napoletane, n.s., XXXIX (1959), pp. 325-352; P. Pirri, G. V. S.I.: architetto e pittore (1542-1596), Roma 1970; A. Ceccarelli, G. V. «padre gesuita», architetto progettista della chiesa e collegio di Sant’Ignazio a Cosenza, in Bollettino d’arte, s. 6, LXIV (1979), 2, pp. 29-60; A. Mazza, I dipinti della chiesa di S. Vito a Recanati e la committenza dei gesuiti, in Notizie da Palazzo Albani, XI (1982), pp. 84-98; L. Salviucci Insolera, G. V., pittore ed architetto gesuita, in Arte cristiana, LXXXII (1994), pp. 465-472; D. del Pesco, G. V. e le chiese a pianta centrale tra Napoli e Genova, in Confronto, 2009-2011, n. 14-17, a cura di S. De Mieri, pp. 138-147; R. Gandolfi, La cappella della Passione. Scipione Pulzone e Gaspare Celio nella chiesa del Gesù, in Scipione Pulzone e il suo tempo. Atti della Giornata di studi... 2014, a cura di A. Zuccari, Roma 2015, pp. 181-189; M.A. Conelli, From palace to paradise: the transformation of the palazzo Sanseverino into the Gesù Nuovo in Naples, in Memoirs of the American Academy in Rome, LXI (2016), pp. 192-218; A. Zuccari, Le Storie della Vergine al Gesù restaurate: G. V. e i «drappi tanto simili al vero» di Scipione Pulzone, in Le Storie della Vergine nella cappella della Madonna della Strada al Gesù. Il restauro, a cura di G. Leone, Roma 2017, pp. 11-15; A. Petraccia, La formazione aquilana e i primissimi anni romani di G. V. SJ pittore, in Padre Claudio Acquaviva S.J. preposito generale della Compagnia di Gesù e il suo tempo. Atti del Convegno..., Atri... 2015, a cura di M.M. Morales - R. Ricci, L’Aquila 2018, pp. 263-291.