VALENTINIS, Giuseppe Uberto
Nacque a Udine (secondo Costantini, 1925, p. 357, a Fraelacco di Tricesimo, ma tale testo presenta diversi errori) il 3 novembre 1819, dal conte Luigi, discendente di una delle più antiche casate cittadine, e da Marianna Mauroner. Trascorse la prima giovinezza in Friuli, a Udine e nella vicina Tricesimo (dove si trovava il castello degli avi), oltre che a Trieste, in cui risiedeva la famiglia materna, e proprio in quell’ambiente, contraddistinto da cosmopolitismo e vivacità culturale, maturò uno spiccato interesse per il mondo dell’arte.
Studiò a Vienna, presso il collegio Teresiano dei Nobili, e iniziò a frequentare i corsi di giurisprudenza dell’Università della capitale asburgica, abbandonandoli però dopo un anno per dedicarsi totalmente a quella che avvertiva come la propria passione: la pittura. Pertanto, aiutato dai parenti della madre e contro la volontà paterna, s’iscrisse all’Accademia di belle arti di Venezia (probabilmente vi conobbe il coetaneo Giovanni Battista Cavalcaselle, con il quale restò sempre in contatto e collaborò in più occasioni), per trasferirsi poi a Monaco di Baviera, dove frequentò l’atelier del paesaggista Julius Lange, e infine a Firenze, divenendo allievo dell’ungherese Carlo Markò. Dell’attività pittorica di Valentinis ben poco si conosce (forse smise di dipingere attorno al 1860), anche se la sua produzione pare abbia riscosso un discreto successo sia di pubblico sia di critica. Difatti, il suo nome è segnalato in esposizioni tenute a Udine, Venezia e Trieste negli anni Cinquanta: sappiamo dell’esistenza di dipinti da lui firmati e dedicati prevalentemente a paesaggi friulani in numerose collezioni private, mentre nei Civici Musei di Udine è conservata una tela del 1855 raffigurante la Ritirata di Garibaldi sull’Appennino, che, tra l’altro, denota la presenza, nel suddito lombardo-veneto, di spiccati sentimenti prorisorgimentali. Significativamente, la camera dove pernottò Vittorio Emanuele II durante la visita a Udine del 1866 (in occasione dell’annessione al Regno d’Italia) fu adornata con un cartone da lui realizzato, dedicato al «corteo nuziale d’una principessa di Savoia, assalito e massacrato tra l’impervio rupestre paesaggio delle Alpi Graie» (Costantini, 1925, p. 358).
L’arciduca Ranieri nel 1844 nominò il nobile udinese socio corrispondente dell’Imperiale Reale Museo d’arte e industria di Vienna.
Nel corso degli anni Cinquanta, parallelamente alla pittura, Valentinis si dedicò al restauro delle opere d’arte, acquisendo presto una buona reputazione, tanto che nel 1856 fu chiamato, su probabile suggerimento di Pietro Selvatico (plausibilmente i loro rapporti risalivano agli anni veneziani), a dirigere i lavori per il recupero del Tempietto Longobardo di Cividale, condotti tra il settembre 1859 e l’agosto 1860. I criteri che seguì furono improntati al cosiddetto restauro conservativo, rifacendosi alle posizioni allora teorizzate proprio da Selvatico. L’intervento cividalese fu poi oggetto di alcune polemiche, alle quali il conte Giuseppe replicò con una serie di articoli nel 1895.
Nel 1860 Valentinis fu nominato dal Governo austriaco ispettore ai monumenti del Friuli, e dall’anno successivo iniziò a pubblicare sui periodici udinesi interventi dedicati alla scoperta della pittura locale dei secoli XV e XVI (soprattutto di Gianfrancesco da Tolmezzo e Pellegrino da San Daniele), cercando di sensibilizzare i concittadini alla loro salvaguardia. L’Accademia di belle arti di Venezia nel 1861 gli conferì il diploma di socio d’arte, e a essa nel 1863 indirizzò una Proposta per la conservazione degli oggetti d’arte del Friuli, dalla quale traspaiono le sue preoccupazioni in merito alla tutela di un patrimonio che allora versava in uno stato assai precario.
Nel 1864 sposò Caterina de Rubeis (di 23 anni più giovane), da cui l’anno seguente ebbe il figlio Tristano, nel 1868 Ida e nel 1889 Elena.
Dopo l’ingresso del Friuli nel Regno d’Italia, il 5 dicembre 1866 fu istituita da Quintino Sella una Commissione archeologica per il Friuli (che nel 1876 assunse la denominazione di Commissione conservatrice dei monumenti), in cui pure Valentinis fu chiamato a partecipare. In tale veste, fra il 1869 e il 1876 collaborò con Cavalcaselle alla stesura di un inventario degli oggetti d’arte della Provincia del Friuli, cui aggiunse un’Appendice, riservata alle opere perdute (in Cavalcaselle, La pittura friulana del Rinascimento (1876), a cura di G. Bergamini, Vicenza 1973, pp. 283-301).
Nel corso degli anni Settanta il nobile friulano – anche grazie all’ottima conoscenza della lingua tedesca – cominciò a seguire gli sviluppi del metodo per il restauro dei dipinti a olio messo a punto dal chimico bavarese Maximilian von Pettenkofer, entrando in contatto epistolare con lo scienziato, e per approfondirne l’impiego si recò a Monaco, dove dal 1863 tale procedura fu adottata nella Pinacoteca. La nuova tecnica, detta anche della 'rigenerazione alcolica', fu illustrata dallo scopritore in un volume del 1870 ed era basata su alcune sostanze i cui vapori, a contatto con i dipinti a olio, potevano riparare i danni che le variazioni microclimatiche provocano a vernici e pigmenti. Negli intenti, quindi, l’innovativa metodologia, che rifletteva la visione scientista tipica dell’epoca, permetteva di restituire a nuovo splendore i dipinti deteriorati, senza implicare l’intervento diretto sulla tela con rimozione delle vecchie vernici alterate, ed eliminando così operazioni di pulitura arbitrarie, ma in seguito rivelò i propri limiti e di conseguenza fu presto abbandonata.
Una prima esposizione italiana delle esperienze di rigenerazione fu offerta da Giovanni Secco Suardo nel suo Manuale del 1866. Tuttavia simili teorie, nonostante un’ampia eco e l’autorevolezza attribuita allo scopritore, si scontrarono con i sistemi tradizionalmente adoperati dai restauratori. Il più entusiasta sostenitore in Italia del metodo Pettenkofer fu Valentinis, il quale dal 1873 cominciò a diffonderne la conoscenza con una serie di pubblicazioni, in cui descriveva i vantaggi derivanti dalla tecnica e le sue ampie possibilità d’utilizzo (sull’argomento tornò successivamente con testi editi nel 1874, 1875, 1891 e 1892), apportando alcuni miglioramenti al procedimento di rigenerazione alcolica. Accanto alla divulgazione, il restauratore udinese si dedicò all’applicazione pratica del metodo, non senza problemi, suscitando scetticismi tra gli esperti e comportamenti contraddittori nelle autorità italiane, dapprima caute, poi favorevoli, anche grazie al sostegno di Cavalcaselle, e infine decisamente avverse. Infatti, fin dal 1874 il ministero della Pubblica Istruzione gli affidò il compito di rendere noto attraverso conferenze e corsi il sistema della rigenerazione e, a seguito del parere favorevole espresso da un’apposita commissione ministeriale, gli fu conferito l’incarico di condurre esperimenti di restauro. Gli interventi furono attuati soprattutto in Friuli, a partire dal 1880, e riguardarono dipinti di maestri del Rinascimento di proprietà ecclesiastica (l’elenco completo e la loro descrizione sono in Terribile, 2003). Inoltre, fu chiamato ad offrire alcune dimostrazioni pratiche del metodo nei musei pubblici, dapprima solo su opere conservate nei depositi, operando in particolare nel Correr di Venezia. L’apice di tale percorso sperimentale fu raggiunto nel 1891, quando nella Galleria degli Uffizi Valentinis intervenne sulla celebre Venere di Urbino di Tiziano, ottenendo un risultato che convinse il ministro dell’Istruzione Pasquale Villari ad approvare finalmente il sistema rigenerativo. Malgrado ciò, lo scetticismo che accompagnò le dimostrazioni di Valentinis, e che fu in gran parte dovuto alle preoccupazioni professionali dei restauratori legati alle prassi consuete, trovò conferma in uno scandalo – probabilmente montato ad arte dagli avversari – scoppiato nel 1892, in occasione di un esperimento di rigenerazione condotto su alcune tele di palazzo ducale a Venezia, quando fu scoperta la ridipintura effettuata in quella circostanza su un’opera di Filippo Zaniberti, la quale contraddiceva clamorosamente tutti i principi di scientificità e oggettività a lungo propugnati. Le critiche e le polemiche suscitate da tale episodio (ed espresse da Angelo Conti, da Pompeo Molmenti e soprattutto da Guglielmo Botti, all’epoca ispettore di prima classe delle Regie Gallerie e Musei) raggiunsero nel 1893 addirittura l’aula parlamentare, e in considerazione del bilancio ritenuto non positivo di un trentennio di tentativi svolti in tutta Europa, nel 1892 il nobile friulano perse gli incarichi ministeriali precedentemente assegnatigli.
Dopo la conclusione della sfortunata esperienza come divulgatore del metodo Pettenkofer, Valentinis si ritirò nella propria terra natale, dove cercò, non senza gravi difficoltà economiche, di curare gli affari familiari, dedicandosi in prima persona alle attività agricole. Senza tenere conto delle controversie che lo avevano coinvolto e dell’età avanzata, le autorità friulane continuarono ad accordargli fiducia, affidandogli sporadicamente dei restauri.
Morì nell’avito castello di Tricesimo il 20 luglio 1901.
Della conservazione delle arti belle, in Rivista Friulana, s. 2, III (1861), 39, p. [3]; Di alcuni dipinti ignorati d’antichi pittori friulani, ibid., V (1863), 22, pp. [3]-[4], 23, p. [3], 24, pp. [3]-[4], 25, pp. [3]-[4]; Della conservazione dei monumenti di Belle Arti in Friuli, in Giornale di Udine, 15, 17 e 18 dicembre 1866; La rigenerazione dei dipinti per Pettenkofer. Memoria di Giuseppe Uberto Valentinis, Udine 1873; Il restauro e la rigenerazione dei dipinti ad olio di Massimiliano de Pettenkofer. Studii di Gius. Uberto Valentinis, Udine 1874; La Rigenerazione e le regie pinacoteche, Udine 1875; Cose d’arte. Lettura fatta nell’Accademia di Udine il 21 giugno 1878, Udine 1880; La riparazione dei dipinti secondo il metodo Pettenkofer esposta da Gius. Uberto Valentinis, Udine 1891; Il governo razionale delle pinacoteche, desunto dalle teorie e pratiche di Massimiliano D.r de Pettenkofer, Udine 1892; L’antichissimo Monastero di Santa Maria in Valle in Cividale, in Patria del Friuli, XIX (1895), 46, p. [1], 47, p. [2], 49, p. [1].
G. Costantini, Il castello di Tricesimo ed il suo restauratore, in La Panarie, II (1925), pp. 355-361; A. Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d’arte, Milano 1988, pp. 298-300; S. Rinaldi, Il metodo Pettenkofer in Italia (1865-1892): cause ed effetti della rigenerazione delle vernici, in Bollettino d’arte, s. 6, 2000, n. 112, pp. 117-125; Il restauro dei dipinti nel secondo Ottocento. G.U. V. e il metodo Pettenkofer, Atti del Convegno internazionale di studi, Udine-Tricesimo… 2001, a cura di G. Perusini, Udine 2002; C. Terribile, Il ‘nobile rigeneratore’. I restauri di G.U. V., Udine 2003; V. Foramitti, Il Tempietto longobardo nell’Ottocento. Selvatico, V. e i primi restauri dell’oratorio di S. Maria in Valle di Cividale, Udine 2008; P. Pastres, V.G. U., pittore ed esperto in restauri, in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, III, L’età contemporanea, a cura di C. Scalon - C. Griggio - G. Bergamini, Udine 2011, pp. 3460-3463; I. Colavizza, V., l’Accademia di Belle Arti di Venezia e la “Proposta per la conservazione degli oggetti d’arte in Friuli”, in La conservazione delle opere d’arte in Friuli nell’Ottocento, a cura di G. Perusini - R. Fabiani, Udine 2014, pp. 93-106.
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