TUROLDO, Giuseppe
(in religione David Maria). – Ultimo di otto fratelli, nacque a Coderno di Sedegliano (Udine) il 22 novembre 1916 da Giovanni e da Anna di Lenarda.
La famiglia condivideva la povertà di un Friuli martoriato dall’arretratezza economica e dall’imperversare della prima guerra mondiale: il padre, piccolo affittuario, era costretto a integrare il magro reddito lavorando come bracciante; due figli morirono da piccoli, due dovettero emigrare all’estero, le due figlie impiegarsi giovanissime a servizio lontano da casa.
Anche se fu un tempo di fame e di miseria Turoldo rievocò più volte questa sua «infanzia d’oro» perché vi apprese un patrimonio di valori che avrebbe contrassegnato la sua vita e la sua opera. I genitori rimasero nella sua memoria come i primi e «più grandi maestri». Il fanciullo Giuseppe chiese di entrare a tredici anni nell’Ordine dei servi di Maria che aveva conosciuto frequentando con la madre il santuario di S. Maria delle Grazie di Udine. Dopo le scuole elementari, nell’anno scolastico 1929-30, fu ammesso alla prima classe del ginnasio dell’Istituto Missioni dei servi di Maria, vicino al santuario di Monte Berico (Vicenza). Qui incontrò il compagno di studi Camillo De Piaz (1918- 2010) e insieme affrontarono gran parte dei corsi filosofici e teologici nelle scuole dei servi di Maria della provincia veneta. A una precoce ispirazione poetica fu dovuta la scelta del nome da assumere in religione, David, in riferimento al re biblico secondo la tradizione autore di molti salmi; il secondo nome, Maria, si aggiungeva di consuetudine ai membri dell’Ordine servita. Turoldo emise i voti solenni il 30 ottobre 1938 e fu ordinato presbitero il 18 agosto 1940. Nel 1941 fu inviato a Milano, nella famiglia conventuale di S. Carlo al Corso, con il confratello De Piaz, per frequentare i corsi dell’Università cattolica del Sacro Cuore, dove si iscrisse alla facoltà di filosofia.
Milano aprì nuovi orizzonti culturali al giovane frate, grazie all’incontro con maestri come il filosofo Gustavo Bontadini e lo storico del teatro Mario Apollonio, e con compagni tra i quali lo scrittore Luigi Santucci e il critico letterario Angelo Romanò. Maturò con loro e con De Piaz una viva coscienza antifascista, che sfociò in attiva partecipazione alla Resistenza, espressa nella fondazione del foglio clandestino L’Uomo e nell’offerta di aiuto e ospitalità a perseguitati politici e oppositori del regime. All’«uomo» fu dedicata anche la tesi di Turoldo, discussa l’11 novembre 1946 con Bontadini come relatore: nel titolo, Per una ontologia dell’uomo, si preannunciava quella domanda radicale che marcò, da allora in poi, la sua riflessione.
La convinta adesione alla fede cristiana non gli risparmiò infatti un dilemmatico confronto con il «silenzio di Dio» e lo «scandalo del male» – sue espressioni peculiari – che divenne cifra essenziale della sua produzione poetica.
Il dopoguerra vide Turoldo impegnato su molteplici fronti religiosi, culturali, sociali, alla luce di un cristianesimo incarnato nella storia attinto dalla francese théologie nouvelle e nell’intento di rivitalizzare su radici evangeliche il cattolicesimo italiano, giudicato asfittico e incapace di un’efficace presenza nella realtà in trasformazione.
Già collaboratore con l’Azione cattolica su invito di Giuseppe Lazzati e, fin dal 1943, ascoltato predicatore nel duomo di Milano su incarico dell’arcivescovo Ildefonso Schuster, fu per breve tempo assistente ecclesiastico degli studenti della Università cattolica di Milano, chiamato da padre Agostino Gemelli. Stabilì contatti con voci vive del cattolicesimo come il parroco scrittore don Primo Mazzolari, con Giuseppe Dossetti e il suo quindicinale Cronache sociali, con i giovani del gruppo genovese del mensile Il Gallo e del gruppo fiorentino della rivista L’Ultima, con padre Ernesto Balducci e con don Divo Barsotti, ponendo le basi di future collaborazioni editoriali. Nei locali di S. Carlo al Corso promosse attività di assistenza come la Messa della Carità, e avviò la gestione di una libreria e di una casa editrice che dal 1952 – con il nome Corsia dei Servi – animò il dibattito culturale, religioso e sociale milanese negli anni precedenti e successivi al concilio Vaticano II. Un incontro cruciale fu quello, avvenuto nel 1948, con don Zeno Saltini, da poco stanziato con la sua comunità di Nomadelfia nell’ex campo di concentramento di Fossoli (Modena): Turoldo considerò quest’esperienza un modello esemplare di società cristiana, sostenendola e facendola conoscere ad alcuni confratelli, tra questi Giovanni Vannucci, che vi si trasferirono.
Di pari passo con queste intense occupazioni prese avvio, inoltre, la variegata produzione letteraria di Turoldo. Uscirono in quegli anni le sillogi poetiche Io non ho mani (Milano 1948) e Udii una voce (con Premessa di G. Ungaretti, Milano 1952), il testo ispirato alla figura biblica di Giobbe Da una casa di fango (Job) (Brescia 1951) e una prima opera teatrale, La terra non sarà distrutta (Milano 1951).
L’atteggiamento critico di Turoldo e Saltini nei confronti della Chiesa e del suo rapporto con la politica provocò l’intervento delle gerarchie servite e del S. Uffizio, che ingiunse ai frati traslocati a Nomadelfia il ritorno ai loro conventi e a Turoldo di lasciare Milano e l’Italia per il convento dei servi di Innsbruck (dicembre 1952): un trasferimento vissuto come un doloroso esilio, che gli causò la «più grande crisi» della sua vita, perché era «proprio la Chiesa a impedirti di vivere il Vangelo» (D.M. Turoldo, La mia vita per gli amici, 2002, p. 91). Riuscì in realtà a stabilirsi nel più stimolante ambiente culturale di Monaco di Baviera, ospite dei monaci benedettini di Schäftlarn, dove instaurò contatti con figure significative del movimento liturgico, come il teologo Romano Guardini, senza cessare di seguire le edizioni della Corsia dei Servi.
Invitato dagli amici fiorentini Mario Gozzini, Gian Paolo Meucci e Giorgio La Pira, allora sindaco della città, Turoldo poté far ritorno in Italia nel marzo del 1954, grazie alla disponibilità del priore della provincia toscana, padre Raffaele Taucci, che lo accolse nel convento servita della SS. Annunziata di Firenze. Si inserì ben presto nella nuova realtà religiosa e culturale: la sua parola risuonò nei numerosi circoli che divulgavano le voci più nuove della teologia cattolica, declinando i temi che stavano a cuore a quella generazione. Coadiuvato dal confratello Giovanni Vannucci, anch’egli accolto nella famiglia religiosa fiorentina, ripropose le attività caritative e culturali già promosse a Milano e trasformò il locale periodico dei Servi in una rivista formativa, aperta alle voci innovatrici del dibattito ecclesiale e teologico. Oltre a rafforzare vecchie amicizie, ne inaugurò di nuove, per prima quella con don Lorenzo Milani, con cui collaborò alla revisione dell’opera Esperienze pastorali, che avrebbe voluto pubblicare con le edizioni Corsia dei Servi, progetto poi non giunto in porto per la mancata concessione dell’imprimatur a Milano.
Gli anni fiorentini non interruppero i rapporti di Turoldo con il centro culturale milanese, sottoposto, sullo scorcio del declinante pontificato di Pio XII, a ripetuti interventi da parte delle autorità ecclesiastiche. Una vigile sorveglianza verso la Corsia dei Servi fu esercitata anche da Giovanni Battista Montini, dal novembre del 1954 nuovo arcivescovo di Milano, che guardò tuttavia con favore a quella realtà, come anche alla figura del servo di Maria. L’instancabile suo attivismo fu però di nuovo colpito non appena Ermenegildo Florit divenne vescovo di Firenze, nel 1958: Turoldo fu allontanato dalla città e dall’Italia e costretto a raggiungere il convento servita di St. Mary’s Priory a Londra, dove arrivò il 19 novembre 1958 e che fu la base per una lunga predicazione in Canada e negli Stati Uniti. Riuscì a tornare in Italia nell’ottobre del 1960 e si stabilì nel convento di S. Maria delle Grazie di Udine.
In questo periodo si cimentò con il cinema, realizzando il film Gli ultimi (1963), con la regia di Vito Pandolfi, e continuando la sua attività di scrittore e oratore: con un nuovo lavoro teatrale (La passione di San Lorenzo, Brescia 1961) e una nuova silloge poetica (Se tu non riappari... 1950-1961, Milano 1963); con la collaborazione a giornali e riviste, come L’Avvenire d’Italia e L’Osservatore romano – più avanti il Corriere della sera –; con la partecipazione a trasmissioni radiofoniche e televisive.
Il concilio Vaticano II fu salutato con entusiasmo da Turoldo, ed egli, animato da profonda consonanza con Giovanni XXIII, decise di stabilirsi nel paese di origine del papa, a Sotto il Monte (Bergamo). Nei locali dell’antica abbazia cluniacense di S. Egidio diede vita nell’ottobre del 1964 alla Casa di Emmaus, fraternità di preghiera e di accoglienza e centro di studi ecumenici costituita da religiosi e laici.
Con lo scoppiare delle lotte studentesche e operaie, la predicazione e la poesia di Turoldo innervarono sul principio evangelico della «scelta dei poveri» la protesta contro il modello di sviluppo capitalistico e le politiche imperialistiche, contro la guerra del Vietnam e le dittature dell’America Latina, contro i compromessi della Chiesa con poteri economici e politici. Motivi che trasferì nelle raccolte Il sesto Angelo. Poesie scelte (prima e dopo il 1968) (con Introduzione di A. Romanò, Milano 1976) e Il grande male (Milano 1987), oltre che nella sempre feconda e molteplice produzione in prosa.
La poesia di Turoldo accentuò in questi anni la qualità ‘antiletteraria’ della scrittura, il primato accordato alla comunicazione del messaggio rispetto alla cura degli aspetti formali che l’aveva sempre contrassegnata: una vocazione «sorprendentemente trasgressiva», come scrisse più tardi Giovanni Giudici (bandella di Canti ultimi, Milano 1991), che ne decretò l’emarginazione, salvo poche eccezioni, dall’ambiente letterario novecentesco. Chi, come Andrea Zanzotto, gli fu vicino, ne comprese «l’irrefrenabile impulso di trascinare in giudizio la storia e, in qualche punto, la divinità stessa» (Per David Maria Turoldo, in Id., Aure e disincanti nel Novecento letterario italiano, 1994, p. 355), che accostava la sua poesia al profetismo di ascendenza biblica e la chiamava in causa come forza salvifica. Attraverso la poesia Turoldo cantò «lo scandalo della speranza», come si intitolò una sua raccolta (doppiamente edita: Napoli 1978, Milano 1984), espressione che saldava desolazione del presente, lotta contro ogni forma di male – spirituale, morale, sociale –, prospettiva di un futuro liberato, riecheggiando suggestioni dell’allora molto divulgata «teologia della speranza» (con particolare riferimento a J. Moltmann, Teologia della speranza, Brescia 1969).
Di pari passo con l’impegno sociale e civile, nella convinzione che la preghiera «fa corpo» con la storia, sviluppò una specifica attenzione ai Salmi: compose inni e cantici e propose una versione metrica dell’intero salterio per il canto (cfr. Salterio corale. Salmi, inni e cantici della Liturgia delle ore, Bologna 1975); lavoro che continuò, dagli anni Ottanta in collaborazione con l’amico biblista Gianfranco Ravasi (cfr. «Lungo i fiumi...» I Salmi. Traduzione poetica e commento, Cinisello Balsamo 1987), che, ricordando quella esperienza, così lo ritrae nel ventennale della morte: «La sua figura imponente e sanguigna dalla quale fuorusciva una voce da cattedrale o da deserto, vanamente temperata dall’invincibile sorriso degli occhi chiari, aveva proprio nella Parola per eccellenza il suo alimento vitale» (La domenica con David, in Il Sole 24 ore, 5 febbraio 2012).
Emarginato dalla diocesi milanese, poté tornare a predicare in duomo a Milano dopo l’arrivo di Carlo Maria Martini, nuovo arcivescovo della città dal 1980. Fu lo stesso cardinale a consegnargli, il 21 novembre 1991, il premio Giuseppe Lazzati, riconoscendo il valore della sua opera e della sua testimonianza ecclesiale.
Minato da un cancro al pancreas che lo aveva colpito nel 1988, intensificò la sua incessante meditazione su Dio e sul male nelle opere che continuò a elaborare fino alla fine.
Si rimanda pertanto alle raccolte poetiche: O sensi miei... Poesie 1948-1988 (Note introduttive di A. Zanzotto [poi, Per David Maria Turoldo, in Id., Aure e disincanti..., Milano 1994, pp. 350-363] e L. Erba, Milano 1990), Canti ultimi (Milano 1991), Mie notti con Qohelet (Milano 1992), e al saggio Il dramma è Dio (Milano 1992), questi ultimi pubblicati postumi.
Morì il 6 febbraio 1992 presso la casa di cura San Pio X di Milano.
Fonti e Bibl.: Per la bibliografia completa delle opere di Turoldo e degli studi a lui dedicati si può vedere M. Maraviglia, David Maria Turoldo Ricognizione bibliografica su un protagonista della Chiesa italiana del Novecento, in Cristianesimo nella storia, XXXIV (2013), 3, pp. 879-926. Le fonti sono raccolte essenzialmente negli Archivi dei conventi dei servi di Maria in cui Turoldo visse i diversi momenti della sua vita: della provincia veneta a Monte Berico (Vicenza), di S. Carlo al Corso a Milano, di S. Maria delle Grazie a Udine, del convento della SS. Annunziata di Firenze, di Fontanella di Sotto il Monte (Bergamo), oltre che nell’Archivio generale dell’Ordine dei servi di Maria a Roma. Altra documentazione interessante è conservata negli Archivi dei luoghi istituzionali in cui Turoldo si trovò a operare (fra cui l’Archivio storico della diocesi di Milano, l’Archivio della Università cattolica di Milano, presso la cui biblioteca è conservata la tesi di laurea, e l’Archivio di Nomadelfia) e in quelli che conservano documenti di figure amiche, come l’Archivio della Fondazione don Primo Mazzolari di Bozzolo (Mantova) e il fondo Mario Gozzini conservato a Firenze presso l’Istituto Gramsci toscano. Tra le fonti va iscritto anche D.M. Turoldo, La mia vita per gli amici. Vocazione e resistenza, a cura di M. Nicolai Paynter (Milano 2002), ricavato da una lunga intervista concessa da Turoldo negli ultimi anni della sua vita.
Per la bibliografia si rinvia a G. Luzzi, L’altissima allegria. Saggi e prose per T., Sotto il Monte 2002; Laicità e profezia, la vicenda di D.M. T., a cura delle ACLI di Milano e del Priorato di S. Egidio, Palazzago 2003; R. Salvi, Davide. La parola e la comunicazione, Assisi 2006; D. Saresella, D.M. T., Camillo De Piaz e la Corsia dei Servi di Milano (1943-1963), Brescia 2008; P. Zanini, D.M. T. Nella storia religiosa e politica del Novecento, Milano 2013; M. Maraviglia, D.M. T. La vita, la testimonianza (1916-1992), Brescia 2016.