TUBERTINI, Giuseppe
Figlio di Angelo e di Rosa Soverini, nacque nel 1759 presumibilmente a Budrio, borgo della pianura bolognese dove i suoi antenati sono attestati dal XV secolo, in posizione sociale di un certo prestigio, avendo fatto parte a più riprese delle magistrature locali (Servetti Donati, 1963; Ori, 1981, p. 1). Il luogo di nascita, pur comunemente accettato dalla letteratura, è in realtà incerto, dal momento che il suo atto di battesimo non è presente nell’archivio parrocchiale di S. Lorenzo di Budrio, né in quello della vicina Pieve di Budrio e neppure in quello della cattedrale di Bologna. Nel primo archivio citato sono invece registrati i battesimi dei fratelli Girolamo (1766), Filippo (1768), Filippo e Angela Maria Camilla (gemelli, 1771), Angela Maria Margherita (1773), Filippo Antonio (1776). La circostanza lascia intuire che Giuseppe possa essere stato battezzato in altra chiesa del circondario budriese.
La formazione architettonica di Tubertini avvenne nell’alveo dell’Accademia Clementina, dove ebbe modo di studiare con maestri come Giuseppe Jarmorini, del quale fu allievo prediletto (Ori, 1981, p. 2), e Francesco Tadolini; alla loro scuola conobbe le recenti tendenze dell’architettura bolognese, che, su consiglio di Francesco Algarotti, stava riscoprendo le severe forme del Cinquecento maturo e abbandonando i modi ricercati del tardobarocco di Carlo Francesco Dotti e Alfonso Torreggiani. Nel corso dell’esperienza accademica, il giovane Tubertini vinse il premio Fiori per tre volte negli anni 1778-80 e concorse nel 1778 per il premio Marsili Aldrovandi; riuscì a vincere questo secondo premio negli anni 1779 e 1780, seppure entrambe le volte ex aequo con Cesare Lunardi (Giumanini, 2003, pp. 37, 156). I progetti presentati (Portone dorico, con atrio per una scuderia ducale nel 1779 e Un arco trionfale in prospettiva, il quale mostra d’esser eretto pel ritorno d’un re trionfante nel 1780) sono elaborati che mostrano una notevole padronanza dei mezzi del disegno, pur presentando composizioni un po’ rigide che, in un’algida elaborazione dei modelli dei maestri Tadolini e Jarmorini, preannunciano già la strada neoclassica sulla quale Tubertini si stava avviando, seppure con minore decisione rispetto ad Angelo Venturoli, di poco più maturo. I rapporti con l’Accademia Clementina proseguirono anche oltre la fine degli studi: Tubertini svolse presso di essa attività d’insegnamento come direttore di architettura dal 1794 e divenendone principe nel 1800. Figurò anche come giurato del premio Curlandese negli anni 1789, 1792, 1794-95, 1801 (Ori, 1981, pp. s.; Giumanini, 2003, p. 175).
L’attività professionale di Tubertini ebbe inizio già nel periodo degli studi: al 1779 risale il suo impegno per la ricostruzione della medievale porta di sotto di San Giovanni in Persiceto (Bologna); la facciata fu però realizzata due anni dopo dall’architetto pubblico Gian Giacomo Dotti (Ori, 1981, pp. 10 s.). La sua prima vera opera, iniziata nel 1783 e completata nel 1789, fu il rifacimento della chiesa di S. Agata di Budrio (ibid., p. 53; Biagi Maino, 1995, p. 404); in questo edificio, Tubertini mostra già le caratteristiche del suo lavoro futuro, con una sicura linea di moderato classicismo, evidente soprattutto nel coro transennato da colonne, chiaro riferimento alla chiesa palladiana del Redentore a Venezia, già impiegato da Tadolini nella chiesa di S. Domenico a Faenza qualche anno prima (1760-66). Un altro edificio sacro fu l’occasione per Tubertini di farsi conoscere anche nel contesto urbano: nel 1784 i confratelli di S. Maria dei Guarini (compagnia laicale della quale egli era membro) gli commissionarono il rifacimento del loro oratorio, e poco dopo anche quello della chiesa sottostante di S. Giobbe (Bianconi, 1826, p. 47; Ori, 1981, pp. 51 s.; Lenzi, 2000, p. 539). I due ambienti, tuttora leggibili per quanto il secondo sia stato trasformato in galleria commerciale, mostrano un garbo decorativo ancora tardobarocco, forse su precisa disposizione della committenza. Di tutt’altro segno è il rifacimento delle pertinenze posteriori del palazzo Zani in via S. Petronio Vecchio, commissionate dal tesoriere pontificio Antonio Odorici (Reggio, 2000, pp. 33 s.): il fabbricato, di cui si conserva la facciata, si caratterizza per un portico su pilastri e una composizione estremamente asciutta, visto il suo carattere utilitaristico. Sempre al 1785 risalgono i primi contatti con l’Arciconfraternita della Vita per la costruzione della cupola di S. Maria della Vita, mentre i lavori di cantiere si svolsero nel 1787 (Matteucci Armandi, 1969; Ori, 1981, pp. 41-47; Galeazzi, 2007): la commissione, sicuramente una delle più allettanti in città, mirava a concludere la monumentale chiesa a pianta centrale, iniziata alla fine del secolo precedente. Non sono chiari i motivi per i quali i confratelli preferirono per questo fondamentale lavoro il giovane Tubertini a Francesco Tadolini, che si era interessato ai lavori, o ad Angelo Venturoli, che aveva già realizzato pochi anni prima l’altar maggiore della chiesa e del quale si conservano disegni proprio per la cupola; forse l’appartenenza di Tubertini alla Compagnia dei Guarini lo rendeva particolarmente gradito in ambito confraternale. La cupola, vero landmark urbano e perfettamente visibile da piazza Maggiore al di sopra della facciata vignolesca dei Banchi, si qualifica per le linee estremamente rarefatte (vivacizzate dagli otto obelischi che sormontano il tamburo), del tutto antitetiche rispetto alla ricchezza dei progetti di primo Settecento (Pascale Guidotti Magnani, 2020, p. 15).
Nel 1786 iniziò per Tubertini la complessa vicenda della costruzione del teatro di S. Giovanni in Persiceto (Ori, 1981, pp. 23-28; Spada, 1995). In effetti, dopo un interessamento di Gian Giacomo Dotti e di Tadolini, un intervento del cardinal legato Ignazio Gaetano Boncompagni e dei senatori Ludovico Savioli e Cesare Malvasia fece propendere per affidare l’incarico progettuale a Tubertini. I due architetti più esperti, tuttavia, mantennero una funzione di controllo dei lavori, muovendo critiche e apportando correzioni ai disegni di Tubertini, tanto che nella fabbrica attuale risulta difficile stabilire che cosa gli spetti di preciso. Il risultato fu comunque una sala teatrale di grandissima eleganza pur nella semplicità del lessico usato. Il partito architettonico si discosta dai modelli bibieneschi per avvicinarsi allo spirito neocinquecentista allora in voga a Bologna e soprattutto a quanto aveva appena realizzato Giuseppe Pistocchi nel teatro di Faenza: sopra un basamento traforato di palchetti si eleva un ordine gigante di lesene ioniche che regola la disposizione dei palchetti del secondo e del terzo ordine; un’ampia balconata conclude il tutto, mentre il boccascena è inquadrato da due colonne libere di ordine corinzio. Inaugurato al grezzo nel 1790, il teatro fu completato nei suoi aspetti decorativi nel 1810, per opera del pittore scenografo Francesco Santini, sotto la supervisione di Tubertini. Sempre a San Giovanni in Persiceto, e sempre nel 1786, Tubertini eseguì lo scalone del palazzo municipale (Ori, 1981, p. 48), adiacente al teatro, con due rampe in linea, coperte da volte a botte e variamente affacciate sulle logge quattrocentesche del cortile.
Nel 1787 fu incaricato di due perizie della volta della sala d’Ercole nel palazzo comunale di Bologna, che minacciava rovina (Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, d'ora in poi BCABo, Mss. B, 4526), mentre al 1788 risalgono i progetti per la risistemazione del salone del medievale palazzo dei Notai (BCABo, Fondo Malvezzi, cart. 81, nn. 42-46; Salmi, 1969, pp. 11 s.; Ori, 1981, p. 61; Lenzi, 2000, p. 539); i disegni propongono un rinnovamento dell’ambiente in forma ovale, circolare, ottagonale o rettangolare, con o senza uno spazio per un altare, ma sempre con profusione di colonne libere. Alla fine, però, fu approvato ed eseguito nel 1792 il progetto più semplice, in forma rettangolare e con semplici lesene corinzie ai fianchi. Oggi non resta nulla di questo intervento, a causa dei restauri che interessarono il palazzo all’inizio del Novecento per opera di Alfonso Rubbiani. Nello stesso anno, Tubertini fu incaricato del rifacimento della guglia del campanile di S. Michele in Bosco (Guidicini, 1872) e della ricostruzione della chiesa parrocchiale di S. Andrea degli Ansaldi (BCABo, Fondo Malvezzi, cart. 21, n. 9; cart. 81, n. 47; Ori, 1981, p. 50), movimentando il piccolo ambiente con lesene ioniche e due colonne libere davanti all’altar maggiore; a due anni più tardi risale il rinnovamento di un’altra piccola chiesa, l’oratorio del Crocifisso al Porto Navile, con portico e interno ravvivato da lesene ioniche che ancora echeggiano i modi di Tadolini (BCABo, Cartella Gozzadini, 23, n. 125; Ori, 1981, pp. 51 s.). Di maggiore respiro fu l’intervento della chiesa di S. Maria Rotonda e del sovrastante oratorio di S. Giovanni dei Fiorentini (1792-93; Guidicini, 1870; Ori, 1981, pp. 55-57): la chiesa, per quanto trasformata oggi in negozio, mostra ancora l’impianto ovale di colonne ioniche, inserite in un ambiente rettangolare, chiara riproposizione di uno dei progetti non eseguiti per il palazzo dei Notai. Due chiese nel contado concludono l’operato di Tubertini nella Bologna dell’ancien régime: tra il 1794 e il 1799 furono ampliate la cappella maggiore e le due laterali di S. Lorenzo di Budrio, completamente rinnovata pochi decenni prima da Torreggiani (Giordani, 1835; Ori, 1981, p. 63; Biagi Maino, 1995, p. 141), mentre del 1798 è la chiesa parrocchiale di S. Danio di Amola (Ori, 1981, pp. 65 s.), dall’elegante interno in stile ionico.
La parentesi francese e napoleonica a Bologna, iniziata nel 1797, diede a Tubertini, che fin allora si era occupato soprattutto di edilizia ecclesiastica, l’occasione di dedicarsi a tempo pieno a opere di ingegneria e di architettura civile, fino a essere nominato, nel 1803, architetto pubblico. La soppressione di un gran numero di conventi, di enti ecclesiastici, nonché delle corporazioni di origine medievale, rendeva necessaria la stima di un gran numero di beni immobiliari messi all’incanto, operazione della quale fu incaricato, tra gli altri, anche Tubertini (piante del convento di S. Domenico, con Giovanni Bassani: BCABo, Cartella Gozzadini, 23, nn. 165, 169; perizie dei beni delle arti dei Bombasari, Brentari, Cappellari, Fabbri, Gargiolari: BCABo, Fondo Gozzadini, n. 310, fasc. 2-3, 6-7, 10). In uno di questi immobili, l’ex convento delle domenicane di S. Maria Nuova, fu installata la manifattura dei tabacchi, su progetto di Tubertini (BCABo, GDS, Cartella Antolini, 41-48, 51; Ori, 1981, pp. 67-69; Bersani, 2001, p. 122). Inoltre, Tubertini progettò e realizzò, insieme a Giuseppe Guidicini, un sistema di illuminazione pubblica per Bologna (Guidicini, 1868), e, sempre insieme a lui, un riordino della numerazione civica delle strade, nonché della toponomastica, con l’apposizione di «lapidette» marmoree ancora sporadicamente visibili (Ori, 1981, p. 3). Nel 1801 fu impegnato nel lavoro di chiusura e riempimento delle trentotto arche sepolcrali parrocchiali, in vista della prossima apertura del cimitero della Certosa (Ceccarelli, 2007, p. 74). Insieme a Giovanni Battista Martinetti sistemò i pubblici passeggi lungo le mura e il giardino della Montagnola (Ori, 1981, p. 5). Nel 1805, per la visita di Napoleone a Bologna, la Municipalità fece erigere un arco di trionfo effimero sulla via Emilia, a poca distanza da porta S. Felice; tale arco fu progettato da Martinetti insieme a Tubertini e a Bassani, mentre la parte pittorica e scultorea fu affidata a Felice Giani e a Gaetano Bertolani (Ori, 1981, pp. 71-73). Tra le opere minori del periodo francese, si ricorda la loggetta tuscanica per l’ufficio di residenza della fiera dei bozzoli di seta, posta dietro a S. Petronio e oggi non più esistente (1798; BCABo, GDS, Raccolta di disegni di vari autori, cart. 6, n. 1086; Ori, 1981, p. 64).
Durante la Restaurazione, Tubertini continuò a essere attivo. Al 1817 risale il progetto di una pescheria a porta Ravegnana, e agli anni 1818-20 il restauro del bibienesco teatro Comunale; sempre in ambito teatrale, si ricordano le perizie svolte nel 1821 e nel 1828 per constatare il degrado del teatro Marsigli Rossi (Calore, 2004, pp. 58, 60), che fu infatti abbandonato e successivamente demolito. Del 1820-22 è la costruzione dello sferisterio (Ori, 1981, pp. 76-78; Calore, 2004, p. 79), dalla severa facciata laterizia ad archi inquadrati da semicolonne doriche. Nel 1825 progettò le nuove gabelle di porta S. Stefano, edificio realizzato solo nel 1849 da Filippo Antolini (Norma e arbitrio, 2001). Di una certa rilevanza fu l’impegno professionale dispiegato da Tubertini nel nuovo cimitero della Certosa: si ricordano il monumento funerario della famiglia Cella nel chiostro I (Ori, 1981, p. 80), l’emiciclo del chiostro V, il Pantheon o sala degli Uomini illustri (per il quale Tubertini riprende il modello a lui caro dello spazio ellittico definito da colonne libere, inserito in un ambiente rettangolare), la prospettiva architettonica d’ingresso al chiostro dei monumenti. Nel 1831 Tubertini allungò la chiesa della Trinità, inglobando parte della chiesa interna delle monache gesuate nell’ambiente principale (Ori, 1981, p. 82). Ultimo incarico di peso fu per Tubertini la costruzione del fabbricato delle Scuole pie: l’edificio, frutto della riconversione di parte del convento di S. Domenico, fu iniziato nel 1828 e portato a termine, dopo la morte di Tubertini, dal giovane ingegnere comunale Luigi Marchesini (Bellettini, 2001, pp. 12 s.). All’anziano maestro si debbono soprattutto l’atrio di accesso e la monumentale sala della biblioteca, a tre navate su colonne corinzie (Merlo, 1987, pp. 143 s., 146).
Morì il 5 febbraio 1831, secondo il foglio di seppellimento (Archivio storico comunale, foglio di seppellimento n. 3052, 7 febbraio 1831), mentre la data del 4 febbraio è attestata dalla lapide che copre la sua sepoltura nel cimitero della Certosa, fatta porre da Filippo Miserocchi e dall’allievo Luigi Marchesini.
Aveva sposato Clementina Nobili e abitava in via S. Stefano 78, nei pressi della chiesa della Trinità alla quale si era dedicato poco prima della morte.
La parabola professionale di Tubertini alterna momenti di pregevole qualità (come le chiese di S. Agata e S. Lorenzo a Budrio o il teatro di San Giovanni in Persiceto) a incarichi di natura strumentale: al volgere del secolo, la funzione di architetto pubblico gli procurò occasioni importanti, come la sovrintendenza del grande cantiere del cimitero della Certosa. Per tutta la vita, inoltre, Tubertini non disdegnò modeste commissioni di tipo peritale per privati (restano ad esempio suoi disegni per la casa Zoboli di via de’ Toschi: BCABo, Cartella Gozzadini, 23, n. 30; o una lettera che documenta un incarico relativo al raddrizzamento di una strada affidatogli dal conte Francesco Rangoni: BCABo, Mss. B, 2804). In generale, l’opera di Tubertini si caratterizza per un classicismo misurato, ancora in parte imbevuto delle suggestioni tardobarocche apprese all’Accademia Clementina; queste caratteristiche probabilmente non gli giovarono in età napoleonica, quando s’imposero personaggi come Martinetti o Giuseppe Nadi, capaci di padroneggiare un linguaggio magniloquente, sicuramente più gradito al potere imperiale. Anche durante la Restaurazione, Tubertini mantenne un profilo cauto, replicando invenzioni già sperimentate, ma senza perdere la padronanza del gesto compositivo né la misurata eleganza che contraddistinguono le sue opere.
Budrio, Archivio parrocchiale di S. Lorenzo, Atti battesimali, ad annum; Bologna, Archivio storico del Comune, Carteggio amministrativo, titolo VIII; Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Fondo Gozzadini, 310, Stati delle corporazioni soppresse, anno 1797; Fondo Malvezzi, cart. 21, n. 9; cart. 81, nn. 42-47; Mss. B, 2803, Corrispondenza del conte Francesco Rangone; 4526, Perizie relative al Palazzo Comunale, 1786-92, nn. 4, 8; Gabinetto Disegni e Stampe, Cartella Antolini, 41-48, 51; Cartelle Gozzadini, cart. 23, nn. 30, 125, 165, 169; Raccolta disegni di vari autori, cart. 6, n. 1086. G. Bianconi, Guida del forestiere per la città di Bologna e suoi sobborghi, Bologna 1826, p. 47; G. Giordani, Indicazione delle cose notabili di Budrio, Bologna 1835, p. 60; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, I, Bologna 1868, pp. 23 s., III, 1870, p. 104; Id., Miscellanea storico-patria bolognese, Bologna 1872, p. 147; G. Forni, Persiceto e San Giovanni in Persiceto, dalle origini a tutto il secolo XIX, Bologna 1921, pp. 418; F. Servetti Donati, Budrio casa nostra, Budrio 1963, p. 545; A.M. Matteucci Armandi, Carlo Francesco Dotti e l’architettura bolognese del Settecento, Bologna 1969, pp. 60, 136; M. Salmi, Introduzione, in G. Cencetti, Il Palazzo dei Notai in Bologna, Roma 1969, pp. 9-13; N. Ori, Giuseppe Tubertini, tesi di laurea, Università di Bologna, 1981; R. Merlo, Le vicende del convento di San Domenico dal 1796, in Archeologia medievale a Bologna. Gli scavi nel convento di San Domenico (catal. Bologna), a cura di S. Gelichi - R. Merlo, Casalecchio di Reno 1987, pp. 143-147; D. Biagi Maino, Gaetano Gandolfi, Torino 1995, pp. 141, 404; C. Spada, in Le stagioni del teatro. Le sedi storiche dello spettacolo in Emilia-Romagna, a cura di L. Bortolotti, Bologna 1995, pp. 241-243, scheda 79; D. Lenzi, Architettura di «utilità pubblica» e di «magnificenza pubblica» a Bologna nel secolo dei Lumi, in L’edilizia pubblica nell’età dell’Illuminismo, a cura di G. Simoncini, II, Firenze 2000, pp. 511-540; S. Reggio, Le vicende costruttive e decorative di Palazzo Zani. Alcune precisazioni sugli affreschi di Guido Reni, in Atti e memorie dell’Accademia Clementina, XL (2000), pp. 17-48; P. Bellettini, Momenti di una storia lunga due secoli, in Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, a cura di P. Bellettini, Fiesole 2001, pp. 9-49; C. Bersani, Il Gabinetto dei disegni e delle stampe, ibid., pp. 119-137; Norma e arbitrio. Architetti e ingegneri a Bologna, 1850-1950, a cura di G. Gresleri - P. Massaretti, Venezia 2001, pp. 32, 78; M. Giumanini, Competere in arte. I concorsi Fiori e Marsili Aldrovandi dell’Accademia Clementina, Bologna 2003, pp. 37, 156, 175; M. Calore, Storie di teatri, teatranti e spettatori, in P. Busi - M. Calore, In scena a Bologna: il fondo Teatri e Spettacoli nella Biblioteca dell’Archiginnasio in Bologna (1761-1864, 1882), Bologna 2004, pp. 11-118; F. Ceccarelli, La «cittadella tumularia»: progetti architettonici di Ercole Gasparini per il cimitero della Certosa di Bologna in età napoleonica, in L’architettura della memoria in Italia. Cimiteri, monumenti e città, 1750-1939, a cura di Maria Giuffrè et al., Milano 2007, pp. 74-83; G. Galeazzi, La grande cupola di Santa Maria della Vita, in Il Carrobbio, XXXIII (2007), pp. 91-108; D. Pascale Guidotti Magnani, «Le più squisite fabbriche … intagliate in rame alla guisa di quelle di Roma». Un atlante incompiuto dell’architettura moderna bolognese agli albori del Settecento, in Studi sul Settecento romano, 36 (2020), pp. 11-51.