TRANCHINA, Giuseppe
– Nacque a Palermo da Angelo e da Sebastiana Pagano il 7 settembre 1797.
Di umili origini, compì studi regolari laureandosi in medicina nel luglio del 1815, per poi conseguire anche la laurea in chirurgia nel gennaio del 1828. Ricoprì il ruolo di dimostratore anatomico alla Regia Università, e nel 1822, grazie all’appoggio degli studenti, ottenne l’insegnamento di anatomia ad interim. Promosso a settore anatomico l’anno successivo, venne però superato nel concorso a cattedra da Giovanni Gorgone, di qualche anno più giovane, nel 1825. Inoltre, alternò all’attività didattica anche quella clinica, come suggerisce il suo ruolo di ufficiale di salute all’ospedale militare di Palermo. A conferma di questo dato, negli anni Venti del XIX secolo, Tranchina fu il primo a esercitare la medicina omeopatica in Sicilia, utilizzando tale pratica per il trattamento delle malattie veneree.
Egli fu particolarmente noto per aver messo a punto un metodo d’imbalsamazione dei cadaveri economico e veloce, che non prevedeva alcuna eviscerazione delle cavità corporee, fino a quel momento ampiamente eseguita. Questo consisteva in una semplice iniezione di fluido conservativo nell’arteria carotide.
Nel febbraio del 1834, l’annuncio del ritrovato aveva suscitato un notevole interesse; in questo modo era infatti stato trattato il corpo del principe Corrado Valguarnera di Niscemi, spentosi sul finire dell’anno precedente e poi presentato al pubblico per la pompa funebre. Di lì a poco, Tranchina si occupò anche della salma del cardinale Giacinto Placido Zurla che, morto a Palermo nell’ottobre dello stesso anno, doveva essere trasportato a Roma per la sepoltura. L’imbalsamazione del prelato, che una volta esposto nel 1835 appariva come spirato da pochi istanti, venne apprezzata persino da papa Gregorio XVI, che volle insignire Tranchina di alcune medaglie e dell’Ordine dello Speron d’oro, finanche disponendo che se ne facesse menzione nel breve. Durante il viaggio di ritorno, lo studioso siciliano si recò a Napoli, ed ebbe modo di dimostrare il proprio sistema dinnanzi all’ispettore degli ospedali militari, Antonio Alvarez-y-Lobo: quest’ultimo, accompagnato da una schiera di funzionari pubblici e membri della classe medica, organizzò più dimostrazioni presso l’ospedale militare della Trinità, in un periodo compreso tra il marzo e il dicembre di quell’anno.
Tranchina fu presto indotto a rivelare il proprio sistema, tenuto fino ad allora segreto, dall’emanazione di un regio rescritto datato aprile 1835. Il documento, oltre a insignirlo del piccolo Ordine di Francesco I, gli attribuì una remunerazione di 3000 ducati, la promozione a secondo medico dell’ospedale militare della propria città, nonché la privativa di applicare il metodo nella stessa per ben dieci anni a partire dal gennaio del 1836.
La rivelazione delle componenti chimiche usate da Tranchina avvenne nel maggio di quell’anno. La sua formula consisteva in una soluzione acquosa o alcolica di deutossido di arsenico e deutosolfuro di mercurio, iniettata nel sistema vascolare attraverso una cannula e per mezzo di una siringa. L’originalità del metodo ideato dallo scienziato, però, non era stata condivisa da quel Giovanni Gorgone precedentemente menzionato, che tentò di ridimensionarne la portata attraverso l’operato dei suoi assistenti, Giambattista Gallo e Filippo Parlatore. A tale scopo, tra il 1834 e il 1835, essi misero a punto dei sistemi di conservazione personali, atti a ottenere i medesimi risultati di Tranchina. La polemica dagli aspri toni che ne scaturì coinvolse anche altri accademici, come il patologo Michele Pandolfini, il chirurgo Rocco Solina e il futuro medico legale Gaetano Algeri Fogliani. Ciononostante, il sistema tranchiniano si diffuse ampiamente e venne impiegato per la conservazione di soggetti più o meno noti nel corso del XIX secolo, come la regina Maria Cristina di Savoia a Napoli e il detenuto Gaetano Arrighi a Livorno. Ancora agli inizi del XX secolo, numerose scuole anatomiche lo applicavano proficuamente per la preparazione dei cadaveri.
Nell’ultimo periodo della propria esistenza Tranchina si dedicò alla cura dei pazienti. Ebbe un fratello, Luigi, che ne seguì le orme.
Morì prematuramente il 9 luglio 1837, durante l’epidemia di colera che imperversava a Palermo.
Fonti e Bibl.: G. Gorgone, Osservazioni del professore Giovanni Gorgone sopra due articoli su di un nuovo metodo di conservare i cadaveri umani del professor Michele Pandolfini, s.l. s.d. (estr. da Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, XXXIII); R. Solina, Cenni sull’origine e sull’uso della conservazione dei cadaveri umani, Palermo 1835; G. Tranchina, Ragguaglio su la esposizione de’ cadaveri, Napoli 1836, pp. 8 s.; O. Lo Bianco, G. T., in Biografie e ritratti d’illustri siciliani morti nel cholera l’anno 1837, a cura di A. Linares - V. Linares, Palermo 1838, pp. 140 s.; L. Tranchina, Breve cenno sullo sparo e iniettamento col nuovo metodo fatto sul cadavere del D. D. Antonio Torretta, Palermo 1840; F. Di Colo, L’imbalsamazione umana. Manuale teorico-pratico, Milano 1910, p. 81; A. Lodispoto, Storia della omeopatia in Italia. Storia antica di una terapia moderna, Roma 1987, pp. 59 s., 265; P. Livoti, Medicina accademica. Appunti per una storia della facoltà medica di Palermo, Napoli 2001, pp. 45 s.; S. Marinozzi - G. Fornaciari, Le mummie e l’arte medica nell’evo moderno, suppl. a Medicina nei secoli, 2005, n. 1, pp. 81 s., 315 s.; O. Cancila, Storia dell’università di Palermo dalle origini al 1860, Roma-Bari 2006, pp. 274 s.; R. Ciranni, La medicina omeopatica nel meridione d’Italia prima dell’unità, in Salerno Medica. Annali della Scuola Medica Salernitana, V (2011), pp. 195-208; D. Piombino-Mascali, Le catacombe dei Cappuccini. Guida storico-scientifica, Palermo 2018, pp. 36 s.