TORRETTI, Giuseppe
TORRETTI (Torretto), Giuseppe. – Nacque a Pagnano d’Asolo da Giovanni e da una Caterina il 29 agosto 1664, come dichiarato dall’atto di battesimo del 31 agosto successivo (Vio, 1984, p. 209, doc. I; invece Visentin, 2009, e Fedeli, 2015, p. 18, riportano ancora il millesimo 1661).
Grazie alle testimonianze di stato libero, rilasciate in vista del suo matrimonio con la triestina Barbara del quondam Martino Rosaniz, celebrato il 14 gennaio 1691, veniamo a sapere che Torretti giunse a Venezia intorno al 1680, e che a quell’epoca entrò nella bottega dell’ancora sfuggente intagliatore Antonio Raffaeli, come affermato dal figlio di questi, Girolamo (Vio, 1984, pp. 209-211; Rossi, 2002).
Già a partire dagli anni Novanta del Seicento, ricoprì all’interno dell’arte degli intagliatori, in cui è menzionato per la prima volta il 30 novembre 1690 (Rossi, 1999, pp. 285, 288 nota 6), differenti e sempre più importanti cariche, fino almeno al quinto decennio del XVIII secolo. Nel luglio del 1691 fu eletto, infatti, tra i tre «aggiunti alle prove» (p. 288 nota 6), mentre l’anno successivo, nello stesso mese, venne nominato avicario dell’arte, ruolo che rivestì continuativamente anche tra il 1697 e il 1700 (ibid.).
Al netto di questa sua assidua attività negli organismi di governo di quella corporazione, che attesta l’esistenza a quell’altezza cronologica d’una bottega già ben avviata, non conosciamo alcuna opera – né in legno, né in marmo – riferibile al momento tardosecentesco della biografia artistica di Torretti. Sappiamo, però, che entro il 1698 lo scultore realizzò sicuramente un «letto d’intaglio» per la famiglia Zane, di cui sfortunatamente si sono perse le tracce (Favilla - Rugolo, 2009, p. 129).
Sul versante della vita privata, in quell’ultimo decennio Giuseppe ebbe dall’unione con Barbara due figli: Giovanni Maria, che venne alla luce nel dicembre del 1691 (Vio, 1984, pp. 204, 208 nota 9), per morire prematuramente nel gennaio successivo (p. 208 nota 10), e Giovanni Antonio, battezzato nella parrocchia di S. Marziale, a Cannaregio, il 9 aprile 1693 (p. 208 nota 11), che scomparve il 5 novembre 1712, all’età di diciannove anni, stroncato da «febre et ethisia» (p. 208 nota 15).
Il primo contratto a noi noto è quello tra l’artista e la Scuola del SS. Sacramento della chiesa di S. Sofia a Venezia per la realizzazione di un «baldacchino» ligneo (Vio, 2004). Benché di questo lavoro non si abbiano più notizie, ci rimane, invece, la statua policroma raffigurante S. Antonio di Padova con il Bambino, che sappiamo spedita da Venezia all’arcipretale di Paderno del Grappa nel marzo del 1700 (Farronato, 1999) e «che si qualifica come il prototipo di un soggetto in seguito più volte affrontato dall’artista in marmo» (De Vincenti - Guerriero, 2009, p. 139).
Al 1702 risale la commissione da parte del noto pittore Antonio Molinari di due statue lignee dei ss. Pietro e Paolo, non più rintracciabili, che Torretti eseguì per l’altare maggiore di S. Margherita a Venezia (Favilla - Rugolo, 2009, p. 130).
Fu in questa decade che lo scultore andò consolidando il suo ruolo sul palcoscenico artistico lagunare, tanto da venire designato, nel 1703 e nel 1704, «gastaldo», e, l’anno successivo, «sindaco» dell’arte degli intagliatori (Rossi, 1999, p. 288 nota 6). Inoltre, in questo medesimo periodo, s’impegnò personalmente nella costituzione di un «sovegno» votato a s. Lorenzo Giustiniani, con sede nella chiesa di S. Sofia (Vio, 1984, pp. 204, 208 nota 18).
Nel 1706 cambiò zona di residenza. Dalla parrocchia di S. Marziale si trasferì con l’intera famiglia – la moglie e l’unico figlio rimasto – in quella di S. Marina, nel sestiere di Castello, dove, oltre all’abitazione, installò definitivamente la sua bottega in un edificio di proprietà del nobiluomo Pietro Contarini, ubicato nella «Corte del Frutariol» (ibid., pp. 204, 208 nota 12).
Fu proprio in quei locali che gli venne consegnato, il 23 gennaio 1708, il blocco di marmo per la figura di S. Andrea destinata a decorare una delle nicchie del transetto della basilica benedettina di S. Giorgio Maggiore, cui seguirono poi altre tre statue, da lui ugualmente scolpite, rappresentanti S. Giacomo Maggiore, S. Bartolomeo e S. Tommaso (Rossi, 1999, con bibliografia). A differenza di queste ultime tre, però, il S. Andrea denuncia un impianto ancora tardobarocco – lecourtiano, verrebbe da dire – così differente da quel linguaggio che avrebbe connotato il modus operandi di Torretti per gran parte della sua futura carriera, fatto di «piani più tesi e più rotti», caratterizzato da «forme più complesse e ritmi più minuti» (Semenzato, 1964, p. 126), e in cui si manifesta la sua totale adesione alle istanze della corrente classicista, quella che contrassegnò l’intero Settecento e che finì per «piacere ai dotti e ai migliori» (De Vincenti, 2002, p. 221).
Fu questa una conversione di gusto cui Torretti aderì totalmente anche in conseguenza del suo soggiorno romano di tre anni dopo: la «chiave di volta» – com’è stato suggerito da Monica De Vincenti – «del percorso stilistico di questo valente artista» (ibid., p. 224).
La notizia di tale viaggio è fornita da Tommaso Temanza nelle pagine del suo Zibaldon riservate a Pietro Baratta: «Circa l’anno 1710 Pietro andò a Roma per vedere quella città, e di passaggio Firenze, Pisa etc.: con lui s’unirono Domenico Rossi e Zuanne Scalfuroto architetti, Iseppo Toretti scultore, e Domenico Piccoli ingegnere del Magistrato alle acque et architetto autore dell’altar maggiore in S. Girolamo, et il signor Biagio Isperge diletante di disegno» (Temanza, 1738, 1963, p. 74). Come si desume da una lettera scritta da Carlo Antonio Rossi il 28 marzo 1711, in cui Domenico Rossi e i suoi «camerati» sono ricordati per l’appunto nella città pontificia, questa nutrita compagnia si trovava certamente nell’Urbe nella primavera di quell’anno (Rossi, 2000, p. 47 nota 2).
Entro il 1711 Torretti dovette consegnare il Crocifisso ligneo a tutt’oggi visibile nella chiesa di S. Moisè e che è ricordato nella Pallade veneta come «Crocefisso lavorato dall’ingegnosissimo Torretti scultore, et affisso ad una croce incrostata a tartaruga e madreperla di singolare artificio» (Favilla - Rugolo, 2009, p. 130; Delorenzi, 2016, p. 74, PV 113).
Fondamentale, a questo punto della carriera, fu certamente il legame che Torretti andò instaurando, insieme ad alcune delle personalità che lo affiancarono nel viaggio romano, con una delle famiglie di recente aggregazione (1651) al patriziato veneziano: i Manin, ricchissimi mercanti friulani che diedero alla Repubblica l’ultimo doge della sua gloriosa storia. Il primo rapporto di lavoro documentato tra lo scultore e questo casato risale all’11 marzo 1705, quando furono versate «al signor Giusepe Toreti» 155 lire «a conto di una statua di marmo rapresentante un Narcise al fonte» destinata ad arricchire gli ambienti del palazzo Dolfin-Manin a Rialto, opera a tutt’oggi dispersa (Frank, 1996, p. 365, doc. 10). Al 1716 data invece la commissione della statua dell’Arcangelo Michele per la cappella Manin nella chiesa veneziana degli Scalzi (S. Maria di Nazareth), ove si trova in pendant con l’Arcangelo Raffaele di Antonio Tarsia, il maestro di Antonio Corradini, uno dei capifila della corrente degli scultori cosiddetti riformati. Qui si trovano anche, collocate sul lato sinistro del presbiterio, tre Sibille la cui paternità spetta, come intuito da Camillo Semenzato (1966, p. 108), al medesimo Torretti.
L’anno successivo, per volontà di Romanello Manin, fu concesso a Giuseppe un acconto per i lavori dell’altare maggiore del duomo di Udine (Frank, 1986, p. 181), che gli furono saldati tra il 1718 e il 1719 insieme a una scultura di S. Michele Arcangelo per la chiesa di Rivolto, vicino a Codroipo (pp. 169, 182). Nella cattedrale udinese, Domenico Rossi – l’architetto con il quale lo scultore si era recato a Roma qualche anno prima – «aveva realizzato uno spazio aperto introducendo giochi di luce che rimasero eccezionali nell’architettura veneta dell’epoca ed immaginando il coro come un grande scenario» (Semenzato, 1964, p. 127), ove il gruppo dell’Annunciazione, formato da due statue libere poste ai lati della mensa eucaristica, e la figura del Beato Bertrando, visibile, semidistesa, al di sotto dell’altare stesso, potessero spiccare fin dall’ingresso dell’edificio. Quest’ultima immagine, però, «non è» – come affermato da Semenzato – «un’immagine funerea» (ibid.). Il Bertrando scolpito da Torretti è infatti percorso «da una dinamica tensione», e «per quanto sovrastato dalla linea della mensa esso è libero, e sembra, quasi sorretto dai drappeggi che si gonfiano gloriosamente come le volute dei sostegni, nell’atto di sorgere» (ibid.).
Nel duomo cittadino, così come in tutto il Friuli (Goi, 1996), Giuseppe partecipò ad altre imprese, legate solo in parte al mecenatismo dei Manin, che, da questo momento, divennero i suoi principali committenti. Se di non secondaria importanza è la presenza di un suo gruppo allegorico, personificante la Generosità e Sostanza, nel Monumento di Manino Manin, visibile alla parete sinistra del presbiterio (da ultimo, soprattutto per un chiarimento iconografico, De Vincenti, 1997, con bibliografia), non vanno dimenticati gli intagli da lui realizzati per il magnifico coro ligneo della stessa chiesa (Goi, 1985) e le sculture collocate nei vari altari lì presenti, come ad esempio i marmi che arricchiscono quello nella cappella del Ss. Sacramento.
Nel mentre la collaborazione con i Manin s’intensificava via via (con la realizzazione, tra l’altro, della decorazione della chiesola della loro villa di Passariano e della cappella di S. Maria dell’Umiltà a Udine; Frank, 1996, pp. 134-139), l’artista non mancò di soddisfare le richieste a lui rivolte dalla variegata committenza veneziana, pubblica o privata che fosse.
Una delle più prestigiose giuntegli in questo periodo, e che coinvolse un nutrito gruppo di artisti veneti, fu certamente quella di Savva Raguzinskij nell’agosto del 1716 per conto dello zar Pietro il Grande (Androsov, 1999, p. 83). Entro l’aprile dell’anno successivo Torretti consegnò all’intermediario del sovrano russo le raffigurazioni di Narciso, Venere, Adone e Diana. Solo quest’ultime due sculture, entrambe firmate, sono a tutt’oggi presso l’Ermitage di San Pietroburgo (Androsov, 2017); le altre, purtroppo, sono andate disperse nel corso della prima metà del XX secolo.
Il 23 luglio 1717, di «febre e punta», morì la moglie Barbara (Vio, 1984, pp. 204, 208 nota 16). Persi prima i figli e ora la sposa, Torretti si trovò da qui in avanti a vivere con il nipote Giuseppe Bernardi, cui insegnò il mestiere e che per questo motivo prese il soprannome di Torretti.
Nel marzo del 1720 un benefattore donò a S. Stae una statua realizzata da Torretti in marmo di Carrara raffigurante S. Gregorio Magno (Rossi, 1987, pp. 204 s., doc. IV). Inoltre, per l’esterno della stessa chiesa Giuseppe scolpì il gruppo angelico appollaiato sul timpano, la figura di S. Osvaldo e i rilievi narranti il Martirio di s. Eustachio e dei suoi famigliari e S. Eustachio e i suoi famigliari risparmiati dal leone (Rossi, 2000, con bibliografia). A quest’anno risale anche il primo acconto da parte dei Manin per la SS. Trinità destinata all’altare maggiore della chiesa veneziana dei gesuiti, da loro quasi interamente finanziata, e che s’impone come una delle ultime grandi imprese di una certa rilevanza cui lo scultore si dedicò. I pagamenti si protrassero fino al 1728 e riguardavano gli Angeli turibolari nel presbiterio (1726), i Quattro Arcangeli della crociera (entro il 1728) e, infine, il gruppo con l’Assunta nella facciata (Frank, 1996, con bibliografia).
Una delle opere più esemplificative della qualità raggiunta in questo momento da Torretti è certamente la bellissima scultura dell’Umiltà nella chiesa veneziana di S. Maria dei Carmini, che si accompagna all’altrettanto magnetica figura della Verginità di Corradini. Si tratta di un’opera capitale nel sovraffollato catalogo di Giuseppe, di una figura che, «tutta raccolta in sé stessa, ci parla veramente con un nuovo linguaggio, esprimente quelle sfumature dirette e melanconiche dell’animo, che costituiscono sempre una sorpresa nella scultura» (Nava Cellini, 1992, p. 161).
Nel 1724 Torretti venne nominato primo priore del Collegio degli scultori: una carica importante in quanto sanciva finalmente la separazione dell’arte da quella dei tagliapietra (Cogo, 1996).
Agli anni Trenta risale la sua partecipazione alla decorazione della cappella del Rosario nella basilica dei Ss. Giovanni e Paolo a Venezia. Al suo scalpello spettano due rilievi: uno con la Presentazione di Maria al tempio, l’altro con lo Sposalizio della Vergine (Guerriero, 1994, pp. 165, 185 s.)
Tra le ultime opere realizzate vanno ricordate certamente le statue per i marchesi Pallavicino di Busseto, in Emilia, opere che l’artista, ormai molto anziano, portò a termine con la collaborazione della bottega (Cirillo - Godi, 1988, pp. 23-28).
Morì il 13 dicembre 1743, all’età di 79 anni (Vio, 1984, p. 209, doc. II).
Fonti e Bibl.: T. Temanza, Zibaldon (1738), a cura di N. Ivanoff, Venezia-Roma 1963, p. 74; C.I. Bernardi, La scuola pagnanese del Torretto. Canova e la fortuna dei parenti poveri, Vedelago 1938; P. Someda De Marco, Tre statue del Torretto a Mereto di Tomba, in Quaderni della FACE, 1956, n. 11, pp. 4-6; C. Semenzato, G. T., in Arte veneta, XVIII (1964), pp. 123-134; Id., La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, pp. 38-40, 106-108; G. Vio, G. T. intagliatore in legno e scultore in marmo, in Arte veneta, XXXVIII (1984), pp. 204-210; P. Goi, L’autore/i del coro del duomo di Udine e dei rilievi del seminario di Venezia, in La scultura lignea in Friuli. Atti del Simposio internazionale, ... 1983, Udine 1985, pp. 49-63; M. Frank, G. T. al servizio dei Manin tra Friuli e Venezia, in Memorie storiche forogiuliesi, 1986, vol. 66, pp. 165-200; P. Rossi, Su alcune sculture settecentesche della chiesa di San Stae, in Arte veneta, XLI (1987), pp. 204-209; G. Cirillo - G. Godi, L’arte in Villa Pallavicino a Busseto, in Parma nell’arte, 1988, pp. 5-3, 23-28; A. Nava Cellini, La scultura del Settecento, Milano 1992, p. 161; S. Guerriero, I rilievi marmorei della cappella del Rosario ai Ss. Giovanni e Paolo, in Saggi e memorie di storia dell’arte, 1994, vol. 19, pp. 161-189; B. Cogo, Antonio Corradini scultore veneziano, 1688-1752, Este 1996, pp. 62-66; M. Frank, Virtù e fortuna. Il mecenatismo e le committenze artistiche della famiglia Manin tra Friuli e Venezia nel XVII e XVIII secolo, Venezia 1996, passim; P. Goi, Scultura del Settecento nel Friuli-Venezia Giulia, in Giambattista Tiepolo, forme e colori. La pittura del Settecento in Friuli, a cura di G. Bergamini, Milano 1996, pp. 87-106; M. De Vincenti, Sui monumenti Manin del duomo di Udine, in Venezia arti, XI (1997), pp. 61-68; S. Androsov, Pietro il Grande collezionista d’arte veneta, Venezia 1999, pp. 83, 257 s.; G. Farronato, Paderno del Grappa: storia delle comunità di Fietta e di Paderno, Asolo 1999, pp. 416-418; P. Rossi, Per il catalogo delle opere veneziane di G. T., in Arte documento, 1999, n. 13, pp. 284-289; Ead., Pietro Baratta e G. T.: il problema delle interrelazioni, in Francesco Robba and the Venetian sculpture of the Eighteenth century. Papers from an international Symposium, ... 1998, a cura di J. Höfler, Ljubljana 2000, pp. 41-50; T. Sherman, G. T., in La scultura a Venezia da Sansovino a Canova, a cura di A. Bacchi, Milano 2000, pp. 795-799; M. De Vincenti, ‘Piacere ai dotti e ai migliori’. Scultori classicisti del primo ’700, in La scultura veneta del Seicento e del Settecento. Nuovi studi. Atti della Giornata di studio, ... 2001, a cura di G. Pavanello, Venezia 2002, pp. 221-281 (in partic. pp. 231 s.); P. Rossi, Per la conoscenza di Antonio Raffaeli, in Hadriatica. Attorno a Venezia e al Medioevo tra arti, storia e storiografia. Scritti in onore di Wladimiro Dorigo, a cura di E. Concina - G. Trovabene - M. Agazzi, Padova 2002, pp. 217-220; G. Vio, Le Scuole Piccole nella Venezia dei Dogi. Note d’archivio per la storia delle confraternite veneziane, Costabissara 2004, p. 551; M. De Vincenti - S. Guerriero, Intagliatori e scultura lignea nel Settecento a Venezia, in Con il legno e con l’oro la Venezia artigiana degli intagliatori, battiloro e doratori, a cura di G. Caniato, Caselle di Sommacampagna 2009, pp. 121-160; M. Favilla - R. Rugolo, Venezia barocca. Splendori e illusioni di un mondo in ‘decadenza’, Schio 2009, pp. 129 s.; M. Visentin, T., G., in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, II, 3, L’Età veneta, a cura di C. Scalon - C. Griggio - U. Rozzo, Udine 2009, pp. 2488-2494; L. Giacomelli, Scultori veneti nel duomo di Bolzano: nuove proposte di lavoro per l’altare maggiore di Jacopo Antonio Pozzo, in Da Longhena a Selva. Un’idea di Venezia a dieci anni dalla scomparsa di Elena Bassi, a cura di M. Frank, Bologna 2011, pp. 139-157; P. Goi, Torretti: nuove su zio e nipote, in Atti dell’Accademia “San Marco” di Pordenone, 2011-2012, vol. 13-14, pp. 325-346; F. Fedeli, I Torretti: una famiglia di scultori veneti, in Giovanni Ferrari detto il Torretti, maestro del Canova. Il bassorilievo del Getsemani a Gerusalemme, a cura di F. Fedeli, Milano 2015, pp. 9-39 (in partic. pp. 18-22); P. Goi, G.T. & Giuseppe Bernardi-Torretti, in Atti dell’Accademia “San Marco” di Pordenone, 2015, vol. 17, pp. 545-552; P. Delorenzi, Una divinità nella bottega dello scrittore. Cronache d’arte tra Sei e Settecento dalla “Pallade veneta”, in Saggi e memorie di storia dell’arte, 2016, vol. 40, pp. 47-77; S. Androsov, Museo Statale Ermitage. La scultura italiana dal XVII al XVIII secolo. Da Bernini a Canova, Milano 2017, pp. 305 s., nn. 188-189.