Toffanin, Giuseppe
Storico della letteratura (Padova 1891), professore nelle università di Messina (1923-1924), Cagliari (1924-1928), Napoli (1928-1961). L'interesse del T. per D. è parte della sua indagine sull'Umanesimo, il campo della sua appassionata e mai interrotta ricerca. La situazione nella quale D. in essa si colloca è all'inizio della cultura e della coscienza umanistica. Nel capitolo su D. della sua Storia dell'Umanesimo (Napoli 1933) il T. già distingueva il primo D. alieno dal latino dal D. della Commedia, erede della sapienza antica attraverso Cicerone e Boezio. La missione che D. affida a Virgilio è quella che Boezio ha dato alla filosofia nel De Consolatione philosophiae e i tre regni della Commedia corrispondono all'ascesa segnata nella trilogia di Clemente di Alessandria dal paganesimo alla fede, alla gnosi. Inoltre nella Commedia, come nell'Africa del Petrarca, la Roma precristiana " è tutta un grande mistero cristiano ".
Questa posizione appare rinsaldata attraverso le ‛ lecturae ' di If VIII (1960; in Lect. Scaligera I 249-270), il qual canto gli sembra segnare una differenza dai canti precedenti anche nel fatto che Virgilio da questo canto risponde al simbolo della ragione, e D. valorizzando attraverso lui il mondo antico sul piano religioso " dà l'abbrivo all'Umanesimo "; e di Pd XIII (1965; in Lect. Scaligera III 447-474), dove si afferma che l'interpretazione ‛ ghibellina ' di Salomone, giusto re, ribadisce le tesi della Monarchia che il diritto è volontà divina, conclusione tomistica derivata da Aristotele, che gli umanisti ripeteranno tale e quale, ma derivandola da Cicerone. L'interpretazione centrale del T. riappare nei quattro saggi, L'Umanesimo di D. e il cielo di Giove, Meleagro o il punto fermo tra paganesimo e umanesimo, Poca favilla gran fiamma seconda, D. e Petrarca di fronte al sacro romano impero, che sono stati riuniti nel volume Ultimi saggi (Bologna 1960), ed è ulteriormente confermata nell'ultima opera del T., Perché l'Umanesimo comincia con D. (ibid. 1967), che ripropone anche precedenti scritti. Cfr. Dal mio taccuino dantesco: Virgilio e Stazio, dove in polemica col Nardi il T. toglie D. ad Alberto Magno per restituirlo a s. Tommaso, e dove non solo si chiarisce energicamente il concetto che è stato il vero Virgilio, non già il Virgilio allegorico, a riconsegnare D. al cristianesimo, strappandolo al traviato razionalismo del suo secolo (D., secondo il T., ha umanisticamente fede in una ragione sorretta dalla sapienza), ma si dimostra altresì che la fortuna e l'intelligenza di D. hanno compiuto lo stesso corso dello spirito umanistico, segnando un declino dal platonismo fiorentino del '400 all'antiumanesimo controriformistico. D. va perciò liberato, per il T., da un'interpretazione medievaleggiante che opponga un Medioevo cristiano a un Umanesimo pagano, che è divisione inaccettabile, come pure da una lettura romantica o sentimentale o allegorica: fu proprio di D. il senso del continuo e dell'eterno, che egli ebbe in comune con gli umanisti, mentre è proprio dei romantici l'antitesi.