SICCARDI, Giuseppe
– Nacque a Verzuolo, nell’allora provincia di Saluzzo, il 13 ottobre 1802 da Gian Nicola e da Cristina Ramusatti, di famiglia agiata, ma non appartenente alla nobiltà.
Svolse gli studi classici a Saluzzo, per laurearsi nel 1824 a Torino nella facoltà giuridica, caratterizzata da un tradizionale approccio di tipo giurisdizionalista, che influenzò anche la sua successiva impostazione.
Dopo la laurea fu ‘applicato’ presso la Segreteria degli Affari interni (1827) e aggregato al collegio degli avvocati. Entrò in magistratura nel 1829 come addetto all’ufficio di sostituto dell’avvocato fiscale generale, passando poi nel 1838 al più prestigioso incarico di sostituto dell’avvocato generale; il 16 settembre 1840 venne nominato primo ufficiale della Grande cancelleria per gli affari ecclesiastici (significativamente proprio nell’anno della conclusione delle trattative con la S. Sede per la stipula nel 1841 del concordato) e nel 1847 divenne giudice presso la Corte di cassazione.
Nel frattempo aveva ottenuto nel 1846 il titolo di conte, svolgendo – come tecnico proveniente dalla magistratura – numerosi incarichi in ambito ministeriale.
La carriera più strettamente politica di Siccardi iniziò con la delicata missione a Roma e Portici (Napoli) presso la Curia pontificia (7 settembre-10 dicembre 1849) con lo scopo di dirimere con il cardinale Giacomo Antonelli e con lo stesso pontefice Pio IX alcune gravi situazioni di attrito con la Chiesa: l’iniziativa di Siccardi si collocava nel contesto del rinnovato atteggiamento liberale del governo sabaudo in seguito all’emanazione dello Statuto albertino (con il contrasto fra la proclamazione del confessionalismo dell’articolo 1 e alcuni concreti provvedimenti governativi – come la cacciata dei gesuiti dal Regno di Sardegna nel 1848 – ostili alla Chiesa) e alla posizione di Pio IX dopo la prima guerra d’Indipendenza culminata con la sconfessione delle spinte unitarie dopo l’allocuzione del 29 aprile 1848.
Nel dettaglio le questioni più spinose affidate alle cure di Siccardi furono quelle della situazione delle diocesi di Torino e di Asti (prive di vescovi per l’allontanamento di monsignor Luigi Fransoni e monsignor Filippo Artico in seguito a forti contrasti con il governo sabaudo) e quella relativa all’avvio del procedimento di riforma legislativa promossa nel Parlamento subalpino in materie sensibili per la Chiesa senza un espresso accordo con la S. Sede. In effetti proprio l’abbandono del principio concordatario rappresentò una delle cifre più innovative del nuovo corso della politica liberale sabauda dopo lo Statuto.
Terminata, pur senza successo, la difficile trasferta, Siccardi fu nominato senatore e il 18 dicembre 1849 ministro guardasigilli del governo guidato da Massimo d’Azeglio. Fu quello il periodo più intenso e significativo della sua attività, che culminò con la presentazione e l’approvazione in Parlamento nel 1850 dei disegni di legge che portavano il suo nome. Essi riguardavano due ambiti di primaria importanza per l’ordinamento costituzionale dello Stato: il regime della giurisdizione e dei beni ecclesiastici e lo status giuridico dei magistrati.
Per quanto riguarda il cosiddetto foro ecclesiastico (istituto di secolare esistenza), Siccardi presentò alla Camera il 5 aprile 1850 un disegno di legge volto a decretarne l’abolizione; esso era stato già limitato – a seguito di accordo con la Chiesa – nel 1842, ma sopravviveva in un ordinamento quale quello sabaudo ormai caratterizzato da garanzie costituzionali e dal principio di eguaglianza dei cittadini.
Il progetto di legge presentato da Siccardi constava di nove articoli, i primi cinque relativi all’abolizione del foro ecclesiastico sia civile sia penale ed alle nuove prerogative della corte d’appello in tali materie; i successivi, invece, erano relativi all’abolizione del diritto d’asilo, alla riduzione delle festività religiose civilmente riconosciute e alla previsione della necessità di specifica autorizzazione statale per gli acquisti inter vivos e mortis causa degli enti morali (sia laici sia ecclesiastici); l’ultimo articolo prevedeva una delega al governo per la presentazione di una proposta di legge sul matrimonio civile.
Dopo lo stralcio delle materie contenute negli ultimi quattro articoli della proposta, il dibattito sul tema dell’abolizione del foro ecclesiastico si sviluppò in modo molto accesso (soprattutto alla Camera): Siccardi intervenne più volte (specificamente nelle sedute della Camera del 25 febbraio, del 6, 8, 9 e 12 marzo e al Senato il 12 marzo, il 5 e l’8 aprile) difendendo la proposta e ribadendone la necessità al fine di allineare l’ordinamento del Regno ai principi contenuti nello Statuto albertino, ribadendo anche come l’intenzione del governo non fosse in alcun modo quella di urtare le sensibilità e le aspettative dei cattolici e delle autorità ecclesiastiche; al contrario, gli oppositori alla legge puntavano soprattutto sulla necessità di regolare tali materie in modo concordato e sulla conseguente violazione da parte del governo di obblighi assunti pattiziamente nel corso dei secoli (e ribaditi con l’accordo sancito con la Chiesa nel 1842). La proposta di legge fu comunque approvata alla Camera il 12 marzo 1850 (con 130 voti favorevoli e solo 26 contrari) e al Senato l’8 aprile dello stesso anno (con 51 voti favorevoli e 29 contrari). Dopo l’approvazione della l. n. 1013 del 12 aprile 1850, il nunzio apostolico abbandonò in segno di protesta Torino, una istruzione assai critica di monsignor Fransoni portò all’arresto dello stesso arcivescovo di Torino, e si aprì un periodo di forte contrasto con la Chiesa (con un espresso ‘indirizzo’ inviato nel settembre 1850 a Pio IX dai vescovi piemontesi). Il tutto esacerbato poi dalla successiva approvazione della legge 5 giugno 1850 n. 1037 che comportava l’autorizzazione governativa all’acquisto dei beni da parte degli enti morali (che erano soprattutto ecclesiastici), e all’abolizione del diritto di asilo, a cui Siccardi – che si considerava un ‘buon cattolico’ – cercò di porre un freno nei mesi successivi, senza ottenere peraltro risultati, acuendosi sempre di più il contrasto fra lo Stato e la Chiesa.
Successivamente, in materia di prerogative di magistrati, Siccardi presentò sempre nel 1851 una proposta di legge volta ad applicare il principio dell’inamovibilità dei giudici, in base all’art. 69 dello Statuto albertino: la proposta riconosceva le prime garanzie al giudice verso il potere esecutivo grazie alla valutazione della Corte di cassazione e fu approvata il 19 maggio 1851 con ampio consenso quando Siccardi non era più ministro, poiché proprio nello stesso periodo egli si trovò a dover applicare eventuali sanzioni non condivise nei confronti di magistrati ‘antigovernativi’. Il suo rifiuto a operare una vera e propria ‘epurazione’ dei magistrati retrivi, ne determinarono l’isolamento nell’ambito della compagine ministeriale e gli attirarono numerose critiche, fino al maturare della decisione (ufficialmente per ragioni di salute) di rassegnare le dimissioni da ministro il 4 febbraio 1851 per non apporre la sua firma a un provvedimento limitativo dell’autonomia dei magistrati per lui inaccettabile.
Dopo l’abbandono dell’incarico ministeriale, Siccardi tornò alla magistratura in qualità di secondo presidente della Cassazione, continuando l’attività in Senato, di cui divenne vicepresidente nel 1855, segnalandosi per gli interventi a favore dell’introduzione del matrimonio civile (legge non approvata) e per la soppressione di comunità religiose, così come per l’attiva partecipazione alle commissioni istituite per la redazione del codice di procedura civile (1853) e del codice penale militare (1856).
Significativa fu anche la sua attività come amministratore locale a partire dalla sua elezione nel Consiglio divisionale di Saluzzo nel 1850, di cui divenne presidente il 21 ottobre 1851; eletto presidente del Consiglio provinciale di Saluzzo nel 1853 e nello stesso anno consigliere comunale del natio comune di Verzuolo. Siccardi fu inoltre protagonista dell’avvio del progetto per la costruzione della ferrovia Saluzzo-Torino, poi realizzata nel 1880.
Sposato con Irene Teresa Agnes, ebbe con lei quattro figli: Delfina, Giambattista, Delfina Irene ed Emilio.
Provato nel fisico, morì a Torino il 29 ottobre 1857.
Fonti e Bibl.: Alcuni documenti utili a ricostruire la sua opera e la sua biografia sono conservati presso l’Archivio segreto Vaticano e l’Archivio della Segreteria di Stato vaticana; i documenti dell’attività istituzionale di Siccardi sono conservati presso l’Archivio di Stato di Torino; la documentazione circa le discussioni parlamentari sulle leggi Siccardi è edita nei resoconti degli Atti del Parlamento subalpino (oltre che in autonoma pubblicazione dell’editore Pomba: Legge Siccardi sull’abolizione del foro e delle immunità ecclesiastiche. Tornate del Parlamento subalpino, Torino 1850).
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