SCORTECCI, Giuseppe
– Nacque a Firenze il 2 novembre 1898 da Egisto e da Marianna Ruggini.
Reduce dalla prima guerra mondiale, si laureò nel 1921 in scienze naturali all’Università di Firenze, dove ottenne un dottorato di storia naturale, entrando a far parte dell’istituto di anatomia comparata con il compito di aiuto alla cattedra di quella disciplina. Dal 1926 al 1942 ricoprì il ruolo di docente presso la sezione di geologia del Museo di storia naturale di Milano. Nel 1932 conseguì la libera docenza in zoologia.
Il 25 aprile 1927 aveva sposato Lydia Lurini, da cui, nel 1931, ebbe il figlio Vieri.
A partire dal 1931 iniziò la sua lunga serie di viaggi mirati allo studio della biologia delle zone aride della terra. Si recò in Somalia, dove ottenne i risultati più significativi nella parte settentrionale, in una zona nella quale fino ad allora non era stato catturato nessun animale. In questi territori sarebbe tornato nel 1953 e nel 1957, esplorando, nel primo caso, la porzione orientale dell’imponente catena montuosa della parte settentrionale della Migiurtinia, nota sotto il nome di Al Maskad, e scalandone il monte più alto, lo Uar Medò (2100 m). Completò l’esplorazione nel 1957, recandosi nelle porzioni centrali e occidentali, che fino ad allora non erano mai state percorse da esploratori bianchi. Il viaggio portò anche all’importante scoperta dell’imponente massiccio del monte Ábal, di cui raggiunse la vetta, lo Hèr Mudò (1960 m).
Molto importanti furono anche i viaggi effettuati nel Fezzan nel 1934 e nel 1936. Nel primo realizzò una breve campagna di ricerche zoologiche nel territorio di Gat, non trascurando, durante il percorso di avvicinamento, di visitare lo Uadi-esh-Shati, uno dei più ricchi di fauna del Fezzan, oltre che le oasi e gli altri uidian incontrati, compiendo importanti osservazioni e raccogliendo un numero rilevante (oltre diecimila) di esemplari. Nel 1936 si spinse in una zona limitata a oriente dalla montagna dell’Acacus (1000 m) e a occidente dalla catena degli altipiani Tassili, che raggiunge quasi i 2000 metri, pervenendo a originali risultati scientifici.
Individuò la presenza di organismi del tutto nuovi per la Libia, come l’ordine degli Iracidi e l’intera famiglia dei Leptotiplofidi, impostò con più sicurezza rispetto al passato la distribuzione geografica dei serpenti velenosi e tracciò, sia pure per sommi capi, un quadro dell’ofidismo della Libia. Riuscì anche a svolgere indagini sulla microfauna di superficie e sulla fauna ipogea e a sviluppare osservazioni sulla fauna acquatica, raccogliendo sufficiente materiale per poter condurre a termine il lavoro sugli organi di senso degli Agamidi.
Dopo una pausa forzata dovuta agli eventi bellici e postbellici, nel 1951 riprese le sue esplorazioni degli ambienti aridi grazie a un Fulbright Fellowschip e a una borsa di studio Smith-Mund, che gli diedero la possibilità di compiere un lungo viaggio di studio nei deserti nordoccidentali degli Stati Uniti e del Messico settentrionale. Successivamente si dedicò all’indagine delle affinità faunistiche esistenti tra la Somalia e l’Arabia meridionale, intraprendendo un’approfondita esplorazione di quest’ultimo territorio, realizzata nel corso di due spedizioni.
La prima, effettuata nel 1962, ebbe come meta principale la valle dell’Hadramut, che visitò accuratamente, risalendo il corso dello Uadi Dawan in direzione meridionale per tornare poi sull’altopiano dove un’altra escursione lo condusse sino a Maber. Infine, lungo la costa dell’Oceano Indiano, si recò ad Aden, percorrendo anche lunghi tratti fuori pista sulla battigia approfittando della bassa marea. Per completare il quadro zoogeografico dell’Arabia meridionale, nel 1965 si recò nello Yemen, dove risultavano ancora del tutto sconosciute dal punto di vista biologico soprattutto le zone situate a oriente della direttrice Taiz-Sana e della piana costiera che prende il nome di Tihama, situata tra la costa del Mar Rosso e il versante occidentale dell’acrocoro yemenita.
Le spedizioni compiute nella Somalia e nell’Arabia meridionale gli permisero di chiarire gli interscambi di popolazioni animali che si sono verificati nel corso delle ere geologiche fra quelle penisole. Poté evidenziare che, contrariamente a quanto si era verificato per alcuni elementi floristici, soltanto una piccola percentuale di specie animali provenienti dal continente asiatico aveva raggiunto la Somalia, mentre un numero elevato di forme di origine africana giunse a colonizzare le propaggini meridionali della penisola arabica. Per quanto riguarda i rettili, stabilì che la loro evoluzione è stata estremamente lenta, al punto che ancor oggi alcune specie viventi sui due lati del Mar Rosso sono fra loro distinguibili solamente a livello biologico. In altri gruppi, come ad esempio gli anfibi, la velocità evolutiva è stata probabilmente maggiore, perché molto spesso si riscontrano differenziazioni a livello specifico.
Il contributo di Scortecci alla conoscenza della biologia degli ambienti desertici non si è limitato però solo agli aspetti faunistici e zoogeografici. Abbondanti sono state anche le sue raccolte di dati relative alle temperature ambientali e ai loro effetti sugli animali, come pure alla radiazione solare. L’elaborazione di questi dati portò in alcuni casi a conclusioni insospettate, come la scoperta che alcuni rettili, pur sopportando temperature elevate, sono invece poco resistenti alle radiazioni solari.
Parallelamente alla sua attività scientifica si svolse quella accademica, che si fece particolarmente intensa dopo che, il 16 novembre 1942, fu chiamato a ricoprire la cattedra di zoologia dell’Università di Genova, diventando anche direttore del medesimo istituto. Mantenne tali incarichi fino al 1969, quando andò in pensione, restando però preside della facoltà di scienze.
Morì a Milano il 18 ottobre 1973, a causa di un incidente stradale mentre, nonostante i suoi intensi impegni accademici, stava progettando di tornare ancora nello Yemen per esplorare il deserto del ‘Quarto vuoto’ (ar-Rub‛ al-Khali).
Ottimo disegnatore e pittore, fu anche un prolifico autore di opere narrative, dedicate soprattutto all’infanzia. Nel 1935 fu nominato cavaliere dell’Ordine coloniale della Stella d’Italia; dal 1939 al 1943 diresse l’Enciclopedia coloniale promossa dall’Istituto per gli studi di politica internazionale. Ottenne la medaglia d’oro dei benemeriti della cultura e dell’arte; l’UNESCO lo riconobbe e utilizzò come esperto per le zone aride.
Opere. Ampia è la produzione scientifica di Giuseppe Scortecci: per un elenco relativo ai soli scritti di interesse geografico rimandiamo a Coddè Cherchi, 1974, pp. 28-30, mentre per il resto ci limitiamo a ricordare solo alcuni dei suoi saggi più significativi: Le pitture rupestri presso Ghat, Milano 1936; Gli ofidi velenosi dell’Africa Italiana, Milano 1939; Biologia sahariana, Napoli 1941; Sahara, Milano 1945; Durka, Milano 1962; Nel paese degli uomini indaco, Bergamo 1973.
Fonti e Bibl.: Documenti relativi a Giuseppe Scortecci si possono reperire nei fondi Parisi e Moltoni della Biblioteca del Museo di storia naturale di Milano (museo in cui sono conservate le sue raccolte); nell’Archivio storico della Società geografica italiana (Missioni scientifiche nel Fezzan, catalogo VI, s. E, bb 87, 88; Archivio fotografico, Fondo Elio Migliorini, lotto 807) e nell’Archivio dell’Università di Genova (fascicolo personale).
M.A. Coddè Cherchi, G. S., in Bollettino della Società geografica italiana, s. 10, 1974, vol. 3, pp. 21-30; M. Sarà, In memoria di G. S., in Bollettino di zoologia, 1974, vol. 41, 2, pp. 141-143; G. Chiozzi, Il contributo del Museo di storia naturale di Milano all’esplorazione geologica dell’Africa, in Natura, 2013, vol. 103, n. 3, pp. 159-186.