SAVAGNONE, Giuseppe
SAVAGNONE, Giuseppe. – Nacque a Palermo il 27 novembre 1902 da Francesco Guglielmo, professore di diritto ecclesiastico all’Università.
Quarto di sei figli, perse la madre, Marianna, nel 1910. Poco tempo dopo morì di tifo la sorella Carolina, tredicenne. I tre fratelli (Filippo, Riccardo e l’ultimogenito Vittorio) divennero l’uno avvocato, gli altri ingegneri. La sorella Maria Carmela (Linuzza per i familiari) prese lezioni di pianoforte da Concettina Abbate, allieva di Franz Liszt; sposato il violinista Michelangelo Abbado, si trasferì a Milano: dal matrimonio nacquero quattro figli, di cui tre (Marcello, Luciana, Claudio) si dedicarono a professioni musicali. Sull’esempio della sorella, Giuseppe volle iniziare lo studio del pianoforte e fu la maestra Abbate a consigliarne l’iscrizione al conservatorio. Nel 1925 si diplomò in pianoforte con Guido Alberto Fano, quindi in organo con Luigi Amadio e in composizione con Cesare Nordio.
In parallelo proseguì gli studi liceali e poi quelli filosofici all’Università. Appena diplomato esordì come direttore di cori per gli spettacoli classici al teatro greco di Siracusa e nel 1926 iniziò l’attività di direttore d’orchestra. Gino Marinuzzi, all’epoca direttore artistico e direttore stabile al Teatro Reale dell’Opera, lo volle a Roma come suo maestro sostituto. Vi rimase dal 1927 al 1935, allontanandosi temporaneamente dalla composizione dopo l’opera in un atto Il carro di Diòniso (1926), rimasta ineseguita. Riprese l’attività creativa nel 1934, con lavori come il preludio per orchestra A Leopardi (vincitore del concorso commemorativo I grandi marchigiani indetto dal Sindacato musicisti), la Cantata a Bellini per soprano e orchestra su versi di Gabriele D’Annunzio – vinse il concorso promosso dal Sindacato musicisti per il centenario belliniano e fu diretta da Bernardino Molinari, con Maria Pedrini solista, all’Augusteo di Roma – e il balletto grottesco Il drago rosso, che vinse il concorso nazionale bandito dal teatro dell’Opera e ch’egli stesso diresse con successo il 28 marzo 1935.
A Roma ritrovò la palermitana Rosella Maraffa, scrittrice, giornalista e aspirante soprano: Marinuzzi, amico fraterno del padre, gliela affidò perché le desse lezioni di canto e pianoforte. La sposò otto mesi dopo, nel 1928, e la ebbe come compagna di vita per 56 anni. Ebbero due figlie, Deddi e Rita, entrambe attrici e doppiatrici, nonché madri, rispettivamente, del compositore, musicologo e organizzatore musicale Michele dall’Ongaro e dell’attore Claudio Amendola (Rita sposò l’attore e doppiatore Ferruccio Amendola). Passato Marinuzzi alla Scala e subentrato a Roma Tullio Serafin, nel dicembre del 1935 Savagnone fu scritturato al Teatro Bellini di Catania, dove diresse I Puritani e la sua Cantata. L’anno successivo Nicola De Pirro, direttore generale del MinCulPop (Ministero della Cultura Popolare), gli offrì l’incarico di direttore artistico del CLI (Centro Lirico Italiano), dove rimase sino alla vigilia della guerra organizzando molti spettacoli lirici. Nel 1940 divenne titolare di musica corale al conservatorio di S. Cecilia: vi restò fino al 1973. Dal 1946 al 1949 diresse i concerti dell’ORSA (Organizzazione Romana Spettacoli Artistici), portando all’Eliseo e al teatro dell’Opera concertisti come Alfred Cortot e Arturo Benedetti Michelangeli e impaginando programmi dedicati a musicisti italiani contemporanei (Franco Alfano, Alfredo Casella, Gian Francesco Malipiero, Franco Mannino, Virgilio Mortari, Ildebrando Pizzetti, Goffredo Petrassi, Ottorino Respighi, Savagnone stesso).
Fra le composizioni di quegli anni, il Concerto in Do maggiore per violino e orchestra (1940), dedicato al cognato Michelangelo Abbado che lo eseguì all’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) di Roma sotto la sua direzione; il Notturno di Arianna per soprano e pianoforte (1941), su liriche di Cesare Meano; il Divertimento per otto strumenti (1944) e soprattutto l’opera in due atti, su una scanzonata commedia di Meano, Millesima seconda (1941-49), commissionata dal Teatro Massimo di Palermo per la stagione del 1943 (sovrintendente era all’epoca il compositore Franco Alfano), ma allestita solo dopo la guerra, il 5 febbraio 1949. L’opera ottenne pieno successo ed ebbe lusinghiere recensioni. Pietro Ferro vi notò «eleganza di armonizzazione e bei coloriti orchestrali» (L’Ora, 6 febbraio 1949).
Negli anni successivi, mentre imperversavano i dibattiti e le polemiche intorno alla dodecafonia, Savagnone approfondì gli studi teorici con l’ausilio di insigni matematici (Luigi Fantappiè dell’Università di Roma e Walter Rizzoni dell’Università di Palermo), fino a individuare un nuovo ordine, basato su rigorose leggi matematiche e acustiche, che egli enunciò e sviluppò in Prismatismo musicale, un trattato in tre volumi usciti a Palermo, da Flaccovio, nel 1956-1958.
Mentre nelle serie dodecafoniche i suoni sono collocati in qualsivoglia ordine, nel sistema messo a punto da Savagnone le serie si basano su un ordine intervallare prestabilito e ripetuto costantemente, assumendo il carattere e la denominazione di ‘cicli’. Attraverso la sistematizzazione dei vari cicli, in particolare gli otto ‘composti’ e ‘completi’ – ovvero formati da due o più intervalli diversi tra loro e comprendenti tutti i 12 suoni – costruibili su ciascun grado della scala cromatica (per un totale di 96 cicli), la tecnica dodecafonica e il sistema tonale vengono conglobati in una visione del materiale musicale più ampia e onnicomprensiva. E laddove la dodecafonia «scientemente trascura il problema della classificazione armonica» (Prismatismo musicale, I, 1956, p. 12), la teoria dei cicli, che innalza blocchi armonici e si sviluppa nell’immagine di un «prisma» a dodici facce (ognuna rappresentante tutte le combinazioni armoniche possibili su ciascuno dei dodici suoni), consente di classificare un numero sterminato di schemi armonici (tutti gli accordi, da tre a undici suoni, possibili nella scala cromatica temperata) e di misurarne matematicamente il ‘grado di tensione’. Su tale ampliamento armonico l’invenzione melodica si può dispiegare in assoluta libertà, svincolandosi sia dagli schemi dell’armonia tonale sia dal rigorismo dodecafonico. «Il sistema dodecafonico ha essenzialmente finalità contrappuntistiche, e determina, cioè, linee di suoni; il prismatismo ha invece finalità essenzialmente armoniche, e determina volumi sonori [...]. Il prismatismo, dunque, supera i rapporti armonici tonali e libera la melodia, comunque formulata, dalle strettoie di qualsiasi limitazione preconcetta (pp. 22 s.). Nella dodecafonia schönberghiana la serie è il fattore strutturale occulto dell’intero edificio musicale; il prismatismo, invece, riafferma l’indipendenza e l’intelligibilità dei tratti melodici, il cui eventuale eccesso di consonanza può essere neutralizzato dalla tensione dissonante dei ‘volumi sonori’. Quella di Savagnone, come scrisse Petrassi nella prefazione alla seconda edizione del 1966, non era «una sistematizzazione teorica astratta, o aprioristica o preordinata», bensì «la risultante di analisi molto precise ed acute condotte sul corpo vivo della musica moderna» (con illuminanti esempi tratti da composizioni di Igor´ Stravinskij, Béla Bartók, Paul Hindemith, Maurice Ravel, Giacomo Puccini, Casella e Petrassi). Dei linguaggi che animavano la musica contemporanea offriva quindi una declinazione personale che tuttavia, nell’era dell’idolatria darmstadtiana, non poté trovare seguito.
La dissonanza, già presente in Savagnone nelle movenze grottesche spesso emergenti dalle prime composizioni, trovò una definitiva sistematizzazione nell’organizzazione prismatica dei lavori più maturi, a partire dalle Variazioni e fuga su uno squillo di caccia (1956) che Ottavio Ziino diresse in prima assoluta al Teatro Massimo di Palermo il 5 novembre 1959. Seguirono altre opere sinfoniche, cameristiche e teatrali, dove rigore strutturale, moduli melodici ‘mediterranei’ e spiccata sensibilità coloristica si coniugano all’insegna di un vitalismo esuberante. Nacquero così il balletto corale Giufà (1957) – sul noto personaggio della fantasia popolare siciliana – che debuttò all’Estate musicale di Marsala, sotto la direzione dell’autore, nel 1959; la commedia musicale Né tempo né luogo (1959), su uno spiritoso libretto dello stesso Savagnone, da lui diretta al Teatro Massimo di Palermo nel marzo 1961; il balletto L’attesa (1961), creato per la compagnia di Susanna Egri in occasione delle celebrazioni per il centenario dell’Unità d’Italia e rappresentato nell’ottobre di quell’anno al teatro Carignano di Torino; Cinque preludi del prisma armonico per pianoforte (1960), dedicati a Lya De Barberiis e da lei eseguiti alla RAI di Roma nel gennaio del 1964; la monumentale Sinfonia in Do alfa (1956-64), eseguita dall’orchestra della RAI di Torino il 28 novembre 1967; il preludio per orchestra Rifrangenze (1965) che Claudio Abbado diresse all’Auditorium romano di S. Cecilia il 22 dicembre di quell’anno; la Sonata per violino solo (1965) e le Variazioni su un’antica melodia siciliana per violino e pianoforte (1969), scritte per la violinista Pina Carmirelli; il Concerto per corno e orchestra (1969), dedicato a Domenico Ceccarossi che lo eseguì per la RAI di Napoli nel giugno del 1971, con l’orchestra Alessandro Scarlatti diretta dall’autore; la Suite per violoncello solo (1972) dedicata ad Arturo Bonucci; Haltérophile per orchestra (1977), ispirata all’omonima scultura di Alexander Calder ed eseguita postuma al teatro Golden di Palermo, il 3 maggio 1986, dall’Orchestra sinfonica siciliana diretta da Ziino.
Fra i più significativi lavori rimasti ineseguiti o incompiuti, l’oratorio per soli coro e orchestra San Francesco (1969-72) e l’ambizioso progetto del Faust, «tragedia musicale in un prologo e 4 atti» sul testo originale tedesco di Goethe, che lo tenne impegnato per ventisei anni, dal 1958 al 1984.
Morì al Policlinico Gemelli di Roma il 28 ottobre 1984.
Fonti e Bibl.: B. Cagnoli, G.S. La vita e l’opera, Palermo 1987; V. Bernardoni, G.S., in The new Grove dictionary of music and musicians, XXII, London-New York 2001, p. 338; A.M. Morazzoni, G.S., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, XIV, Kassel 2005, coll. 1030 s.