SALVIOLI, Giuseppe
– Nacque a Modena il 13 settembre 1857 da Gabriele, impiegato della dogana, e da Anna Maria Ceschi.
Aveva un fratello maggiore, Gaetano (1852-1888), divenuto un noto patologo, che, giovanissimo, ottenne la cattedra a Genova.
Compiuti gli studi universitari nella città natale e conseguita la laurea in giurisprudenza (1878), Salvioli si trasferì a Roma, dove collaborò con Luigi Bodio all’Istituto di Statistica, e avviò il primo lavoro scientificamente impegnativo dedicato alla storia della scuola, nei secoli compresi tra l’epoca carolingia e la rinascita dei centri cittadini (1879).
In questo studio ridimensionava il peso delle istituzioni monastiche e scopriva le prime rilevanti manifestazioni di una cultura laica autonoma, guardando con interesse alla rinascita degli studi giuridici, pur senza accogliere acriticamente le conclusioni di Heinrich Hermann Fitting sull’effervescenza della scienza giuridica prebolognese.
Nei primissimi anni Ottanta, curò le rassegne di politica economica e sociale sulla Rivista europea, collaborando, occasionalmente, alla Rassegna settimanale, al Diritto e alla Tribuna (nella veste di corrispondente da Berlino, durante il suo viaggio di perfezionamento in Germania), ma l’incontro con lo storico del diritto Francesco Schupfer, cambiò i suoi progetti, e contribuì ad assicurare un indirizzo più stabile alla sua passione per la ricerca.
Discussa fu la ricognizione sulla storia dei titoli al portatore, in cui Salvioli ricostruì l’evoluzione delle norme romane in materia di cessione del credito, del mandato, della rappresentanza, e i mutamenti successivi (1882), attingendo largamente ai risultati delle ricerche di Heinrich Brunner, mentre approfondì, con maggiore sicurezza, la sistemazione dottrinale dell’istituto, attraverso il contributo di un pensiero giuridico capace di adeguarsi al nuovo contesto economico e sociale (1883), come mostrò anche nel saggio sull’assicurazione (1884), che riprendeva le ricerche di Antonio Pertile e di Schupfer.
Divenuto nel 1884 ordinario di storia del diritto italiano all’Università di Palermo, il 20 dicembre di quello stesso anno lesse la prolusione Il metodo storico nello studio del diritto civile italiano (1885), che si segnalò per la polemica con la scuola storica tedesca e i suoi epigoni italiani, l’approccio storicista e per la coscienza sociale di una cultura giuridica impegnata a liberarsi dalle proprie mitologie di riferimento e a sollecitare l’evoluzione di una normativa in contrasto con le nuove esigenze economiche e sociali.
Negli anni successivi, sviluppò principalmente una serie di ricerche dedicate alla storia delle giurisdizioni (1889), in cui studiò lo ‘sviluppo’ delle immunità ecclesiastiche nell’epoca postcarolingia, drasticamente ridimensionate nel mondo comunale, con il rammarico che la crescita civile non fosse accompagnata dall’efficienza dell’organizzazione politica di un Paese diviso, che, soltanto tardivamente, aveva raggiunto la sua unità, ed era stato capace di liberarsi dell’eredità della controriforma e dei suoi modelli di riferimento, ritrovando le sue radici laiche e le sue istituzioni pubbliche, in vista di una politica auspicabilmente più inclusiva.
Di un certo rilievo, anche il Manuale di storia del diritto italiano dalle invasioni germaniche ai nostri giorni (1890), che ricostruiva sinteticamente la storia del diritto e della cultura giuridica medievale e moderna, senza trascurare le riforme illuministe e il significato storico della Rivoluzione francese, all’interno di una trama, che, nelle versioni successive, sarebbe stata progressivamente arricchita di riferimenti alla realtà economica e sociale, guadagnando anche in efficacia didattica, oltre che in visione di prospettiva.
Ottenne grande risonanza, soprattutto all’esterno del mondo accademico italiano, la celebre prolusione I difetti sociali del codice civile in relazione alle classi non abbienti ed operaie, letta nell’ateneo palermitano, il 9 novembre 1890, in cui, sulla scia del noto scritto di Anton Menger, egli criticò aspramente i ritardi ‘strutturali’ di una legislazione ritenuta organica a un assetto sociale censitario, le amnesie selettive, le clamorose rimozioni, il sostanziale ‘abbandono’ del mondo del lavoro, l’ostruzionismo ‘organizzato’ di un’amministrazione della giustizia inaccessibile alle grandi masse.
Successivamente accentuò le critiche a una prassi parlamentare ritenuta insensibile alle esigenze di tutela del mondo del lavoro e adusa alla pratica delle leggi manifesto, sollecitando interventi strutturali più concretamente incisivi, come il potenziamento dell’ispettorato del lavoro, oltre che del regìme delle garanzie e delle tutele (1892), in polemica con una magistratura, organica, per cultura, ideologia e sensibilità, ai poteri costituiti, e, contro lo scolasticismo di una scienza giuridica astratta, inconcludente, e, sostanzialmente, allineata (1891).
Nel frattempo, aveva sposato, a Palermo, Maria Orlando, con la quale ebbe quattro figli: in particolare, Gabriele (1891-1979) sarebbe stato un giurista esperto di diritto internazionale, Gaetano un noto patologo (v. la voce in questo Dizionario). Aveva inoltre cominciato a interessarsi in maniera sempre crescente al problema meridionale. Venne eletto consigliere comunale nel capoluogo siciliano e, nella convinzione che le ragioni del mondo del lavoro e del Mezzogiorno dovessero essere più coerentemente e concretamente rappresentate sulla scena politica nazionale, accettò la candidatura, propostagli dai circoli democratici e radicali, nel collegio di Girgenti per le elezioni politiche del novembre 1892, redigendo un manifesto, apparso nel supplemento elettorale della Riforma sociale, periodico agrigentino, diretto da Francesco De Luca. Il programma conteneva un’appassionata esposizione delle rivendicazioni di un meridionalismo costruttivo, sottoscritto anche dal giovane Luigi Pirandello.
Di estremo interesse fu il tentativo di creare un nuovo organo scientifico per rompere l’isolamento all’interno della propria disciplina, la Rivista di storia e di filosofia del diritto, annunciata a Gaetano Salvemini in una lettera del 28 ottobre 1896 (G. Salvemini, Carteggio 1894-1902, a cura di S. Bucchi, Roma-Bari 1988, pp. 91 s.). Il periodico si rivelò una tribuna, aperta a giovani storici, attenta al dibattito sul marxismo (significativa anche la scelta di pubblicare il saggio di Georges Sorel, Le idee giuridiche del marxismo, 1899, vol. 2, pp. 145-173), che Salvioli (1895) considerò soprattutto un utile strumento per l’analisi e la ricerca storica, prima di Benedetto Croce, che conosceva il suo lavoro, segnalatogli da Antonio Labriola in una lettera del 20 dicembre 1896 (B. Croce, Carteggio, IV, 1896-1898, a cura di S. Miccolis, Napoli 2004, p. 257).
Negli ultimi anni del secolo, Salvioli (1899a, 1899b, 1901) sviluppò una serie di ricerche di storia economica e sociale, che, per alcuni versi, si muovevano in continuità con gli studi di storia delle giurisdizioni, che avevano confermato la vitalità delle realtà urbane italiane nell’epoca medievale, e si proponevano di indagare l’origine del dualismo economico italiano e del ritardo strutturale del mondo meridionale.
Questi saggi furono la premessa del grande affresco, dedicato all’economia e al capitalismo antico, affermato soltanto nel titolo del testo, ma, negato all’interno di una ricostruzione che non credeva alla presenza di un’autentica economia imprenditoriale nel mondo romano, organizzata per la produzione di beni e servizi, su larga scala. Il lavoro venne pubblicato nel 1906 a Parigi (Le capitalisme dans le monde antique. Études sur l’histoire de l’économie romaine, traduit sur le manuscrit italien par Alfred Bonnet), grazie alla mediazione di Sorel, sia per superare le barriere dell’accademismo italiano – in una lettera a Giulia del 10 febbraio 1930, Antonio Gramsci lo avrebbe ricordato come «un libro che apparteneva ormai alla cultura europea» (Lettere dal carcere, Torino 1953, pp. 87 s.) –, sia per sollecitare una rilettura più disincantata e smaliziata dell’economia e della società romana, liberata dal suo mito. In esso era implicita anche una correzione, in senso sociale, del capitalismo moderno, a sostegno del dinamismo complessivo del sistema e delle sue capacità di rigenerazione, ragioni per cui venne, prima, entusiasticamente recensito (Die Neue Zeit, XXV (1906-1907), pp. 100 s.), e, successivamente, tradotto in tedesco, da Karl Kautsky (Der Kapitalismus im Altertum. Studien über die römische Wirtschaftsgeschichte, Stuttgart 1912, 1922), e in russo (Kharkov, 1923).
Cosciente della progressiva emarginazione della realtà siciliana, con il fallimento del progetto Florio (a cui aveva partecipato attivamente) di aggregare intorno a un disegno di sviluppo gli esponenti della borghesia più dinamica, Salvioli chiese il trasferimento a Napoli (1903), dove, con Francesco Saverio Nitti, Napoleone Colajanni e l’economista modenese Augusto Graziani, costruì un gruppo di lavoro, e, nel più grande ateneo del Paese, rilanciò un progetto di riforme istituzionali e sociali destinato a scontrarsi con l’opposizione del neoidealismo nascente. Nell’università partenopea ottenne anche l’insegnamento di filosofia del diritto, suscitando le reazioni di Croce e di Giovanni Gentile, autore di una recensione prevenuta ed estremamente polemica agli Appunti del corso (La Critica, III (1905), pp. 130-138).
Coerenti con la sua esperienza ‘socialista’ furono gli interventi sulle riforme del codice civile, sul contributo degli studi storico-filosofici all’evoluzione di una cultura giuridica socialmente impegnata nella progressiva revisione di istituti e norme superate, e sul ruolo più avanzato, demandato dai soggetti emergenti sulla scena economica e sociale a una magistratura chiamata anche a un ruolo di supplenza rispetto all’inerzia parlamentare (1915).
Rappresentò certamente una sistemazione della sua esperienza di ricerca ventennale l’ottava edizione della Storia del diritto italiano, divenuta ormai Trattato (1921). In questa trovarono più armoniosa composizione tante sensibilità verso la storia economica e sociale, e la stessa passione meridionalista si integrò in un disegno di sviluppo complessivo del Paese, schierato sulle posizioni della cultura progressista più avanzata. Queste spiegano il suo sostegno a Nitti, il quale caldeggiò durante l’ultima, brevissima, esperienza di governo, la sua nomina a senatore (operazione che aveva ottenuto, su interessamento di Giustino Fortunato, anche l’avallo di Croce), senza successo, per l’improvvisa caduta del ministero.
Del tutto coerente con la sua storia personale fu la firma apposta (su sua sollecitazione) alla Protesta contro il gentiliano Manifesto degli intellettuali fascisti, redatta da Croce, al quale negli ultimi anni si era avvicinato, nonostante vecchie ruggini, per sottrarsi all’isolamento culturale e istituzionale, come emerge da una lettera di Croce a Giovanni Amendola del 30 aprile 1925 (Carteggio Croce-Amendola, a cura di R. Pertici, Napoli 1982, pp. 89 s.). Tuttavia, sia l’illusione di poter ottenere ascolto da un governo che, per ragioni di tatticismo politico, tentò di accreditare la strategia delle riforme dall’alto presso gli ambienti socialisti, e di arruolare intellettuali anche ventilando nomine senatoriali, destinate ad accendere speranze in un mondo accademico ancora piuttosto diffidente e perplesso, sia il progressivo consolidamento della svolta autoritaria incrinarono la sua fermezza.
Negli anni successivi Salvioli si avvicinò al regime. Ne fu testimonianza, in primo luogo, l’intervento Stato e individuo in riguardo alle esperienze contemporanee e secondo alcune recenti dottrine (1925), ricognizione sulle dottrine politiche contemporanee, molto critica nei confronti dell’agonizzante esperienza liberale e ‘benevola’ verso il nuovo potere, pur nell’ostilità dichiarata verso il modello della dittatura; in breve, un tentativo di avere il riconoscimento, che gli era stato sempre negato, piuttosto che un ruolo politico significativo. Lo dimostrò, in secondo luogo e soprattutto, una pagina celebrativa della nuova politica ecclesiastica di Mussolini, apparsa sulla rivista Diritto ecclesiastico (1926), diretta dal suo allievo Amedeo Giannini.
Ultimo suo lavoro scientifico di un certo respiro fu la Storia della procedura civile e criminale (1925-1927), in cui veniva ricostruito il superamento del sistema processuale longobardo, in armonia anche con l’evoluzione economica e sociale complessiva della società medievale, ma non si nascondevano i limiti del ‘nuovo’ processo, la sua degenerazione nel procedurismo, sotto la spinta della burocrazia forense e del suo tatticismo dilatorio. Il testo mostrava una certa sollecitudine verso le riforme, soprattutto nelle pagine conclusive, in cui rendeva omaggio alla cultura illuminista e alle sue battaglie più significative, ‘celebrava’ il codice di procedura penale liberale, e soprattutto il garantismo come contrassegno di civiltà. Rifletteva, invece, il clima ‘preconcordatario’ la ‘versione’ italiana del Capitalismo antico, apparsa postuma, nel 1929, a cura di Giuseppe Brindisi, presso Laterza, grazie al decisivo intervento di Croce. L’opera insisteva sull’assenza di capitalismo, con un passaggio riservato al declino dell’impero, messo in crisi dal trionfo di logiche particolaristiche e dalla caduta del senso dello Stato, in cui non era difficile intravedere una concessione alla retorica dell’epoca, e un finale, dedicato al ruolo svolto dalla Chiesa nel ‘salvataggio’ della civiltà romana, che stonava – come puntualmente rilevato da Gino Bandelli (1986) – con le conclusioni laiche del Capitalisme (e, si potrebbe aggiungere, delle due edizioni di Der Kapitalismus), altro pedaggio pagato all’incipiente ‘svolta’ concordataria.
Morì improvvisamente a Napoli il 24 novembre 1928.
Era ormai piuttosto lontano dalla vita pubblica, anche se, in alcuni articoli apparsi tra il 1925 e il 1928 sulla rivista Echi e commenti, aveva sollecitato il regime a compiere importanti riforme economiche e sociali e un più razionale governo del territorio.
Opere. L’istruzione pubblica in Italia nei secoli VIII, IX e X, in La Rivista europea, 1879, vol. 13, pp. 694-716 e vol. 14, pp. 100-136; I titoli al portatore nel diritto longobardo, studiati in rapporto alla cessione, al mandato e alla rappresentanza, Roma 1882; I titoli al portatore nella storia del diritto italiano, Bologna 1883; L’assicurazione e il cambio marittimo nella storia del diritto italiano, Bologna 1884; Il metodo storico nello studio del diritto civile italiano, in Il Circolo giuridico, XVI (1885), 3, pp. 83-105; Storia delle immunità delle signorie e giustizie delle Chiese in Italia, Modena 1889; Manuale di storia del diritto italiano dalle invasioni germaniche ai nostri giorni, Torino 1890; Gli aforismi giuridici, in La scuola positiva nella giurisprudenza civile e penale e nella vita sociale, I (1891), 7, pp. 289-296; Il lavoro delle donne e dei fanciulli nelle leggi straniere più recenti, ibid., II (1892), 1-2, pp. 68-84; La teoria storica di Marx, in Rivista italiana di sociologia, 1895, vol. 2, pp. 162-182; Sulla distribuzione della proprietà fondiaria al tempo dell’Impero Romano. Studi di storia economica, Modena 1899a; Sullo stato e la popolazione d’Italia prima e dopo le invasioni barbariche, Palermo 1899b; Città e campagne prima e dopo il Mille, con uno studio sulla distribuzione della proprietà fondiaria in Italia dopo le invasioni germaniche, Palermo 1901; Legge e consuetudine. A proposito di riforme legislative, Napoli 1915; Storia del diritto italiano, Torino 1921; Stato e individuo in riguardo alle esperienze contemporanee e secondo alcune recenti dottrine, in Atti della Reale Accademia di scienze morali e politiche, 1925, vol. 50, pp. 35-67; Storia della procedura civile e criminale, I-II, Milano 1925-1927; A proposito della riforma delle leggi ecclesiastiche, in Diritto ecclesiastico, n.s., 1926, vol. 1, pp. 49 s.; Il capitalismo antico: storia dell’economia romana, a cura e con prefazione di G. Brindisi, Bari 1929.
Fonti e Bibl.: Per un profilo biografico: il volume celebrativo di G. Brindisi, G. S., Napoli 1928; la Commemorazione di G. S., letta all’Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena, il 27 marzo 1929, dell’amico economista Augusto Graziani; la ricognizione di M.O. Cuomo, Il contributo di G. S. alla storiografia economica italiana, in Economia e storia, XXII (1975), 3, pp. 366-419; la voce, molto pregevole e ben curata, di M. Simonetti, G. S., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, IV, Roma 1978, pp. 482-490; F. Mazzarella, G. S., in Il contributo italiano alla storia del pensiero, Diritto, Roma 2012, pp. 417-422. Sul ruolo svolto da Salvioli nella vicenda dei Fasci siciliani: G. Manacorda, Crispi e la legge agraria per la Sicilia, in Archivio storico per la Sicilia orientale, LXVIII (1972), 1, pp. 9-88; P. Manganaro, La cultura dei Fasci, in I Fasci siciliani, I, Bari 1975, pp. 197 s.; E. Ragionieri, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani (1875-1895), Milano 1976, ad ind.; G. D’Agostino, La cultura dei Fasci, in I Fasci dei lavoratori e la crisi italiana di fine secolo (1892-1894), Roma 1995, ad indicem. Sul contributo di Salvioli alle vicende del socialismo giuridico di fine secolo: P. Ungari, L’età del codice civile. Lotta per la codificazione e scuole di giurisprudenza nel Risorgimento, Napoli 1967, ad ind.; Id., In memoria del socialismo giuridico, in Politica del diritto, I (1970), 2, pp. 241-278; e soprattutto i lavori di P. Costa, Il solidarismo giuridico di G. S., in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1975, voll. 3-4, pp. 457-494; C. Carini, Cultura e politica del socialismo giuridico (1890-1900), in Annali della facoltà di scienze politiche dell’Università di Perugia, Materiali di storia, 1981-1982, vol. 6, pp. 54-100; M. Cascavilla, Il socialismo giuridico italiano. Sui fondamenti del riformismo sociale, Urbino 1987, ad ind.; A. Mantello, Il più perfetto codice civile moderno. A proposito di BGB, diritto romano e questione sociale in Italia, in Studia et documenta historiae et juris, LXII (1996), 1, pp. 357-400; E.C. Maestri, Alle origini della sociologia del diritto in Italia. Il contributo di G. S. (1857-1928), in Annali dell’Università di Ferrara, V sezione, Scienze giuridiche, n.s., 2001, vol. 15, pp. 204-240. Sulle ricerche di storia economica di Salvioli: G. Tabacco, Fief et seigneurie dans l’Italie comunale, in Le Moyen Age, s. 4, XXIV (1969), 1-2, pp. 5-37; E. Lepore, Economia antica e storiografia moderna (appunti per un bilancio di generazioni), in Ricerche storiche ed economiche in memoria di Corrado Barbagallo, a cura di L. De Rosa, I, Napoli 1970, pp. 20 s.; M. Mazza, Marxismo e storia antica. Note sulla storiografia marxista in Italia, in Studi storici, XVII (1976), 2, pp. 105 s.; A. Giardina, Analogia, continuità e l’economia dell’Italia antica, in G. Salvioli, Il capitalismo antico, a cura di A. Giardina, Roma-Bari 1985, pp. VII-LVI; G. Bandelli, Il capitalismo antico di G. S. Note sulla fortuna (e sfortuna) di un libro, in Quaderni di storia, 1986, vol. 23, pp. 257-272; N. Brigati, G. S. storico dell’economia alto-medievale, in Per Vito Fumagalli. Terre, uomini, istituzioni medievali, a cura di M. Montanari - A. Vasina, Bologna 2000, pp. 339-359. Su Salvioli storico del diritto: R. Ajello, Il collasso di Astrea. Ambiguità della storiografia giuridica italiana medievale e moderna, Napoli 2002, ad ind.; N. Vescio, G. S. e la storia della cultura giuridica meridionale, in Studi senesi, CXXIV (2012), 2, pp. 329-392.