Rotunno, Giuseppe
Direttore della fotografia, nato a Roma il 19 marzo 1923. Sensibile interprete della tradizione realista, dapprima nel bianco e nero e poi anche nel colore, ha attraversato varie stagioni del cinema italiano, realizzando i risultati migliori al fianco di Luchino Visconti e Federico Fellini, e guadagnandosi una fama che gli ha permesso di lavorare anche in grandi produzioni americane. Tra i molti premi ricevuti, vanno segnalati gli otto Nastri d'argento, i cinque David di Donatello di cui uno alla carriera e uno speciale, una nomination all'Oscar e un BAFTA Award nel 1980 per All that jazz (1979; All that jazz ‒ Lo spettacolo continua) di Bob Fosse, un Prix Camérimage e un American Society of Cinematographers International Award alla carriera nel 1999.
Dopo la morte del padre, titolare di una sartoria, nel 1938 dovette abbandonare gli studi per aiutare la famiglia. Approdato a Cinecittà, vi lavorò come apprendista elettricista e quindi, presso lo studio fotografico di Arturo Bragaglia, come addetto alla correzione dei negativi e allo sviluppo, stampa e lucidatura delle fotografie, e in seguito anche come fotografo di scena. Passò al reparto operatori in qualità di consegnatario-macchina e assistente di Renato Del Frate, ma nel 1941 venne licenziato per un gesto di ribellione contro i simboli del regime. Dopo essere stato operatore alla seconda macchina in L'uomo dalla croce (1943) di Roberto Rossellini, fu arruolato nel reparto cinematografico dello stato maggiore dell'esercito e inviato in Grecia. Catturato dai tedeschi nel settembre 1943, venne deportato in Germania, nei lager di Hattingen e Winten, dove lavorò anche come proiezionista. Ritornato in patria, dal 1946 fu assistente degli operatori Rodolfo Lombardi, Otello Martelli, Carlo Carlini e Gabor Pogany. Ebbe la grande occasione della sua carriera quando sostituì Gianni Di Venanzo al fianco del direttore della fotografia G.R. Aldo per Umberto D. (1952) di Vittorio De Sica. Operatore nel primo film a colori di Visconti, Senso (1954), quando Robert Krasker (che aveva sostituito Aldo dopo la sua morte in un incidente) abbandonò il set per contrasti con il regista, fu lui a condurre a termine le riprese, pur senza essere accreditato. Questa esperienza gli procurò la fama di abile manipolatore dei negativi a colori, all'epoca dotati di scarsa sensibilità, e gli aprì la strada per la carriera di direttore della fotografia, nella quale esordì con Pane, amore e… (1955) di Dino Risi. Firmò poi le immagini a colori di grandi produzioni italiane e americane, tra cui Tosca (1956) di Carmine Gallone, Policarpo, "ufficiale di scrittura" (1959) di Mario Soldati, The naked Maja (1959; La Maja desnuda) di Henry Koster. Nel campo del bianco e nero raccolse l'eredità di Aldo, facendo rivivere la sua capacità di dare tridimensionalità ai corpi attraverso la gamma dei grigi e l'uso di velatini e garze, con risultati di grande raffinatezza nei drammi viscontiani Le notti bianche (1957) e Rocco e i suoi fratelli (1960), insuperato esempio di sensualità chiaroscurale che gli valse il suo primo Nastro d'argento, nel kolossal On the beach (1959; L'ultima spiaggia) di Stanley Kramer, e nelle commedie 'storiche' di Mario Monicelli La grande guerra (1959), dove imitò lo sfondamento dei bianchi tipico delle cine-attualità degli anni Dieci, e I compagni (1963). Con Cronaca familiare (1962) di Valerio Zurlini portò il colore nel genere drammatico, sovvertendo i canoni fotografici dell'epoca. La sua cultura visiva gli consentì di condurre in porto progetti raffinati come Il Gattopardo (1963) di Visconti, denso di richiami figurativi alla pittura ottocentesca, e grandi operazioni spettacolari quali La Bibbia (1966) di John Huston. Alla fine degli anni Sessanta divenne il fedele interprete delle ossessioni di Fellini, firmando le immagini di Toby Dammit, episodio del film collettivo Histoires extraordinaires o Tre passi nel delirio (1968), Fellini Satyricon (1969), Roma (1972), Amarcord (1973), Il Casanova di Federico Fellini (1976), Prova d'orchestra (1979), La città delle donne (1980), E la nave va (1983). Negli stessi anni applicò la ricchezza cromatica elaborata per Fellini al colore di Carnal knowledge (1971; Conoscenza carnale) di Mike Nichols, dei film di Lina Wertmüller, da Film d'amore e d'anarchia: ovvero "Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…" (1973) a La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (1978), e di Divina creatura (1975) di Giuseppe Patroni Griffi. Bob Fosse, intenzionato a far rivivere in un musical crepuscolare i fasti della fantasia felliniana, lo scritturò per All that jazz, in cui R. conferì al 'numero della vita e della morte' una incomparabile magia figurativa.
A partire da quel momento R. ha conosciuto negli Stati Uniti una seconda giovinezza professionale, fotografando film di Robert Altman (Popeye, 1980, Popeye ‒ Braccio di ferro), Fred Zinnemann (Five days one summer, 1981, Cinque giorni, un'estate), Alan Pakula (Rollover, 1981, Il volto dei potenti), Richard Fleischer (Red Sonja, 1985, Yado), Ivan Passer (Haunted summer, 1988, L'estate stregata), Nichols (Regarding Henry, 1991, A proposito di Henry; Wolf, 1994, Wolf ‒ La belva è fuori), Sydney Pollack (Sabrina, 1995). Ha tuttavia continuato a lavorare anche nel cinema europeo, con Claude Goretta (Orfeo, 1985) e Terry Gilliam (The adventures of Baron Munchausen, 1988, Le avventure del barone di Munchausen), e in quello italiano, con Peter Del Monte (Giulia e Giulia, 1987, in cui ha sperimentato le telecamere ad alta definizione e il trasferimento del segnale video su pellicola), Roberto Faenza (Mio caro dottor Gräsler, 1990), Dario Argento (La sindrome di Stendhal, 1996). Dagli anni Ottanta s'interessa del restauro dei classici del cinema italiano, e dal 1988 insegna al Centro sperimentale di cinematografia di Roma (oggi Scuola nazionale di cinema).
S. Masi, Storie della luce: i film, la vita, le avventure, le idee di 200 operatori italiani, L'Aquila 1983, pp. 100-11; L. Codelli, Entretien avec Giuseppe Rotunno, in "Positif", 1983, 266, pp. 26-36; R. Prédal, La photo de cinéma, Paris 1985, pp. 383-86 e passim.